Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

Margaret Thatcher, che si ispirava a Milton Friedman, applico’ molte delle stesse politiche in Gran Bretagna nello stesso esatto momento: tassi di interesse alti per contenere l’inflazione, tassazione regressiva (come la poll tax – imposta di capitazione – del 1989) e deregolamentazione finanziaria spinta.
La Thatcher si concentro’ soprattutto sulla guerra contro i sindacati, che secondo lei impedivano all’economia di operare in modo efficiente: nel 1985 sconfisse il Sindacato nazionale dei minatori dopo una battaglia senza esclusione di colpi, e introdusse leggi per limitare i diritti dei lavoratori. Opero’ anche drastici tagli della spesa pubblica e privatizzo’ (il pezzo forte della sua politica economica) gran parte delle famose aziende pubbliche del paese, come la British Petroleum, la British Airways e la Rolls-Royce, oltre a molti servizi pubblici, tra cui l’acqua e l’energia elettrica.
Queste politiche portarono la disuguaglianza sociale a livelli mai visti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
La produzione cresceva costantemente mentre i salari rimanevano al palo, spostando, di fatto, una quota enorme dei profitti dai lavoratori ai proprietari del capitale.
I salari degli amministratori delegati crebbero mediamente del 400 per cento durante gli anni novanta, mentre quelli dei lavoratori di meno del 5 per cento, e negli Stati Uniti il salario minimo scese di oltre il 9 per cento.
La quota del reddito nazionale intercettata dagli strati piu’ alti della societa’ cresceva anch’essa a un ritmo allarmante: negli Stati Uniti, quella dell’1 per cento piu’ ricco e’ aumentata di oltre il doppio, passando dall’8 per cento del 1980 al 18 per cento di adesso; piu’ o meno lo stesso e’ successo in Gran Bretagna, dove la quota dei piu’ ricchi, nello stesso periodo, e’ passata dal 6,5 al 13 per cento.
Secondo i dati del censimento degli Stati Uniti, il 5 per cento piu’ ricco delle famiglie americane ha visto aumentare il proprio reddito del 72,7 per cento dal 1980 a oggi, mentre il reddito della famiglia mediana e’ rimasto fermo e il quintile piu’ povero ha visto il proprio reddito calare del 7,4 per cento.
In altre parole, la controrivoluzione neoliberista ci ha riportati a livelli di disuguaglianza che non si vedevano dai tempi della Grande depressione. Il tutto con buona pace dell’effetto trickle-down.
Come si e’ visto, rendere i ricchi piu’ ricchi non rende piu’ ricchi tutti gli altri

Info:
https://www.ibs.it/the-divide-guida-per-risolvere-libro-jason-hickel/e/9788842824961/recensioni
https://www.culturamente.it/libri/politica-economica-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/the-divide/

Societa’/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce – Mondadori (2021)

Le obiezioni a un’imposta sulle emissioni di CO2 sono che va ad appesantire l’onere fiscale e che potrebbe ripercuotersi negativamente sulle persone povere.
I gilets jaunes hanno paralizzato la Francia per protestare contro l’introduzione di imposte piu’ elevate sul carburante diesel. Non erano infuriati per le misure volte a contrastare i cambiamenti climatici, ma per chi avrebbe pagato i costi dell’adeguamento a un futuro a basse emissioni.
Tuttavia e’ possibile istituire un’imposta sulle emissioni di CO2 che non appesantisca l’onere fiscale e non vada a scapito dei poveri.
Come funzionerebbe un regime di questo tipo?
Innanzitutto, l’aliquota sarebbe fissata a un livello basso e poi aumentata gradualmente in modo da consentire a tutti di adeguarsi. In secondo luogo, il gettito di tale imposta sarebbe restituito ai cittadini, in denaro contante oppure riducendo altre imposte. Se fosse restituito il 100 per cento del gettito, l’imposta lascerebbe le entrate dello Stato invariate, ma avrebbe comunque un grosso impatto in termini di riduzione delle emissioni; se fosse restituito meno del 100 per cento, l’imposta genererebbe introiti per lo Stato […]
Per i paesi che hanno bisogno di incrementare le entrate pubbliche e che, quindi, sceglierebbero di non rimborsare l’intero gettito, l’imposta potrebbe generare considerevoli risorse da destinare al finanziamento del contratto sociale. Per esempio, secondo una stima, un’imposta sulla CO2 di 115 dollari a tonnellata negli Stati Uniti genererebbe un gettito considerevole, pari al 3 per cento del reddito nazionale.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Economia di mercato/Piketty

Thomas Piketty – Una breve storia dell’uguaglianza – La nave di Teseo (2021)

La moneta è uno strumento indispensabile di politica economica, sociale e climatica, a patto pero’ di non sacralizzarla e di farla circolare, entro un quadro istituzionale coerente che si fondi in particolare sullo Stato sociale, sull’imposta progressiva, sul confronto parlamentare e sul controllo democratico.
Ricordiamo innanzitutto che l’unico vero limite alla politica monetaria e’ l’inflazione.
Fino a che non esiste un aumento sostanziale dei prezzi al consumo, nessuna valida ragione si oppone al fatto che si stampi moneta e si immetta liquidita’, se cio’ contribuisce a finanziare politiche utili come la lotta contro la disoccupazione, la garanzia dell’impiego, [la] riqualificazione energetica degli edifici o gli investimenti pubblici nel campo della sanita’, dell’istruzione e delle energie rinnovabili.
Viceversa, se l’inflazione riparte in modo consistente, vuol dire allora che i limiti della creazione di liquidita’ sono stati raggiunti e che e’ venuto il momento di far leva su altri strumenti per mobilitare le risorse (a cominciare dall’imposta).
Occorre inoltre insistere sul fatto che in casi di rapido collasso dell’economia legato a una crisi finanziaria o pandemica o a una catastrofe naturale o climatica, le banche centrali sono le uniche istituzioni pubbliche capaci di reagire abbastanza in fretta per evitare default a cascata o la crescita esponenziale della poverta’.
Questo ruolo di prestatore di ultima istanza […] oggi riscuote per fortuna un valido consenso, a conferma che dalla storia si puo’ sempre imparare. Il problema e’ che le politiche monetarie adottate nel 2008 e nel 2020 continuano a rientrare in uno schema di pensiero relativamente conservatore.

Info:
https://www.criticaletteraria.org/2021/11/thomas-piketty-una-breve-storia-dell-uguaglianza.html
https://www.doppiozero.com/materiali/thomas-piketty-la-storia-maestra-di-uguaglianza
https://www.repubblica.it/cultura/2021/11/17/news/l_anticipazione_cosi_il_clima_cambiera_la_nostra_vita-326752782/

Societa’/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce. Un nuovo contratto sociale per il XXI secolo – Mondadori (2021)

Ci sono tre modi di tassare la ricchezza: si puo’ tassare quando viene trasferita tra generazioni mediante l’imposta di successione, si puo’ tassare il reddito generato dalla ricchezza, come gli utili o i dividendi, o si puo’ tassare la ricchezza accumulata dalle persone ogni anno tramite imposte progressive sulla proprieta’ privata.
Molti paesi applicano imposte di successione e sul reddito generato dalla ricchezza, mentre sono pochi quelli che tassano la ricchezza accumulata in se’ (attualmente soltanto la Colombia, la Norvegia, la Spagna e la Svizzera).
In risposta alle pressioni politiche e/o a causa di difficolta’ di attuazione, Finlandia, Francia, Islanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia hanno di fatto abolito le imposte patrimoniali che esistevano in passato. Ciononostante, siccome la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e’ di gran lunga maggiore della disparita’ di reddito, molti economisti hanno sostenuto che tassare la ricchezza ereditata (che e’ considerata non guadagnata) e ridistribuirla e’ fondamentale per perequare le opportunita’ in una societa’.
Inoltre, poiche’ la crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza desta preoccupazione e, parallelamente, in tutto il mondo i governi stanno cercando nuove fonti di entrate, si e’ risvegliato l’interesse per le imposte sul patrimonio […]
Secondo un filone promettente della ricerca, l’imposta patrimoniale puo’ migliorare l’efficienza economica penalizzando coloro che detengono asset in attivita’ a basso rendimento e incentivando quelle attivita’ che generano utili piu’ elevati. Questo vorrebbe dire che un’imposta patrimoniale del 2-3 per cento annuo consentirebbe ai governi di migliorare l’efficienza, promuovere la crescita economica e ridurre le disuguaglianze con una sola mossa.
Un altro modo di aumentare le risorse e’ tassare quelli che gli economisti chiamano i «mali» (in contrapposizione ai «beni»). Si tratta delle cose che vogliamo veder diminuire, come l’inquinamento, il fumo, il consumo eccessivo di bevande alcoliche e di cibo non salutare.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Economia di mercato/Saez

Emmanuel Saez, Gabriel Zucman – Il trionfo dell’ingiustizia. Come i ricchi evadono le tasse e come fargliele pagare – Einaudi (2020)

Ma e’ davvero un problema che la tassazione si sia ridotta a una gigantesca flat tax e riservi un trattamento preferenziale ai super-ricchi?
Perche’ dovremmo preoccuparcene? […]
Chiariamo poi che gli Stati Uniti non sono la sola democrazia che ha una fiscalita’ molto meno progressiva di quanto sembri a prima vista […]
Operare un confronto internazionale rigoroso e’ difficile, ma i migliori dati disponibili indicano che gli Stati Uniti sono in buona compagnia: in Francia, per esempio, in fin dei conti la tassazione non e’ tanto piu’ progressiva.
A nostro avviso, la scarsa progressivita’ della tassazione dovrebbe preoccuparci per tre motivi.
In primo luogo, per semplici questioni di bilancio. Anche se si considerano solo i gradini piu’ alti della scala del reddito, laddove le imposte diventano regressive, la posta in gioco e’ notevole. Oggi lo 0,001 per cento piu’ ricco paga le tasse a un’aliquota del 25 per cento. Portandola al 50 per cento, a parita’ di tutte le altre condizioni, si avrebbe un gettito aggiuntivo di 100 miliardi di dollari all’anno. E sarebbe una somma sufficiente a incrementare il reddito netto di tutti i lavoratori adulti di 800 dollari all’anno […]
In secondo luogo, e’ una questione di equita’.
Delle imposte che i piu’ abbienti non pagano dobbiamo farci carico tutti noi.
Si potrebbe obiettare che ognuno ottiene dal mercato il reddito che merita; che dopo le ingiustizie subite negli anni Sessanta e Settanta, oggi i ricchi ricevono la giusta ricompensa dai mercati liberi e globalizzati.
Non siamo d’accordo con questa visione – che talvolta si definisce fondamentalismo di mercato –, ma se non altro ne riconosciamo la coerenza. Eppure, in base a quale criterio e’ giusto che i miliardari paghino meno tasse di tutti, e che il carico fiscale si alleggerisca quanto piu’ aumentano le ricchezze? […]
Ma forse l’attuale sistema fiscale americano va criticato soprattutto perche’ alimenta la spirale della disuguaglianza. Come abbiamo visto, la quota di reddito dell’1 per cento piu’ ricco e’ lievitata mentre quella dei lavoratori crollava.
E, anziche’ contrastarla, il sistema fiscale ha rafforzato questa tendenza.
In passato i ricchi pagavano molte tasse, ora ne pagano meno. In passato i poveri pagavano relativamente poco, ora sopportano un carico fiscale piu’ gravoso.

Stato/Piketty

Thomas Piketty – Una breve storia dell’uguaglianza – La nave di Teseo (2021)

La “grande redistribuzione” del periodo 1914-1980 non e’ stata una sinecura ne’ un pranzo di gala, e ci trasmette insegnamenti preziosi.
La lezione principale e’ la seguente: lo Stato sociale e l’imposta progressiva sono strumenti molto efficaci, talmente efficaci da trasformare il capitalismo.
La marcia verso l’uguaglianza potra’ riprendere solo se queste due istituzioni diventano oggetto di una vasta mobilitazione e di un’appropriazione collettiva.
E’ inoltre fondamentale valutare i limiti entro i quali lo Stato sociale e l’imposta progressiva hanno trovato attuazione nel corso del XX secolo, e scoprire le ragioni che hanno condotto a un loro rallentamento dopo il 1980.
Insisterei, in particolare, sul ruolo nefasto giocato dal liberismo finanziario e dalla libera circolazione dei capitali, e quindi sulle soluzioni strategiche per uscire da una situazione del genere.

Info:
http://www.lanavediteseo.eu/item/una-breve-storia-delluguaglianza/
https://www.criticaletteraria.org/2021/11/thomas-piketty-una-breve-storia-dell-uguaglianza.html
https://www.doppiozero.com/materiali/thomas-piketty-la-storia-maestra-di-uguaglianza
https://www.repubblica.it/cultura/2021/11/17/news/l_anticipazione_cosi_il_clima_cambiera_la_nostra_vita-326752782/

 

Economia di mercato/Boitani

Andrea Boitani – L’illusione liberista. Critica dell’ideologia di mercato – Andrea Boitani – Laterza (2021)

Le tasse servono a ridurre le disuguaglianze se sono progressive, cioe’ se incidono di piu’ su chi ha e guadagna di piu’ e di meno su chi ha e guadagna di meno.
La flat tax e’, come ovvio, l’opposto della progressivita’ ed esprime il desiderio di una parte rilevante della destra politica in giro per il mondo nonche’ il sogno dei ricchi di ogni dove […]
Nel complesso, pur senza arrivare alla flat tax, i sistemi fiscali dei Paesi sviluppati hanno perso progressivita’. Sono state ridotte le aliquote marginali sui redditi piu’ alti; sono state ridotte le imposte sulle eredita’ e quelle sui patrimoni […]
Il welfare state e’ nato e si e’ progressivamente affermato per spostare alcuni rischi (dalla disoccupazione alla salute, dagli infortuni sul lavoro alla vecchiaia) dalle spalle dei cittadini e delle imprese a quelle piu’ larghe dello Stato, in modo indipendente dal reddito di ciascuno. Lo Stato puo’ scaricare i rischi dai singoli soggetti economici e ripartirlo tra il massimo numero di persone possibile, riducendo quindi il costo dell’assicurazione. Il che consente al mercato di divenire piu’ efficiente e di sprigionare piu’ energie.
L’esperienza storica degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso sembra dimostrarlo: il periodo di piu’ straordinaria crescita economica dei Paesi dell’Europa occidentale e degli Usa ha coinciso con la progressiva estensione del ruolo dello Stato come “manager dei rischi”: i mercati erano abbastanza regolamentati e la rete di protezione dai rischi diveniva via via piu’ estesa e piu’ solida […]
Si convogliano le risorse raccolte da tutti per dare a quelli che il caso, o la storia personale e collettiva, hanno reso bisognosi. E’ il principio di mutualita’.
Un tipo di redistribuzione su cui tutti possono essere d’accordo, perche’ tutti sanno di avere qualche probabilita’ di trovarsi tra coloro che avranno bisogno (tutti possiamo ammalarci e tutti possiamo perdere il nostro lavoro o divenire inabili al lavoro e tutti, a un certo punto, diventeremo vecchi). Il welfare state puo’ essere anche piu’ redistributivo di cosi’, se alimentato da una fiscalita’ progressiva e se le prestazioni restano proporzionali al bisogno (sanita’) o sono gratuite (istruzione) o hanno un tetto indipendente dai contributi versati (pensioni, sussidi di disoccupazione).

Info:
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21400-andrea-boitani-l-illusione-liberista.html
https://www.lavoce.info/archives/91181/l-illusione-liberista/
https://www.eticaeconomia.it/lillusione-liberista/

Europa/Collier

Paul Collier – Il futuro del capitalismo. Fronteggiare le nuove ansie – Laterza (2020)

Le grandi aziende si sono globalizzate, trasformandosi in reti giuridicamente complesse di consociate che hanno reciproci rapporti commerciali ma sono controllate da una societa’ madre.
Per questo tipo di imprese, il pagamento delle imposte e’ diventato un’attivita’ volontaria.
In Gran Bretagna, l’esempio piu’ efficace e’ quello della Starbucks: nonostante abbia venduto miliardi di tazze di caffe’, nel corso di un intero decennio la sua consociata britannica non ha praticamente fatto registrare profitti tassabili. E’ trapelato che un’altra consociata, con sede legale nelle Antille olandesi, stava facendo profitti notevolmente elevati nonostante non vendesse affatto caffe’; vendeva invece i diritti di utilizzazione del marchio «Starbucks» alla consociata britannica. La compagnia ha annunciato con tono indignato di aver versato tutte le imposte dovute nelle Antille olandesi, sebbene abbia omesso di ricordare che li’ l’aliquota fiscale era pari a zero […]
Alla globalizzazione delle imprese non ha corrisposto la globalizzazione degli strumenti di regolamentazione.
I poteri fiscali e di regolamentazione sono rimasti saldamente ancorati al livello nazionale […]
I nostri meccanismi sovrannazionali di coordinamento – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea, il G7 e il G20 – hanno perso la capacita’ di creare obbligazioni reciproche vincolanti sostenute sull’interesse individuale illuminato.
Ogni nazione preferisce gareggiare in una corsa alla deregolamentazione fiscale. Questa sconfitta della governance e’ stata l’aspetto peggiore della globalizzazione contemporanea.

Info:
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858131060
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-futuro-del-capitalismo-di-paul-collier/
https://www.anobii.com/it/books/il-futuro-del-capitalismo/9788858131060/015fc8fc1b8b48e476/reviews

Economia di mercato/Chomsky

Noam Chomsky – Le dieci leggi del potere. Requiem per il sogno americano – Ponte alle Grazie (2017)

All’epoca del boom economico – negli anni Cinquanta e Sessanta, ma in realta’ anche prima – le tasse sui ricchi erano decisamente piu’ elevate.
Erano molto piu’ alte le imposte sul reddito delle societa’, cosi’ come quelle sui dividendi o semplicemente sul patrimonio. Oggi non e’ piu’ cosi’: oggi la tendenza e’ di ridurre le imposte sui ricchi.
Il sistema tributario e’ stato ridisegnato in modo da far pagare meno i super-ricchi e, contestualmente, far ricadere maggiormente gli oneri fiscali sul resto dei cittadini.
Si tende infatti a mantenere le imposte solo sui salari e sui consumi – che coinvolgono tutti –, e non sui dividendi, ad esempio, che riguardano soltanto i ricchi.
In questo modo il carico fiscale si e’ sbilanciato enormemente[…]
Ovviamente il pretesto c’e’; ce n’e’ sempre uno.
In questo caso e’ il seguente: «Cosi’ gli investimenti e i posti di lavoro aumenteranno». Ma non c’e’ nulla che lo dimostri.
Se davvero si vogliono aumentare i posti di lavoro e gli investimenti, allora bisogna incrementare la domanda.
Se c’e’ domanda, gli investitori investiranno per soddisfarla. Per ampliare gli investimenti, bisogna dare denaro ai poveri e ai lavoratori che lo spenderanno, non in costosi yacht o vacanze ai Caraibi, ma in beni primari. Poiche’ devono sopravvivere, queste persone spenderanno le loro entrate.
E’ questo che stimola la produzione e gli investimenti, crea nuovi posti di lavoro.

Info:
http://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/8738-le-dieci-leggi-del-potere
https://www.parliamodisocialismo.it/2021/12/08/le-dieci-leggi-del-potere-requiem-per-il-sogno-americano/
https://www.anobii.com/books/le-dieci-leggi-del-potere.-requiem-per-il-sogno-americano/9788833311272/0221bd0ebc7778df6c/reviews

Capitalismo/Pennacchi

Laura Pennacchi – Democrazia economica. Dalla pandemia a un nuovo umanesimo – Castelvecchi (2021)

I Paesi occidentali – non ultima l’Italia – scontano gli esiti del depotenziamento e della dilapidazione di abilita’ delle pubbliche amministrazioni imposte per decenni dall’egemonia neoliberista: l’imponente arretramento dello Stato si e’ risolto in un prosciugamento delle sue energie.
Lo starving the beast di bushiana memoria – concretizzatosi in tagli delle tasse a vantaggio dei ricchi e ulteriore contrazione delle entrate pubbliche – ha talmente affamato le “bestie governative” da averle quasi tramortite.
Anche perche’ l’ostilita’ allo Stato e’ stata alimentata da anni di nefasta teorizzazione di matrice blairiana della superiorita’ delle pratiche di governance su quelle di government, esplicitamente indicate, e auspicate (si vedano i numerosissimi scritti di Sabino Cassese), come metodi di «amministrativizzazione» mediante «depoliticizzazione»

Info:
https://www.rivisteweb.it/doi/10.7384/101090
http://www.castelvecchieditore.com/2021/03/06/democrazia-economica-di-laura-pennacchi/