Populismo/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie dusuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

A causa della sua posizione geografica, l’Italia si e’ trovata a dover accogliere sulle sue coste gran parte dei rifugiati arrivati dal Mediterraneo, provenienti dalla Siria, dal Medio Oriente e dall’Africa, attraverso la Libia.
Ma gli altri paesi europei – sempre pronti a dare lezioni di generosita’ al mondo intero, e in particolare all’Italia – nella maggior parte dei casi hanno rifiutato la ripartizione dei flussi di rifugiati, come avrebbe suggerito qualsiasi considerazione umanitaria e razionale.
L’atteggiamento della Francia, di fatto, e’ stato particolarmente ipocrita: i poliziotti francesi sono stati immediatamente schierati alla frontiera italiana per respingere con durezza i migranti; con il risultato che, a partire dal 2015, il paese ha accolto un numero di rifugiati dieci volte inferiore rispetto alla Germania.
Nell’autunno 2018 il governo francese ha poi deciso di chiudere i propri porti alle navi delle organizzazioni umanitarie respinte dall’Italia, rifiutando persino di concedere la bandiera alla nave della ONG SOS Mediterranee condannata cosi’ a restare ormeggiata mentre il bilancio degli annegati in mare diventa sempre piu’ tragico.
Salvini ha avuto buon gioco nel denunciare l’atteggiamento francese, e in particolare quello del giovane presidente Macron, eletto nel 2017, che agli occhi del leghista rappresenta la perfetta incarnazione dell’ipocrisia delle elite europee di fronte alla questione dei migranti.
Tutto cio’ gli ha permesso di giustificare di fronte all’opinione pubblica italiana la durezza della propria politica contro i rifugiati […]
Il caso italiano illustra come il senso di delusione verso l’Unione Europea – che unisce anche Lega e M5S – possa rivelarsi un formidabile collante per la costituzione di coalizioni social-nativiste. Cio’ che rende la Lega e il suo capo Salvini cosi’ pericolosi e’ proprio la capacita’ di unire la dimensione nativista a quella sociale, la questione migratoria al tema del debito pubblico e alla finanza internazionale: il tutto compattato nella denuncia dell’ipocrisia delle elite.
Il medesimo collante in futuro potrebbe essere funzionale alla formazione di coalizioni social-nativiste anche in altri paesi, inclusa la Francia, dove la delusione nei confronti dell’Europa e’ molto forte tra gli elettori LFI e RN.
Il fatto che la costruzione europea sia stata spesso strumentalizzata a fini politici, come si e’ potuto vedere nelle vicende che hanno portato alla crisi dei Gilet Gialli nel 2017-2019 (con la soppressione dell’ISF in nome della concorrenza europea e la conseguente copertura finanziaria tramite l’aumento della tassa sulla CO2 che di fatto colpisce chi si deve recare al lavoro utilizzando la propria automobile), purtroppo rendono concreta questa deriva. Tanto per fare un esempio, nel caso in cui il polo nativista accettasse – per mero opportunismo politico – di attenuare la violenza della sua propaganda contro i migranti, concentrandosi maggiormente sulle questioni sociali e sul braccio di ferro con le istituzioni europee, non e’ affatto escluso che una coalizione social-nativista (come quella proposta da Lega e M5S) possa un giorno arrivare al governo anche in Francia.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Geoeconomia/Castronovo

Valerio Castronovo – Chi vince e chi perde. I nuovi equilibri internazionali – Laterza (2020)

La vocazione egemonica tanto dell’America di Trump che della Cina di Xi Jinping, sommandosi al ritorno della Russia a un rango di potenza globale, minacciavano di marginalizzare l’Europa.
Ma sembrava, a giudicare dal fatto che non s’era compiuto alcun progresso verso il completamento dell’unione bancaria e il mercato unico dei capitali, che l’Unione Europea non avesse ancora acquisito piena consapevolezza del rischio che correva di essere relegata a un ruolo secondario.
Come se i singoli Stati della Ue non si trovassero a navigare a bordo di una stessa barca, continuavano infatti a procedere con l’occhio attento per lo piu’, se non unicamente, ai loro specifici interessi.
Una volta posta faticosamente una toppa, per non affondare, alle falle provocate dallo sconquasso finanziario del 2008, essi erano tornati in pratica alle vecchie abitudini e ai soliti rituali.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858140710

Stato/ Deneault

Alain Deneault – Governance. Il Management totalitario – Neri Pozza (2018)

Introdotta nell’ambito della vita pubblica da Margaret Thatcher all’inizio degli anni Ottanta, la governance dara’ cosi’ giustificazione a un mutamento del ruolo dello Stato […]
Col pretesto di riaffermare la necessita’ di una sana gestione delle istituzioni pubbliche, il termine designera’ non solo la messa in opera di meccanismi di sorveglianza e di controllo, ma anche la volonta’ di gestire lo 
Stato secondo modalita’ di efficienza aziendale.
I tecnocrati della prima ministra «affibbiarono percio’ il grazioso nome di governance alla gestione neoliberale dello Stato, che si tradusse in una deregulation e in una privatizzazione dei servizi pubblici, oltre che in un richiamo all’ordine delle organizzazioni sindacali» […]
Contrariamente ai termini “democrazia” o “politica” che essa tende a occultare, “governance” non definisce niente in modo netto e rigoroso.
L’estrema malleabilita’ 
della parola elude il senso, e questo sembra precisamente il suo scopo. Tutto avviene come se si sapesse cio’ che si vuol dire proprio nel bel mezzo di una totale vanita’ semantica.
Ci si convince.
causa della sua indeterminatezza, l’espressione offre scarsi appigli alla discussione o alla disputa, pur rilasciando un messaggio fondamentale: si tratta di una politica “senza governo”, promossa a livello mondiale, che membri sociali isolati in rappresentanza di interessi diversi praticano secondo una modalita’ gestionale o commerciale.

Info:
https://ilmanifesto.it/il-prezzo-senza-volto-di-un-ingranaggio/
https://www.che-fare.com/violenza-buona-governance-deneault/

Economia di mercato/Kelton

Staphanie Kelton – Il mito del deficit. La Teoria Monetaria Moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

Il mito del deficit ha privato le persone di migliori servizi pubblici dal momento che i governi sono convinti di non avere i soldi per sostenere i progetti che danno assistenza ai propri cittadini.
Questo non solo getta nella miseria le persone la cui vita sarebbe senz’altro migliorata grazie a questi programmi, ma ci danneggia tutti. Le nostre reti di sicurezza sociale rafforzano anche i nostri legami sociali reciproci e aiutano a supportare l’economia nel suo complesso […]
Il governo centrale non dovrebbe provare a gestire il bilancio “come una famiglia“. Non dobbiamo stringere la cinghia con sacrifici condivisi e strette fiscali […]
In che modo, allora, dovremmo parlare dei diritti sociali?
La cosa piu’ importante da ricordare e’ che vi sono tre questioni distinte che dobbiamo tenere separate ogni volta che discutiamo di programmi come Social Security e Medicare. Tali questioni sono: (1) la capacita’ del governo di far fronte alle spese, (2) l’autorita’ legale a effettuare i versamenti, (3) la capacita’ produttiva della nostra economia di fornire servizi assistenziali reali.

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Le norme su debito e disavanzo previste dai criteri di convergenza e dal Patto di stabilita’ e di crescita poggiavano su un equivoco di fondo: sull’idea che la gestione delle finanze pubbliche fosse simile a quella di una famiglia, e dunque implicasse restrizioni ferree e conseguenze terribili per chi spendeva al di sopra dei propri mezzi.
Per rampognare i paesi indisciplinati, la cancelliera tedesca Angela Merkel si e’ spinta a evocare il proverbiale personaggio della «massaia sveva», la mitica e gretta matriarca della Germania sudoccidentale.
All’inizio degli anni 2000 l’esperienza secondo cui, quando l’economia si contrae, i prestiti possono trainare la domanda aggregata e aiutare l’economia a tornare alla piena occupazionepareva del tutto dimenticata almeno in Germania e ai piani alti dell’Unione.
I criteri di convergenza e il Patto di stabilita’ erano semplici dichiarazioni di fede, non certo i risultati di un’analisi seria. L’abbandono delle lezioni apprese dagli economisti nel corso del Novecento si e’ ulteriormente aggravato all’arrivo della crisi. Il Patto di stabilita’ (e di crescita, ma di questa ormai non si parlava quasi piu’) ha partorito una creatura orribile: l’austerità […]
In caso di brusca frenata della domanda aggregata, intervenire con la spesa pubblica appariva ormai inconcepibile a un’Unione europea votata anima e corpo alla regola del «tre e sessanta» […]
Il Patto di stabilita’ non ha funzionato ne’ in teoria ne’ in pratica.
A distanza di vent’anni possiamo dire che il Patto di stabilita’ e crescita concordato dai leader europei e’ stato un fallimento dal suo stesso punto di vista: non ha portato ne’ crescita, ne’ stabilita’, ne’ gli altri ingredienti del benessere di una societa’.
Quel patto ha semmai favorito un forte aumento della disoccupazione.
L’osservanza o meno delle regole del «tre e sessanta» si e’ rivelata un pessimo predittore dei risultati economici di un paese.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Capitalismo/D’Eramo

Marco D’Eramo – Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi – Feltrinelli (2020)

Come dice Pierre Bourdieu: “La violenza simbolica e’ quella violenza che estorce sottomissioni che non sono nemmeno percepite come tali” […]
Percio’ “i dominati applicano categorie costruite dal punto di vista dei dominanti ai rapporti di dominio, facendoli cosi’ apparire naturali”. Come la donna suddita della violenza patriarcale si strugge perche’ non si sente abbastanza “femminile” (cioe’ non abbastanza corrispondente al ruolo che il patriarcato le ha assegnato e in cui l’ha confinata), o […] il lavoratore licenziato giustifica il padrone che lo licenzia perche’ ha interiorizzato la “necessita’ di tagliare i costi”[…]
Uno dei modi piu’ sintomatici in cui si manifesta quest’interiorizzazione del dominio capitalista e’ la scomparsa dal lessico di alcuni vocaboli.
Non menziono nemmeno i termini “padrone” e “padronato” che sono diventati parolacce, scurrilita’ da evitare in pubblico. Ma tendono a sparire anche le piu’ neutre parole “capitalismo” e “capitalista”. Nessuno se ne e’ accorto, ma queste due parole non solo non sono piu’ usate ma, quando capita di pronunciarle, lo si fa con un certo disagio.
L’unico modo educato di usare questo termine e’ aggettivarlo: capitale umano, capitale sociale, capitale culturale, capitale simbolico […]
Nel momento in cui ci viene inculcato che siamo tutti capitalisti, tutti proprietari del nostro capitale umano, in quello stesso momento del capitale in senso strettamente economico, come ammontare di denaro investibile, non se ne parla piu’ e il capitale-denaro diventa indicibile.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/giuliano-milani/2020/11/10/marco-d-eramo-dominio
https://sbilanciamoci.info/i-meccanismi-del-dominio/
https://www.sinistrainrete.info/societa/17891-marco-d-eramo-la-bolla-dell-overtourism-si-e-sgonfiata-ma-tornera-presto-a-crescere.html
http://www.spazioterzomondo.com/2020/11/recensione-marco-deramo-dominio/

Societa’/Pallante

Francesco Pallante – Contro la democrazia diretta- Einaudi (2020)

La democrazia diretta ci affascina perche’ promette di realizzare l’ideale dell’autogoverno.
In realta’, espone ciascun cittadino al rischio del dominio di una maggioranza avversa – maggioranza che, oltretutto, ha diritto di imporsi semplicemente in quanto tale, a prescindere da ogni considerazione sul merito delle questioni, secondo una logica di puro decisionismo.
La democrazia della maggioranza, o democrazia maggioritaria, e’ una maschera sotto cui si cela il volto della dittatura della maggioranza, con la sua attitudine alla sopraffazione […]
Democrazia e’ discussione, non decisione.
Democratico e’ chi si confronta apertamente con gli altri: a partire dalle proprie convinzioni, ma alla ricerca di un compromesso.
La mera conta dei voti non produce decisioni democratiche, ma imposizioni di parte. Riducendo la politica a matematica, la democrazia diretta ci espone al rischio del dominio di una maggioranza avversa.
L’esatto opposto dell’autogoverno.

Info:
https://www.letture.org/contro-la-democrazia-diretta-francesco-pallante
https://www.questionegiustizia.it/articolo/sul-libro-di-francesco-pallante-contro-la-democrazia-diretta
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scommessa-della-rappresentanza-perche-la-democrazia-diretta-non-e-la-soluzione-alla-crisi-della-politica/

Lavoro/Bremmer

Ian Bremmer – Noi contro loro. Il fallimento del globalismo – Universita’ Bocconi (2018)

Come nel passato, le nuove tecnologie creeranno nuovi posti di lavoro e nuovi tipi di lavoro.
Ma la crescente automazione dei luoghi di lavoro, i progressi nell’apprendimento automatico e l’introduzione diffusa nell’economia di nuove forme di intelligenza artificiale faranno si’ che i lavori del futuro richiedano livelli sempre piu’ alti di istruzione e di addestramento. […]
Nel novembre 2016, le Nazioni Unite hanno avvertito che due terzi di tutti i posti di lavoro nel mondo in via di sviluppo sono a rischio.
Mentre negli Stati Uniti l’automazione e i progressi nell’intelligenza artificiale minacciano il 47 percento di tutti i posti di lavoro, per la Nigeria, che ha 140 milioni di abitanti, il rischio riguarda il 65 per cento dei posti di lavoro, per l’India, con 1,3 miliardi di abitanti, il rischio robot incombe sul 69 per cento dei posti di lavoro e per la Cina, un paese con 1,4 miliardi di abitanti, raggiunge il 77 per cento.
Si tratta di grandi sconvolgimenti che investiranno i destini personali di un’enorme quantita’ di persone.
Ancora una volta, cio’ non significa che tutti questi lavori scompariranno. Il punto e’ che, anche se un tipo di lavoro e’ semplicemente sostituito da competenze di tipo nuovo, che integrano il lavoro delle macchine, la transizione sara’ molto dura e su una scala storicamente senza precedenti.

Info:
https://www.forbes.com/sites/it/2018/07/31/ian-bremmer-noi-contro-di-loro-libro-intervista-populismo-trump/?sh=6629ca1f450d
https://megachip.globalist.it/pensieri-lunghi/2018/07/28/governare-la-complessita-1-ian-bremmer-noi-contro-loro-il-fallimento-del-globalismo-2028660.html

Populismo/ Levitsky

Steven Levitsky, Daniel Ziblatt – Come muoiono le democrazie – Laterza (2019)

Se con la fine della Guerra Fredda si era registrata una diffusione dei principi dello Stato di diritto e della legittimazione elettorale del potere di governo, da diversi anni questo processo e’ stato bruscamente interrotto.
Se con la fine della Guerra Fredda si era assestato un ordine liberale delle relazioni internazionali, da diversi anni questo ordine e’ stato messo radicalmente in discussione, innanzitutto dal paese (gli Stati Uniti) che l’aveva promosso.
Il multilateralismo delle istituzioni internazionali e il pluralismo di quelle nazionali sono stati sottoposti ad una critica feroce da parte di leader e gruppi politici che rivendicano di parlare a nome di popoli nazionali che (si ritiene) siano stati imprigionati da quelle istituzioni.
Quei leader accettano la democrazia elettorale, ma non i vincoli liberali sull’esercizio del potere politico.
Se il liberalismo e’ una cultura di delimitazione e controllo del potere politico, i leader populisti emersi negli ultimi anni sono consapevolmente antiliberali o illiberali. Essi usano la loro legittimazione elettorale per mettere in discussione i vincoli liberali dello Stato di diritto, oltre ai rappresentanti associati a quest’ultimo.
Cosi’, i leader populisti mobilitano il popolo (al singolare) contro le tradizionali elites (politiche, economiche, amministrative, culturali) che hanno gestito la democrazia liberale o che si sono alternate al governo di queste ultime, elites denunciate in toto come corrotte e autoreferenziali.
In tale processo, i leader populisti hanno riscoperto il concetto di nazione come il luogo naturale di esistenza del popolo, rilanciando cosi’ il nazionalismo come una sorta di nuova ideologia politica.
«Prima il mio paese o la mia gente» ha costituito la parola d’ordine di una mobilitazione politica finalizzata a indebolire, all’interno dei singoli paesi, il pluralismo istituzionale, oltre a quello sociale e culturale (se non anche quello religioso).
E, al loro esterno, a indebolire il multilateralismo basato sul mutuo riconoscimento di interessi nazionali diversi, con la relativa disponibilita’ ad accettare compromessi tra di loro

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135280
https://www.stroncature.com/2019/10/08/come-muoiono-le-democrazie/
https://www.eunews.it/2019/09/20/muoiono-le-democrazie/120948

Economia di mercato/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

Disuguaglianza e democrazia […]
La filosofia di fondo per sostenere una distribuzione squilibrata delle risorse economiche era (e in parte e’ ancora) la solita argomentazione «a cascata» (una percolazione verso il basso di cio’ che di positivo avviene nelle zone di vertice di una economia) e la preoccupazione principale e’ ancora una volta la dimensione della torta dei guadagni.
La visione tradizionale sosteneva che la disuguaglianza aumentasse il risparmio aggregato, il che a sua volta avrebbe prodotto un aumento degli investimenti e la crescita del PIL.
Questa catena causale teorica, tuttavia, non e’ cosi’ solida come potrebbe sembrare.
Il legame diretto tra risparmio e accumulazione di capitale e’ stato messo in discussione fin dagli anni Trenta, in particolare da John Maynard Keynes, che ha sottolineato il ruolo cruciale delle aspettative – piu’ che del risparmio – nel determinare la domanda di capitale reale. Inoltre, anche all’interno di un quadro di aspettative ottimistiche, il comportamento inerziale del settore bancario e finanziario – spesso piu’ incline alla speculazione finanziaria che a sostenere l’attivita’ delle imprese (almeno quelle prive di garanzie cospicue) – puo’ diventare un ostacolo imponente per il processo di accumulazione del capitale.
Il risparmio, in altre parole, non e’ di per se’ una condizione sufficiente per gli investimenti […]
Profitti elevati, uniti alla diminuzione dei salari, portano a una domanda di beni di consumo debole (a meno che il credito al consumo non sostenga la domanda). Quest’ultima circostanza porta ad aspettative al ribasso da parte delle imprese, scoraggiando il loro interesse per gli investimenti reali e aumentando la spinta alla speculazione finanziaria […]
Il ruolo crescente del sistema bancario e del settore finanziario in generale nonche’ la loro influenza sempre piu’ forte sul processo decisionale porta inevitabilmente alla deregolamentazione e a politiche fiscali meno progressive.
Questa spaccatura tra l’arricchimento dei pochi e l’interesse dei molti finisce per sabotare la crescita stessa: dagli anni Ottanta, il rallentamento della crescita economica e della produttivita’ nelle principali economie mondiali e’ diventato pressoche’ costante, contribuendo all’instaurarsi di un regime di instabilita’.
La torta e’ cresciuta meno del previsto, o si e’ decisamente ridotta […]
Gli studi degli anni Novanta hanno messo in luce che la risposta alla domanda se la disuguaglianza interna rallenti la crescita di una nazione e’ probabile che sia affermativa, anche se la direzione di causalita’ non e’ facile da accertare. Piu’ importante ancora, a nostro parere, e’ che l’argomentazione «a cascata» risulta contraddetta, dato che i ricchi esercitano pressione per l’approvazione di politiche per loro vantaggiose, ma che potrebbero danneggiare il resto dell’economia come nel caso della formazione di capitale umano […]
Dunque, il legame tra disuguaglianza e democrazia e’ di nuovo un processo che si autoalimenta: se la disuguaglianza ostacola o rallenta lo sviluppo economico, si indeboliscono alcuni dei puntelli della democrazia, e cio’ non giova allo sviluppo stesso.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci