Dopo la fine degli accordi di Bretton Woods e il crollo del comunismo, la globalizzazione ha alimentato (o imposto) intensi processi di deindustrializzazione nei paesi piu’ sviluppati e la delocalizzazione della produzione in aree a piu’ basso costo della manodopera e con minori standard di sicurezza.
Tra le conseguenze, ben note, basta ricordare la sostanziale riduzione della capacita’ di esazione fiscale da parte degli stati e l’altrettanto significativa perdita di potere contrattuale della classe operaia.
Tutto cio’ spiega il formarsi di un doppio capitalismo – analogo, per molti aspetti, al doppio stato che aveva caratterizzato la Germania nazista – in cui alla sfera della normalita’ se ne affianca una dell’eccezionalita’ e della discrezionalita’ che tende a sfruttare, istituzionalizzandoli, i vantaggi garantiti dall’occultamento.
In questa seconda sfera, il capitalismo tende a sottrarsi, e con un discreto successo, al controllo dei governi, rivendica una propria autonomia (arbitrarieta’), incarna il sogno (il delirio) dei liberisti piu’ estremi del mercato senza stato. Per farlo, si dota di una serie alquanto varia e sofisticata di enti e professionalita’: agenzie di intermediazione creditizia esterne al sistema bancario vero e proprio e sottratte agli organi di controllo (shadow banking); paesi che offrono regimi fiscali preferenziali (anche all’interno dell’Unione Europea, mettendosi in concorrenza con gli altri stati membri); paradisi fiscali e centri offshore (offrono spazio giuridico – leggi: immunita’ – anche ai non residenti); infine, spostandosi nella dimensione virtuale, protocolli darknet e criptovalute […]
[E’] evidente che l’esistenza di questa sfera di eccezionalita’ costituisce un autentico attentato alla sovranita’ economica e finanziaria degli stati […]
Al doppio capitalismo si deve anche la soluzione dell’annoso dilemma cha ha afflitto le sinistre europee, alla ricerca di un compromesso tra liberismo e welfare, che consiste nella proposta di una terza via che si sta rivelando oltremodo efficace: il crony capitalism [capitalismo clientelare]. Una soluzione che mette d’accordo un Trump, un Putin e un Xi Jinping a prescindere dalle loro eventuali rivalita’ politiche o, piu’ probabilmente, commerciali; basata sulla costruzione di fitte trame di reti clientelari tra politici e amministratori locali, da un lato, e imprenditori, dall’altro; e che puo’ estendersi con facilita’ a livello transnazionale.
Una terza via, il capitalismo clientelare, che sembra alla fine in grado di accontentare un po’ tutti; ma che, in realta’, comporta una distrazione di risorse pubbliche spesso molto cospicue a esclusivo vantaggio dei soliti noti, e una distorsione continua dei normali meccanismi della libera concorrenza. Perche’ si basa su scambi reciproci, su favoritismi, tra attori che appartengono comunque a una stessa rete sociale fatta di patroni e di clienti, a carattere quindi sempre privatistico e non certo universale.
Che tale rete entri in gioco a livello locale per l’aggiudicazione di un appalto o nel parlamento europeo per gestire un traffico di influenze, cambia davvero poco. Cio’ che rileva, piuttosto, e’ che prefigura il superamento della legittima attivita’ di lobbismo e trasforma la corruzione da illecito occasionale in un autentico indotto economico, destinato percio’ ad assumere un carattere sistemico.
Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/IL_FATTO_QUOTIDIANO_27012024.pdf
https://www.micromega.net/author/fabio-armao/
https://www.globalist.it/culture/2024/03/25/capitalismo-di-sangue-analisi-su-conflitti-globali-e-crisi-economica/
