Stato/Brown

Wendy Brown – Il disfacimento del demos – Luiss University Press (2023)

L’“economizzazione” contemporanea dei soggetti operata dalla razionalita’ neoliberista si distingue pertanto almeno per tre aspetti.
Innanzitutto, in contrasto con il liberalismo economico classico, siamo ovunque homines oeconomici e soltanto homines oeconomici. Questa e’ una delle novita’ che il neoliberismo introduce nel pensiero politico e sociale, ed e’ uno dei suoi elementi piu’ sovversivi […]
In secondo luogo, l’homo oeconomicus neoliberista assume la forma di capitale umano che vuole rafforzare il proprio posizionamento competitivo e apprezzarne il valore, non di figura di scambio o di interesse […]
Il terzo punto, collegato agli altri, e’ che il modello specifico del capitale umano e delle sue sfere di attivita’ e’ sempre piu’ quello del capitale finanziario o di investimento, non soltanto produttivo o imprenditoriale […]
L’homo oeconomicus come capitale umano si occupa di aumentare il suo valore di portafoglio in tutti gli ambiti dell’esistenza, attivita’ intrapresa per mezzo di pratiche di investimento su se’ stesso e di attrazione di investitori. Attraverso i “follower”, i “like” e i “retweet” dei social network, le classifiche e le valutazioni di tutte le attivita’ e sfere, o attraverso pratiche monetizzate piu’ dirette, l’istruzione, la formazione, il tempo libero, la riproduzione, il consumo eccetera vengono sempre piu’ concepiti come decisioni e pratiche strategiche, collegate all’accrescimento del valore futuro di se’.

Info:
https://www.equilibrielmas.it/2023/11/29/wendy-brown-il-disfacimento-del-demos-la-rivoluzione-silenziosa-del-neoliberismo-luiss-university-press-roma-2023/
https://www.dinamopress.it/news/wendy-brown-lo-svuotamento-silenzioso-della-democrazia/
https://www.ilmanifestoinrete.it/2023/07/01/per-farla-finita-con-lhomo-oeconomicus/

Lavoro/Wagenknecht

Sahra Wagenknecht – Contro la sinistra neoliberale – Fazi (2022)

L’automatizzazione e la razionalizzazione dei processi produttivi hanno contribuito al massimo per un quarto alla perdita di posti di lavoro nelle industrie delle economie occidentali.
La scomparsa di tutti gli altri posti di lavoro e’ invece dipesa da decisioni politiche e cambi di rotta che avrebbero potuto essere evitati.
Nella deindustrializzazione del mondo occidentale ha svolto un ruolo determinante la globalizzazione, ovvero l’internazionalizzazione delle catene produttive.
Le imprese che avevano finora mantenuto la produzione nei paesi industrializzati hanno spostato parte delle loro attivita’ nei paesi piu’ poveri, in particolare in Cina e nell’Asia orientale, oppure hanno cominciato a farsi consegnare componenti dei loro prodotti direttamente dall’estero. In questo modo il lavoro piu’ oneroso degli operai occidentali e’ stato sostituito da quello a buon mercato di lavoratori privi di tutele giuridiche […]
Ulteriori risparmi sui costi attraverso la globalizzazione sono derivati dal fatto che all’estero spesso non vengono rispettati gli standard sociali e ambientali ne’ altre prescrizioni giuridiche che valgono invece nei paesi occidentali e hanno reso la produzione piu’ costosa.
L’internazionalizzazione della produzione ha cosi’ offerto alle multinazionali anche un nuovo modo per evitare le tasse.
Non c’e’ da sorprendersi se le imprese che mirano soltanto a ricavare denaro dal denaro sfruttino avidamente le occasioni offerte dalla globalizzazione […]
A cambiare veramente il corso delle cose e’ stata non tanto la tecnologia, quanto la politica. Sono stati i politici a rinunciare al controllo sui capitali e ad aprire la strada a investimenti diretti internazionali. Sono stati i politici a smettere di compensare le differenze nei costi di produzione attraverso dazi doganali e anche solo a contenere il dumping tributario. Sono stati i politici a promuovere accordi per la difesa degli investimenti e la protezione a livello globale dei diritti delle marche, dei brevetti e degli autori per garantire un contesto giuridico il piu’ possibile vantaggioso per gli investimenti esteri delle multinazionali.
Questo e’ avvenuto perche’ le imprese e le lobby hanno fatto valere tutto il loro peso, denaro e potere economico per pilotare queste decisioni. La politica però non si sarebbe dovuta immischiare.

Info:
https://www.lafionda.org/2022/06/15/recensione-di-contro-la-sinistra-neoliberale-di-sahra-wagenknecht/
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2022/05/wagenknecht-lespresso.pdf
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2022/06/wagenknecht-domenica-il-sole-24-ore.pdf
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2022/07/wagenknecht-il-fatto-quotidiano.pdf
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2022/11/wagenknecht-lindice-dei-libri-del-mese.pdf
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2022/07/wagenknecht-avvenire.pdf
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-recensione_di_contro_la_sinistra_neoliberale_di_sahra_wagenknecht/39329_46608/

Societa’/Giacomini

Giacomini Gabriele, Alex Buriani – Il governo delle piattaforme. I media digitali visti dagli italiani – Giacomini Gabriele, Alex Buriani – Meltemi (2022)

La storia di Internet e delle tecnologie digitali ha vissuto finora due epoche.
Nella prima, il digitale era prevalentemente pubblico.
Il settore dell’informatica […] e’ nato in istituti di ricerca statali e nell’ambito di una fitta rete pubblico-privata, con il robusto sostegno di programmi di ricerca e appalti governativi. Si pensi al ruolo della Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di tecnologie per uso militare, nella “costruzione” di Internet.
Quest’ultima nasce dalla preoccupazione che le reti di comunicazione potessero collassare in seguito a un attacco militare: si penso’, quindi, a un sistema di comunicazioni decentralizzato, quindi meno vulnerabile. Negli anni DARPA creo’, insieme alle Poste britanniche, una rete di stazioni dislocate sia sulla costa occidentale sia su quella orientale degli Stati Uniti. Inoltre, fu sui computer del CERN di Ginevra (Organizzazione europea per la ricerca nucleare finanziata dai governi europei) che Tim Berners-Lee e Robert Cailliau implementarono il primo “http”, protocollo fondamentale per il trasferimento di ipertesti.
Infrastruttura e linguaggio di Internet nacquero, insomma, quasi interamente nel “ventre pubblico”.
Percorsi simili hanno avuto il GPS, Siri, lo schermo a cristalli liquidi, quello multitouch, il microprocessore, le batterie al litio, il micro hard disk, per fare alcuni esempi.
Sulla base di queste innovazioni e’ emersa, grossomodo negli ultimi trent’anni, la seconda epoca digitale, che vede come protagoniste Google, Apple, Amazon, Microsoft, Facebook, aziende che non a caso sono cresciute negli Stati Uniti, ovvero laddove, nella prima fase, e’ stata maggiore la spinta dello Stato (in particolare nel settore militare). Questa seconda epoca non e’ piu’ a trazione pubblica, bensi’ privata […]
L’innovazione e’ un processo nel quale il capitale privato e’ disposto a investire solo in una fase “finale”, o meglio quando sono visibili le potenzialita’ delle tecnologie in termini di ritorni finanziari.
Si spiega, in questo modo, il fatto che la gran parte delle grandi piattaforme, che ora dominano al vertice i mercati azionari, emergono dopo che lo Stato americano ha scelto di investire in determinati settori, implementando politiche industriali importanti, e basano il loro business su opportunita’ tecnologiche e di mercato associate all’intensita’ degli investimenti pubblici antecedenti.
La “capitalizzazione” privata degli investimenti pubblici nel settore digitale corrisponde, storicamente, all’ondata neoliberista.

Info:
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/roberto-manzocco-il-sole-24-ore-4-giugno-2023-italiani-preoccupati-per-il-diritto-alloblio-su-il-governo-delle-piattaforme-di-g.-giacomuni-e-a.-buriani-meltemi.pdf
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/05/finalmente-un-libro-non-apocalittico-su-internet-ecco-il-governo-delle-piattaforme/6955609/
https://www.carmillaonline.com/2023/01/18/il-governo-delle-piattaforme-digitali/
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-governo-delle-piattaforme-di-gabriele-giacomini-e-alex-buriani/

Economia di mercato/Undiemi

Lidia Undiemi – La lotta di classe nel XXI secolo. La nuova offensiva del capitale contro i lavoratori: il quadro mondiale del conflitto e la possibile reazione democratica – Ponte alle Grazie (2021)

Per comprendere gli effetti della globalizzazione sul conflitto di classe e sulle democrazie mondiali, occorre dare uno sguardo al modo in cui le multinazionali si sono espanse nel mondo, e all’influenza che queste sono capaci di esercitare sui sistemi politici nazionali.
Il termine «multinazionale» sta a indicare un’impresa che organizza e coordina attivita’ che travalicano i confini nazionali […]
In pratica, la multinazionale si espande nel mondo usando il modello di gruppo di societa’, in cui le societa’ che vi appartengono sono legate da rapporti di controllo societario.
Un importante indicatore economico del legame fra sviluppo delle multinazionali e utilizzo di societa’ controllate sono gli Investimenti Diretti Esteri (IDE), che un operatore di mercato effettua in un Paese diverso da quello in cui risiede il centro direttivo della sua attivita’ (la holding).
L’investimento viene realizzato mediante acquisizione di partecipazioni dell’impresa che si intende controllare all’estero (IDE Brownfield o M&A), oppure attraverso la creazione di una filiale nel Paese in cui ci si intende insediare (IDE Greenfield).
Cio’ al fine di consentire alla societa’ madre di esercitare i poteri di direzione e di gestione della societa’ partecipata o costituita.
L’integrazione dei mercati a livello mondiale e’ dipesa in misura sempre maggiore dagli IDE, con operazioni di fusione e acquisizioni societarie internazionali.
Gli IDE possono assumere la forma di investimenti orizzontali o verticali. I primi consistono nel trasferimento di capitali, tecnologia e piu’ in generale di quei fattori che consentono la produzione in loco, per soddisfare il mercato locale; tale strategia viene definita anti-trade, poiche’ elimina la pratica dell’esportazione. Gli investimenti verticali si hanno invece quando il processo di internazionalizzazione dell’impresa passa attraverso la delocalizzazione dei vari stadi della produzione, i cui beni, attenzione, non sono destinati a essere consumati esclusivamente laddove vengono prodotti, ma a soddisfare le esigenze di consumo di altri Paesi.
Per tale ragione questa forma di IDE viene considerata pro-trade, cioe’ che stimola il commercio internazionale. Quest’ultima tipologia di investimenti diretti si e’ notevolmente sviluppata a partire dalla seconda meta’ degli anni Novanta, dando luogo a ingenti piani di delocalizzazione produttiva.

Info:
https://www.lidiaundiemi.it/libri/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.sinistrainrete.info/politica/23735-lidia-undiemi-reagire-e-non-aspettare-il-manifesto-della-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo.html
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lidia_undiemi__reagire_e_non_aspettare_il_manifesto_della_lotta_di_classe_nel_xxi_secolo/39130_47187/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/05/undiemi-la-pace-sociale-e-una-trappola-per-i-lavoratori-serve-una-ripresa-della-conflittualita-dal-governo-mi-attendo-nuova-riforma-lavoro/6120731/

Capitalismo/Chomsky

Noam Chomsky – Così va il mondo – Piemme (2017)

Nel 1970 circa il 90% del capitale internazionale era destinato al commercio e a investimenti a lungo termine, mentre il restante 10% veniva investito in speculazioni.
Entro il 1990 questi dati si erano completamente invertiti: il 90% era destinato alla speculazione e il 10% al commercio e agli investimenti a lungo termine.
Non solo questo cambiamento radicale ha influenzato la natura del capitale finanziario, privo di ogni controllo, ma anche il volume di questo tipo di transazioni si e’ accresciuto a dismisura.
Secondo una recente stima della Banca Mondiale, circa 14 trilioni di dollari vengono spostati nel mondo, e di questi un trilione si muove ogni giorno. Questo enorme volume di capitali di natura principalmente speculativa crea pressioni che si traducono in politiche economiche deflazionistiche, perche’ quel che il capitale speculativo vuole e’ una crescita bassa e una bassa inflazione.
Questo sta spingendo gran parte del mondo verso un nuovo equilibrio economico fatto di bassa crescita e bassi salari.
Cio’ rappresenta un attacco micidiale agli sforzi dei governi di stimolare l’economia.

Info:
https://www.lapoesiaelospirito.it/2017/09/15/noam-chomsky-cosi-va-il-mondo/
https://www.ibs.it/cosi-va-mondo-libro-vari/e/9788856626674

Geoeconomia/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

L’industria dello sviluppo ama riferirsi ai paesi poveri con un aggettivo dal significato passivo, sottosviluppati.
Ma forse sarebbe piu’ accurato adottare un verbo transitivo, sottosviluppare, cioe’ l’azione di una potenza esterna che impedisce, cancella o inverte lo sviluppo di una nazione povera.
Dopotutto, come vedremo, non e’ che la poverta’ sia qualcosa che semplicemente esiste: la poverta’ e’ stata creata […]
Alla fine del 2016, la Global Financial Integrity, una Ong americana, e il Centro di ricerca applicata della Norwegian School of Economics hanno pubblicato alcuni dati che cambiano completamente la nostra prospettiva. Hanno calcolato tutte le risorse finanziarie trasferite ogni anno fra paesi ricchi e paesi poveri: non solo aiuti, investimenti esteri e flussi commerciali, come avevano fatto studi precedenti, ma anche altri tipi di trasferimenti, come remissioni del debito, rimesse degli emigranti e fughe di capitali.
E’ la valutazione di trasferimenti di risorse piu’ esaustiva che sia stata fatta finora. Il risultato e’ che nel 2012, l’ultimo anno per cui erano disponibili dati, i paesi in via di sviluppo hanno ricevuto poco piu’ di 2000 miliardi di dollari, compresi tutti gli aiuti, investimenti e redditi dall’estero. Nello stesso anno, pero’, piu’ del doppio di quella cifra, qualcosa come 5000 miliardi di dollari, ha seguito il percorso inverso.
In pratica, i paesi in via di sviluppo hanno «inviato» al resto del mondo 3000 miliardi di dollari in piu’ rispetto a quelli che hanno ricevuto […]
In che cosa consistono questi enormi deflussi?
Una parte e’ rappresentata dai pagamenti degli interessi sul debito. Oggi i paesi poveri pagano ogni anno oltre 200 miliardi di dollari solo in interessi a creditori esteri, per la maggior parte relativi a vecchi prestiti che sono gia’ stati largamente rimborsati e in parte relativi a prestiti accumulati da dittatori avidi […]
Un altro apporto significativo e’ rappresentato dal reddito che gli stranieri incassano dai loro investimenti nei paesi in via di sviluppo, e che si riportano in patria. Pensate a tutti i profitti che ricava la Shell dalle riserve petrolifere della Nigeria, per esempio […]
Poi ci sono i profitti che i cittadini europei e americani ottengono dagli investimenti in azioni e obbligazioni del Sud del mondo, attraverso i loro fondi pensione […]
Ma la fetta dei deflussi di gran lunga piu’ grande e’ quella relativa alle fughe di capitali […]
3000 miliardi di dollari di deflussi netti totali annui sono una somma ventiquattro volte superiore agli stanziamenti annuali per gli aiuti. In pratica, per ogni dollaro di aiuti che ricevono, i paesi in via di sviluppo ne perdono ventiquattro in deflussi netti. Naturalmente, si tratta di una cifra totale: per alcuni paesi la proporzione e’ maggiore, per altri minore. Ma in tutti i casi i deflussi netti privano i paesi in via di sviluppo di un’importante fonte di entrate e finanziamenti che potrebbero essere impiegati per lo sviluppo.

Info:
https://www.ibs.it/the-divide-guida-per-risolvere-libro-jason-hickel/e/9788842824961/recensioni
https://www.culturamente.it/libri/politica-economica-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/the-divide/

Finanziarizzazione/Patel

Raj Patel, Jason W. Moore – Una storia del mondo a buon mercato. Guida radicale agli inganni del capitalismo – Feltrinelli (2018)

Quando le occasioni di profitto si sono fatte piu’ rare nelle regioni solite di produzione ed estrazione, i capitalisti hanno preso i propri profitti e li hanno messi nella distribuzione del denaro.
E’ una ragione per cui dopo ogni grande boom nel capitalismo mondiale, quello olandese di meta’ Seicento, quello britannico a meta’ Ottocento e l’epoca d’oro americana del dopoguerra, e’ scattato un fenomeno che gli esperti chiamano finanziarizzazione. In periodi del genere il capitalismo si allontanava dalle iniziative industriali e commerciali piu’ antiquate e meno profittevoli per passare a forme di distribuzione dei soldi. Invece di assumere dipendenti che significano grattacapi, di costruire stabilimenti costosi, di comprare materie prime e produrre una merce, erano sempre piu’ numerosi i capitalisti che si dedicavano a qualcosa di piu’ semplice e (per un po’) piu’ attraente: prestare soldi e fare scommesse speculative sul futuro.
In questo senso la finanziarizzazione e’ in pratica una scommessa su una futura, piu’ proficua, rivoluzione industriale.
Oggi viviamo in un’epoca del genere, e la storia non ci conforta riguardo il probabile epilogo: di solito questi cicli di accumulazione si concludono con una guerra, e con l’avvento di nuove potenze finanziarie.

Info:
https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/una-storia-del-mondo-a-buon-mercato/
https://www.perunaltracitta.org/2019/04/15/una-storia-del-mondo-a-buon-mercato/?print=pdf
https://www.unilibro.it/libro/patel-raj-moore-jason-w-/storia-mondo-buon-mercato-guida-radicale-inganni-capitalismo/9788807173417

Finanziarizzazione/Klein

Matthew C. Klein, Michael Pettis – Le guerre commerciali sono guerre di classe. Come la crescente disuguaglianza corrompe l’economia globale e minaccia la pace internazionale – Einaudi (2021)

Commercio e finanza sono legati tra loro da migliaia di anni.
In generale, ci sono tre modi di intendere questa relazione, e ognuno di questi modelli teorici parte da presupposti molto diversi sulle origini e le conseguenze degli squilibri commerciali.
Primo, i flussi internazionali possono essere costituiti soprattutto da finanziamenti al commercio; in altri termini, le transazioni finanziarie sono determinate dai rispettivi costi di produzione e di trasporto […]
Per quanto possano esserci problemi con la distribuzione dei benefici, in generale l’economia globale trae inequivocabilmente giovamento da questo tipo di commercio.
Secondo, i flussi finanziari internazionali possono consistere principalmente di investimenti razionali che cercano le opportunita’ piu’ produttive in giro per il mondo.
In questo scenario, e’ probabile che il finanziamento proceda da economie ricche e mature verso economie emergenti in rapido sviluppo, cosicche’ gli squilibri commerciali di solito consistono in un avanzo commerciale delle prime e in un disavanzo commerciale delle seconde […]
Anche in questo caso, sebbene possano esserci problemi nella distribuzione dei benefici, l’economia globale complessiva trae inequivocabilmente vantaggio da questo tipo di commercio e di investimento, perche’ aiuta le economie meno produttive ad accorciare le distanze con societa’ all’avanguardia tecnologica.
Terzo, i flussi finanziari internazionali possono essere determinati da un’ampia varieta’ di fattori, come l’investimento razionale, la speculazione, la fuga dei capitali, le mode, il panico, il mercantilismo, il desiderio di sicurezza e cosi’ via.
Se pero’ gli squilibri commerciali sono dovuti a tale combinazione di flussi finanziari, qualsiasi legame tra il commercio in crescita e una maggiore prosperita’ e’ solo casuale

Info:
https://www.lavoce.info/archives/68783/guerre-commerciali-e-disuguaglianze/
https://www.repubblica.it/robinson/2020/08/18/news/bentornata_cara_vecchia_lotta_di_classe-300827708/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/11/i-super-ricchi-alla-base-delle-crisi-come-evitarlo-misure-fiscali-parla-lautore-del-libro-che-lega-guerre-commerciali-e-lotta-di-classe/6009245/

Economia di mercato/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Oggi, il reddito di un italiano e’ in media il
74,5% di quello tedesco (era stato il 94,6% nel
1996) e l’80,3% di quello francese (era stato il
97% nel 1996). E anche nei confronti della Spagna la distanza si e’ accorciata – sono loro che corrono mentre noi arranchiamo: il nostro reddito era del 47% superiore a quello spagnolo nel 1985 (la distanza maggiore di sempre), ma poi ha iniziato a calare e oggi il reddito pro capite italiano e’ appena maggiore del 6,8%.
Molto si e’ discusso in questi anni sulle ragioni di tale rallentamento dell’economia italiana, se esso sia dovuto ad una piu’ lenta dinamica della domanda aggregata – consumi privati, investimenti e spesa pubblica – e delle esportazioni o se, viceversa, non dipenda da fattori piu’ “strutturali”, che hanno a che fare con cio’ che produciamo e come: ovvero dalla produttivita’.
Nelle considerazioni di studiosi, commentatori e finanche rappresentanti delle istituzioni – come quelle del governatore
della Banca d’Italia, Ignazio Visco – il tema della
bassa crescita della produttivita’ appare ormai ricorrente: «l’Italia non cresce perche’ non cresce la produttivita’» […]
Quali sono le cause dello scarso aumento della produttivita’?
Se maggiore produttivita’ vuol dire maggiore efficienza e redditivita’ dei fattori impiegati e’ quindi una questione di tecnologia, di organizzazione e di competitivita’ sistemica, che vuol dire nuove idee, innovazioni nei prodotti, nei processi e nell’organizzazione.
Le imprese italiane e l’economia nel suo complesso hanno potuto sopravvivere negli ultimi anni grazie alla diminuzione dei salari – si e’ prodotto piu’ valore (poco) aumentando l’occupazione ma diminuendo i salari, invece di innovare, riorganizzare e rendere il sistema piu’ efficiente.
Cosa vuol dire tutto questo? Che si e’ investito poco.
Gli investimenti pubblici e privati sono calati e sono bassi da piu’ di due decenni. E soprattutto, sono calati gli investimenti in ricerca e sviluppo (dove nasce l’innovazione), sia quelli pubblici (ricerca e universita’) sia quelli privati.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
https://www.letture.org/le-radici-del-populismo-disuguaglianze-e-consenso-elettorale-in-italia-pier-giorgio-ardeni

Economia di mercato/Jacobs

Michael Jacobs, Mariana Mazzucato – Ripensare il capitalismo – Laterza (2017)

Un ripensamento del capitalismo in questi termini poggia su tre intuizioni fondamentali […]
La prima e’ che abbiamo bisogno di una descrizione piu’ ricca dei mercati e delle imprese al loro interno […]
I mercati vanno concepiti come risultati di interazioni tra operatori economici e istituzioni, sia pubbliche che private. Questi risultati dipenderanno dalla natura degli operatori (per esempio le varie strutture di gestione delle imprese), dalle loro dotazioni e motivazioni, dai vincoli imposti dal corpus legislativo e normativo e dai contesti culturali e dalla natura specifica delle transazioni che vi si svolgono […]
Negli ultimi trent’anni, la visione ortodossa che sostiene che la massimizzazione del valore per l’azionista produce la maggiore crescita economica possibile ha assunto un ruolo dominante nella teoria e nella pratica dell’attività imprenditoriale, in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna […]
In Germania, in Scandinavia e in Giappone, per esempio, le aziende sono strutturate, sia con riguardo al diritto societario sia con riguardo alla cultura aziendale, come istituzioni che rendono conto a un più vasto numero di stakeholders (dipendenti compresi), con la produzione e la redditivita’ di lungo termine quale missione primaria. Sono capitaliste anch’esse, ma si comportano in modo diverso […]
La seconda intuizione fondamentale e’ che la forza trainante della crescita economica e dello sviluppo sono gli investimenti, sia pubblici che privati, nell’innovazione tecnologica e organizzativa.
La diffusione di queste innovazioni nell’economia influenza non soltanto i modelli di produzione, ma anche i modelli di distribuzione e di consumo. Negli ultimi duecento anni e’ stata la fonte primaria di miglioramenti della produttivita’, e dei conseguenti aumenti del tenore di vita […]
Il riconoscimento del ruolo del settore pubblico nel processo di innovazione e’ strettamente attinente alla terza intuizione fondamentale, e cioe’ che la creazione di valore economico e’ un processo collettivo. Le imprese non creano ricchezza da sole: nessuna azienda oggi puo’ operare senza i servizi fondamentali forniti dallo Stato: scuole e università, servizi sanitari e sociali, case popolari, previdenza sociale, polizia e difesa, infrastrutture fondamentali come i sistemi di trasporto, le reti energetiche e idriche e i sistemi di smaltimento dei rifiuti. Questi servizi, il livello di risorse di cui dispongono e il tipo di investimenti che vengono effettuati in essi, sono cruciali per la produttivita’ delle imprese private.
Non e’ vero che il settore privato «crea ricchezza» mentre i servizi pubblici finanziati dai contribuenti la «consumano». Lo Stato non si limita a «regolare» l’attivita’ economica privata: il Pil e’ coprodotto.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ripensare-capitalismo-mazzucato-jacobs/
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/12017-lorenzo-cattani-note-su-ripensare-il-capitalismo-di-m-mazzucato-e-m-jacobs.html
https://www.anobii.com/books/Ripensare_il_capitalismo/9788858127445/0151bee1e81a684e52
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858127445