Lavoro/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Popolo, potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento – Einaudi (2020)

E’ grande l’apprensione con cui si guarda al mercato del lavoro.
Nel XX secolo abbiamo creato macchine piu’ forti degli esseri umani. Oggi possiamo fabbricarne anche di piu’ efficienti, per quanto riguarda i lavori di routine. Ma l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida superiore.
Possiamo fabbricare macchine che non soltanto portano a termine meglio degli esseri umani i compiti per cui sono state programmate, ma imparano anche meglio, per lo meno in certi ambiti.
Le macchine possono conseguire risultati migliori di noi in diversi impieghi cruciali per il mondo di oggi […]
Naturalmente, in via di principio, l’avanzare della tecnologia dovrebbe riuscire a far vivere meglio tutti i cittadini, cosi’ come dovrebbe farlo la globalizzazione. Con l’avanzare della tecnologia, infatti, la dimensione della torta nazionale cresce e, se la torta da distribuire e’ piu’ grande, tutti in teoria potrebbero riceverne una fetta piu’ grossa.
Ma, con le macchine che sostituiscono il lavoro, cio’ non
accade automaticamente: la diminuzione della domanda di personale, e soprattutto di manodopera non qualificata, fara’ scendere i salari, e dunque il reddito dei lavoratori, anche se il reddito nazionale aumentera’ […]
L’economia del trickle down (economia della percolazione dall’alto verso il basso o effetto cascata) in questo caso non funzionera’, proprio come non ha funzionato con la globalizzazione.
Il governo, tuttavia, puo’ fare in modo che tutti, o per lo meno la maggior parte delle persone, possano prosperare.
Esistono almeno quattro insiemi di politiche necessarie allo scopo.
1) Garantire che le regole del gioco economico siano piú eque […]. Rafforzare il potere di mercato dei lavoratori e indebolire il potere monopolistico delle imprese puo’ creare un’economia piu’ efficiente e piu’ equa.
2) I diritti di proprieta’ intellettuale possono essere definiti in modo che i frutti dei passi in avanti della tecnologia, gran parte dei quali avviene grazie alle fondazioni finanziate dal governo che sostengono la ricerca pura, siano condivisi a piu’ ampio raggio.
3) Politiche fiscali progressive e politiche di spesa pubblica possono contribuire a ridistribuire il reddito.
Infine,
4) si deve riconoscere il ruolo del governo nel facilitare il passaggio dell’economia dalla manifattura al settore dei servizi

Info:
https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/capitalismo-progressista-un-ossimoro
https://www.italypost.it/popolo-potere-profitti-joseph-stiglitz/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/15/neoliberismo-stiglitz-per-superarlo-serve-un-capitalismo-progressista-che-recida-legami-tra-potere-economico-e-politica/5257897/

Capitalismo/Canfora

Luciano Canfora – La schiavitu’ del capitale – Il Mulino (2017)

Errore fu credere che quella manche terribile che si e’ giocata per tutto il Novecento, messa in moto dalla “Grande guerra”, fosse l’ultimo atto della storia.
Il brusco risveglio fu determinato dal crollo del lungo, ostinato, alla fine insostenibile, esperimento di “socialismo” […]
Esso ci ha insegnato molte cose:
1) che la partita e’ solo agli inizi;
2) che il modello capitalistico (in tutte le sue proteiformi manifestazioni) ha conquistato, alla fine del Novecento, la gran parte del pianeta espugnando e pervadendo di se’ Russia e Cina;
3) che solo ora il capitalismo e’ davvero un sistema di dominio mondiale ma non ha di fronte che spezzoni di organizzazioni per lo piu’ sindacali e inevitabilmente settoriali giacche’ il capitale e’ davvero “internazionalista” avendo dalla sua la cultura ed ogni possibile risorsa,mentre gli sfruttati sono “dispersi e divisi” (dalle religioni, dal razzismo istintuale etc.);
4) che, per funzionare, secondo la sua logica del sempre maggior profitto e della lotta spietata per la conquista dei mercati, il capitale ha ripristinato ormai forme di dipendenza di tipo schiavile: non solo in vaste aree dei mondi dipendenti ma creando sacche di lavoro schiavile anche all’interno delle aree piu’ avanzate;
5) che questo fa ovviamente regredire su un piano piu’ generale i “diritti del lavoro” conquistati, in Occidente, grazie alla novecentesca contrapposizione di sistema;
6) che, per gestire questa impressionante mescolanza tra varie forme di dipendenza incluse quelle schiavili e semi-schiavili,
il contributo della grande malavita organizzata e’ fondamentale.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-schiavitu-del-capitale-canfora/
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-schiavitu-del-capitale

Lavoro/Bauman

Zygmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

Fin dall’avvento della societa’ industriale si diffuse la convinzione che il numero di lavoratori era destinato a crescere incessantemente e l’intero edificio sociale avrebbe assunto la fisionomia di una fabbrica gigantesca, dove ogni uomo valido avrebbe svolto un’utile funzione produttiva.
Il pieno impiego divenne pertanto la norma, il fine ultimo a cui tendere […]
Nella prima fase dell’epoca industriale, il lavoro era concepito dunque, al tempo stesso, come il fulcro della vita individuale e di quella collettiva, oltre a essere considerato l’indispensabile strumento di riproduzione dell’intero sistema sociale.
Sul piano individuale, esso garantiva la possibilita’ di sopravvivenza. Ma il “tipo” di attivita’ svolta definiva anche la posizione che si poteva raggiungere nell’ambito della propria comunita’ e del mondo esterno piu’ in generale.
Da questo punto di vista, era il principale fattore di identita’ sociale e di autostima […]
Per la maggior parte della popolazione maschile in crescita, il lavoro, nella moderna società industriale – che apprezzava soprattutto la capacita’ di scelta e di autoaffermazione degli individui – era la condizione indispensabile per sviluppare e difendere la propria identita’. I progetti di vita potevano derivare da molteplici ambizioni, tutte pero’ condizionate dal tipo di attivita’ professionale che si intendeva abbracciare o che si era costretti a svolgere. Quest’ultima, scandiva l’intera esistenza; determinava non solo i diritti e i doveri direttamente inerenti a essa, ma anche le aspettative riguardanti lo stile di vita, il modello di famiglia, la vita sociale e il tempo libero, il senso delle convenienze e la routine quotidiana.
Era, insomma, l’unica «variabile indipendente» che consentiva di organizzare e prevedere tutto il resto.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html
https://sociologia.tesionline.it/sociologia/libro.jsp?id=1714

Lavoro/De Biase

Luca De Biase – Il lavoro del futuro – Codice (2018)

La tecnologia crea posti di lavoro o li distrugge?
Entrambe le risposte sono plausibili, perche’ il salto innovativo e’ enorme: e anche se internet, fissa e mobile, ha gia’ generato cambiamenti dirompenti in molti settori industriali, dall’editoria al commercio, dal turismo alle banche, la prossima ondata innovativa guidata dall’intelligenza artificiale e dalla robotica sembra destinata ad avere conseguenze ancora piu’ drastiche e ambigue.
Da un lato, la Commissione Europea fonda la propria policy sulla convinzione che il miglioramento nelle infrastrutture digitali e’ motivo di crescita: la modernizzazione delle connessioni internet e’ un investimento gigantesco che produrra’ quasi 1000 miliardi di euro di PIL in piu’ e 1,3 milioni di posti di lavoro entro il 2025.
D’altro lato, pero’, non manca chi vede proprio nelle tecnologie digitali una causa della distruzione di posti di lavoro, preoccupazione alimentata per esempio da una ricerca – di notorieta’ superiore alla sua ambizione analitica – condotta da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, dell’Universita’ di Oxford, che nel 2013 annunciava la probabile scomparsa del 47 per cento dei posti di lavoro statunitensi nei prossimi dieci-vent’anni […]
Ma vale la pena di ricordare che per Keynes le nazioni in cui la tecnologia distrugge piu’ posti di lavoro di quanti ne crea sono quelle non all’avanguardia del progresso tecnologico. Puo’ esserci una «disoccupazione tecnologica», sosteneva l’economista, ma a causa delle dinamiche competitive questa finisce per affliggere soprattutto chi innova di meno, perche’ crea meno posti.
L’Italia e’ costretta a riflettere su questo punto.
A dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria la disoccupazione nei Paesi OCSE e’ tornata ai livelli pre-2007-2008, ma in alcune economie resta sensibilmente peggiore. E tra queste economie c’e’ anche quella italiana.
L’Italia, peraltro, come registra lo “scoreboard” dell’agenda digitale europea, resta tra i Paesi meno avanzati in termini di digitalizzazione, e quindi di innovazione, dei processi amministrativi e imprenditoriali, sia per l’arretratezza delle infrastrutture sia per l’immaturita’ culturale e l’analfabetismo funzionale che la pervade, con uno stravolgente 47 per cento di persone che sanno leggere ma non capiscono bene quello che leggono.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/lavoro-del-futuro-luca-de-biase/
https://opentalk.iit.it/rubrica-book-review-il-lavoro-del-futuro/

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simine Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

L’assunto incontrastato che domina il dibattito pubblico e’ che ogni provvedimento del governo deve fungere da stimolo alla produttivita’ del lavoro per rendere le imprese piu’ competitive.
Parlare solo di produttivita’ del lavoro, pero’, e non dell’intera struttura produttiva o dei costi totali per ciascuna impresa, e’ un atto deliberato.
Significa porre al centro della questione solo una sua parte, evitando di far accendere i riflettori sugli altri fattori produttivi che dipendono unilateralmente dalle scelte aziendali, come ad esempio il tipo di macchinari impiegati e quindi gli investimenti.
Puntano sempre il dito contro il costo del lavoro.
Tutti gli sforzi del governo, qualsiasi esso sia, devono necessariamente essere orientati alla compressione del costo del lavoro: salari, contributi sociali e previdenziali.
Come detto, in Italia questo ritornello va avanti da diversi decenni e la scarsa dinamica dei salari e’ fatta dipendere proprio dagli scarsi livelli di produttivita’ del nostro sistema economico […]
La cattiva fede dei sostenitori del taglio ai salari come volano della produttivita’ finisce per occultare la realta’ di un tessuto produttivo che nell’ultimo decennio ha vissuto un progressivo impoverimento, per cause non certo misteriose, ma tutte interne al processo di accumulazione capitalistico, sia in ambito nazionale che internazionale, Europa compresa.
Di nuovo: dalla crisi del 2008, infatti, l’industria manifatturiera italiana ha perso circa il 15% del suo apparato produttivo, mentre il volume in termini di valore aggiunto nel 2017 e’ di
10 miliardi in meno rispetto a quello registrato nel 2007, secondo quanto emerge dai dati del Rapporto annuale 2018 dell’Istat. Per non parlare dello slittamento dell’occupazione dai settori industriali a quelli dei servizi a basso valore aggiunto (alloggi, ristorazione, magazzinaggio).
Queste dinamiche dovrebbero spingere le forze di governo ad avviare una seria politica di investimenti, capaci di colmare nel medio periodo il gap tecnologico e di specializzazione che attanaglia l’economia italiana, unitamente a una politica salariale che sia almeno dignitosa […]
Un sistema produttivo che puo’ continuare ad accaparrarsi quote di profitto, aumentando il saggio di sfruttamento della forza lavoro, non ha alcuna urgenza a investire per migliorare la propria dotazione di capitale.
Quello che e’ avvenuto in Italia dagli anni Novanta sino al secondo decennio degli anni Duemila e’ esattamente questo: i profitti accumulati dalle imprese non sono stati reinvestiti nell’economia, generando un aumento della rendita tra il 1990 e il 2013 dell’84%, mentre la quota degli investimenti in rapporto ai profitti e’ caduta del 47%

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Economia di mercato/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Oggi la disponibilita’ di manodopera non rappresenta piu’ un problema per il capitale, come non lo e’ stato negli ultimi venticinque anni.
Ma se la forza lavoro non ha potere, i salari ristagnano e i lavoratori privi di mezzi non danno vita a un mercato vivace.
La persistente compressione dei salari pone dunque il problema di una domanda insufficiente per i beni e i servizi prodotti in quantita’ sempre maggiori dalle imprese capitalistiche.
Un ostacolo all’accumulazione di capitale, ovvero la questione del lavoro, viene superato soltanto creandone un altro, cioe’ l’assenza di un mercato.
Come fare ad aggirare questo secondo ostacolo? Il divario tra i guadagni dei lavoratori e la loro capacita’ di spesa e’ stato colmato dall’avvento delle carte di credito e dalla crescita dell’indebitamento.
Negli anni ottanta il debito delle famiglie statunitensi si attestava in media a circa 40.000 dollari (in termini reali); oggi e’ salito a 130.000 dollari a famiglia, mutuo compreso.
L’esplosione del debito e’ stata favorita dall’azione di istituti finanziari che hanno sostenuto e promosso l’indebitamento dei
lavoratori, i cui redditi non accennavano ad aumentare.
Inizialmente il fenomeno ha interessato la popolazione con un impiego stabile, ma alla fine degli anni novanta si e’ reso necessario spingersi oltre, perche’ il mercato era esausto; bisognava percio’ estenderlo alle fasce di reddito piu’ basse.
Societa’ di credito immobiliare come Fannie Mae e Freddie Mac, sottoposte a pressioni politiche, hanno allentato i cordoni della borsa per tutti; gli istituti finanziari, inondati di credito, hanno cominciato a concedere prestiti anche a chi non aveva un reddito stabile.
Se cio’ non fosse accaduto, chi avrebbe comprato tutte le nuove case e i nuovi appartamenti costruiti dalle imprese edilizie mediante il ricorso all’indebitamento?
Il problema della domanda nel settore immobiliare e’ stato temporaneamente risolto finanziando sia i costruttori sia i compratori. Gli istituti finanziari, nel loro insieme, hanno finito per controllare sia l’offerta sia la domanda di immobili residenziali.
Una dinamica analoga si e’ verificata con tutte le forme di credito al consumo erogato per l’acquisto di ogni sorta di beni, dalle auto alle macchine tosaerba ai regali di Natale, comprati a piene mani nelle grandi catene come Toys “R” Us eWal-Mart.
Tutto questo indebitamento era ovviamente rischioso, ma il problema poteva essere superato grazie a mirabolanti innovazioni finanziarie come la cartolarizzazione, che apparentemente spalmava il rischio su un gran numero di investitori, creando persino l’illusione di farlo scomparire.
Il capitale finanziario fittizio ha preso il comando, ma nessuno ha voluto fermarlo, perché tutti quelli che contavano sembravano guadagnare un sacco di soldi.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Lavoro/De Biase

Luca De Biase – Il lavoro del futuro – Codice (2018)

Si delineano alcune evidenze:
1. C’è un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Ma se chi non innova perde occupazione, chi innova puo’ crearne.
2. Per ora, l’intelligenza artificiale non riduce il lavoro, anzi ne crea. Ma alcune tecnologie eliminano posti in fretta e creano occupazione lentamente.
3. La lentezza e’ dovuta al fatto che per usare bene il digitale occorre una cultura nuova.
4. Per adattare il modo di pensare alla grande trasformazione non occorre tanto “flessibilita’”, quanto “strategia” progettuale.
5. Un’azienda che coinvolge i collaboratori nel progetto di migliorare la produttivita’ e creare prodotti straordinari puo’ crescere, automatizzare la produzione e aumentare l’occupazione.
6. Le aziende innovative tendono sempre meno a comprare il tempo delle persone e sempre piu’ a comprare la loro capacita’ di realizzare progetti.
7. Esiste una tendenza alla polarizzazione: da una parte, persone con elevate conoscenze e ottimi risultati economici; dall’altra, lavoratori con capacita’ e reddito limitati.
8. Mentre le grandi aziende tendono a espellere manodopera alle dirette dipendenze, possono candidarsi come abilitatori di ecosistemi capaci di sviluppare piu’ posti di lavoro.
9. Due scenari si consolidano: a) le piattaforme parcellizzano il lavoro in microattivita’ sottopagate e b) servono alla cooperazione necessaria per generare beni comuni.
10. Occorre una formazione che specializzi e nello stesso tempo apra la mente alla consapevolezza del cambiamento.
11. L’ambito nel quale si progettano e realizzano le soluzioni piu’ concrete e’ quello territoriale. Con la partecipazione di imprese, universita’, enti locali.
12. Per affrontare il futuro occorre saper cambiare, mantenendo pero’ una direzione di fondo: ci si prepara ibridando i saperi e assorbendo in profondita’ le materie fondamentali.
13. Anche i direttori delle risorse umane si modernizzano, e lo fanno guardando al lungo termine: come si investe nelle macchine, si deve investire nelle persone.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/lavoro-del-futuro-luca-de-biase/
https://opentalk.iit.it/rubrica-book-review-il-lavoro-del-futuro/

Lavoro/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Uno dei maggiori ostacoli all’accumulazione sostenuta del capitale e al consolidamento della classe capitalista negli anni sessanta e’ stato il lavoro.
In Europa come negli Stati Uniti c’era penuria di manodopera; i lavoratori erano ben organizzati, ragionevolmente ben retribuiti e avevano peso politico.
Il capitale aveva bisogno di attingere a bacini di manodopera meno cara e piu’ docile, e c’erano vari espedienti per farlo. Uno era incoraggiare l’immigrazione […]
Alla fine degli anni sessanta il governo francese sovvenzionava l’importazione di manodopera dal Nord Africa, i tedeschi accoglievano i turchi, gli svedesi incoraggiavano l’immigrazione degli iugoslavi e i britannici attingevano agli abitanti del loro antico impero.
Un altro modo per accedere a bacini di manodopera a basso costo era quello di sviluppare tecnologie a bassa intensita’ di lavoro, come la robotizzazione nella fabbricazione di automobili, che creavano disoccupazione […]
Se tutto cio’ non avesse sortito gli effetti desiderati, c’erano comunque persone come Ronald Reagan, Margaret Thatcher e il generale Augusto Pinochet pronte a intervenire, armate della dottrina neoliberista, determinate a ricorrere al potere dello Stato per schiacciare le organizzazioni dei lavoratori. Pinochet e i generali argentini lo fecero con la forza militare; Reagan e la Thatcher ingaggiarono uno scontro frontale con i grandi sindacati, sia direttamente – come quando Reagan mise in atto una prova di forza con i controllori del traffico aereo e la Thatcher si scontro’ violentemente con i sindacati dei minatori e dei lavoratori editoriali –, sia indirettamente, attraverso la creazione di disoccupazione […]
Il capitale aveva anche la possibilita’ di recarsi direttamente la’ dove si trovava l’eccedenza di manodopera […] Inondate di un’eccedenza di capitale, le grandi imprese statunitensi avevano cominciato a trasferire la produzione all’estero gia’ alla meta’ degli anni sessanta, ma questo movimento ha preso slancio soltanto un decennio piu’ tardi […]
Il capitale aveva ormai accesso ai bacini di manodopera a basso costo del mondo intero. Quel che e’ peggio, il crollo del comunismo, avvenuto bruscamente nell’ex blocco sovietico e gradualmente in Cina, ha poi aggiunto circa due miliardi di persone alla forza lavoro salariata global.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Lavoro/Bauman

Zygmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

La flessibilita’ e’ diventata la nuova parola d’ordine, che sta a significare vivere nell’incertezza con poche regole, che possono per giunta essere cambiate unilateralmente durante il gioco.
Su queste sabbie mobili non si puo’ certo costruire nulla di duraturo. E la prospettiva di fondare sul lavoro un’identita’ permanente e’ semplicemente esclusa per la stragrande maggioranza delle persone (salvo forse, almeno per il momento, nel caso di quei pochi che svolgono attivita’ altamente qualificate e privilegiate).
Cio’ non di meno, questo grande cambiamento non e’ stato vissuto come uno sconquasso o una minaccia proprio perche’ comporta una ridefinizione dell’identita’ individuale sganciata ormai da ogni ancoraggio alle vecchie attivita’ professionali[…]
Le tendenze oggi in atto in tutto il mondo spingono le economie verso la produzione di beni e servizi effimeri, destinati a breve vita, in un quadro generale di precarieta’ dove prevale il lavoro interinale, flessibile e a tempo parziale.
Al pari dell’attuale mercato del lavoro, qualunque modello di vita prescelto non deve essere duraturo, bensi’ variabile in breve tempo o senza preavviso e aperto a tutte le opzioni o quasi.
Il futuro e’ destinato a riservarci molte sorprese.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Analizzando la struttura occupazionale italiana, tra il 1993 e il 2016, cosi’ come emerge dai dati dell’Indagine sui redditi e la ricchezza delle famiglie (Shiw, acronimo di Survey on Household Income and Wealth) a cura della Banca d’Italia, sono evidenti alcuni cambiamenti di fondo che aiutano a comprendere tanto la divisione del lavoro quanto l’evoluzione dei redditi da lavoro.
La prima, importante conferma e’ che la classe lavoratrice non e’ affatto scomparsa in questi decenni, ma anzi il numero di lavoratori inquadrati come operai o affini, ovvero con basse qualifiche professionali, che riflettono anche il livello dei salari, e’ cresciuto.
Sul totale dei lavoratori, gli operai aumentano dal 36,32 al 39,8% […]
In termini quantitativi e’ come se gli operai del settore manifatturiero si fossero spostati nei comparti del commercio, del magazzinaggio, del turismo e della ristorazione.
Modifiche che interessano notevolmente dal punto di vista qualitativo il tessuto produttivo del nostro paese: da un settore traino dello sviluppo economico, la manifattura – sebbene mai maggioritaria in termini occupazionali –, a settori del terziario a scarsissimo valore aggiunto.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/