Lavoro/Srniceck

Nick Srniceck, Alex Williams – Inventare il futuro – Produzione Nero (2018)

Le nostre vite sono sempre piu’ strutturate attorno a un ideale fortemente competitivo, che nel lavorare duro individua il principale strumento di autorealizzazione, e per quanto degradante, sottopagato o scomodo esso sia, il lavoro viene comunque considerato come un bene in se’.
Questo e’ il mantra dei principali partiti politici come della maggior parte dei sindacati […] La stessa ideologia e’ parallela alla demonizzazione dei disoccupati: i giornali pubblicano titoli che mettono in dubbio la caratura morale di coloro che ricevono i sussidi, i programmi televisivi ridicolizzano i poveri, e lo stereotipo del parassita dello Stato assistenziale e’ ormai un classico.
Il lavoro e’ diventato centrale per la nostra concezione di noi stessi, ed e’ cosi’ profondamente radicato in noi che, di fronte all’idea di lavorare meno, molti rispondono: «E allora cosa farei?». Il fatto che cosi’ tante persone non riescano neppure a immaginare una vita che abbia significato al di fuori del proprio impiego dimostra quanto in profondita’ l’etica del lavoro abbia plasmato la nostra psiche […]
Il lavoro e’ stato insomma trasformato in parte della nostra identita’ e presentato come l’unico vero mezzo per la realizzazione individuale […] “Le persone devono faticare e lavorare duro prima di poter ricevere un salario, devono dimostrare il loro valore agli occhi del Capitale. Questa forma di pensiero lascia intendere un ovvio residuo teologico, giacche’ la sofferenza e’ considerata non solo intrinsecamente significativa ma come la vera e propria condizione base per una vita che valga la pena vivere: in parole povere, una vita senza sofferenza viene considerata come frivola e vacua.
Questa concezione va rigettata e considerata il residuo di un’epoca storica trascesa da tempo. La spinta a dare un significato profondo alla sofferenza puo’ magari avere avuto senso in quelle epoche passate in cui poverta’, malattia e fame erano elementi ricorrenti dell’esistenza umana; ma oggi e’ doveroso rifiutarne la logica, e riconoscere che abbiamo superato la necessita’ di fondare il senso delle nostre esistenze sulla quantita’ di sofferenza provata: il lavoro e il dolore che lo accompagna non meritano celebrazione alcuna.

Stato/Bauman

Zygmunt Bauman – Capitalismo parassitario – Laterza (2009)

La sostanza del capitalismo, ricordava Habermas, e’ l’incontro tra capitale e lavoro. Lo scopo di questo incontro e’ una transazione commerciale: il capitale acquista il lavoro.
Per la riuscita di questa transazione vanno soddisfatte due condizioni: il capitale dev’essere in grado di comprare e il lavoro dev’essere «vendibile », cioe’ sufficientemente attraente per il capitale da essere comprato.
Il compito principale (la «legittimazione«) dello Stato capitalista e’ provvedere a che entrambe le condizioni siano soddisfatte.
Lo Stato deve fare dunque due cose. Primo, sovvenzionare il capitale nel caso quest’ultimo rimanga a corto del denaro necessario per acquistare la forza produttiva del lavoro. E secondo, garantire che valga la pena acquistare il lavoro, cioe’ che la manodopera sia in grado di sopportare le fatiche del lavoro di fabbrica, e dunque che sia forte e in buona salute, non malnutrita, e debitamente istruita alle competenze e alle abitudini comportamentali indispensabili per le occupazioni industriali (spese, tutte queste, che gli aspiranti datori di lavoro capitalistici difficilmente potrebbero permettersi: se dovessero sostenerle loro, il costo dell’assunzione di manodopera diventerebbe esorbitante) […] Ma quello che stava avvenendo in realta’ era una transizione dalla societa’ «solida» dei produttori alla societa’ «liquida» dei consumatori. La fonte primaria di accumulazione capitalistica si trasferiva dall’industria al mercato dei consumi. Per mantenere in vita il capitalismo non era piu’ necessario «rimercificare» il capitale e il lavoro per rendere possibile la transazione di compravendita del lavoro: adesso servivano sovvenzioni statali per consentire al capitale di vendere merci e ai consumatori di comprarle.
Il credito era il congegno magico per assolvere (si sperava) a questo doppio compito: e ora possiamo dire che nella fase liquida della modernita’ lo Stato e’ «capitalista » nella misura in cui garantisce la disponibilita’ continua di credito e la capacita’ continua dei consumatori di ottenerlo.

Info:
https://www.anobii.com/books/Capitalismo_parassitario/9788842090984/01abb5bcf2e0394500
http://www.quilibri.eu/ledera-infestante-del-capitalismo-moderno-la-lucida-analisi-di-zygmunt-bauman/

Capitalismo/Bauman

Zygmunt Bauman – Capitalismo parassitario – Laterza (2009)

Rosa Luxemburg aveva scritto il suo tudio sull’«accumulazione del capitale», dove sosteneva che il capitalismo non puo’ sopravvivere senza le economie «non capitalistiche» esso e’ in grado di progredire, seguendo i propri principi, fintanto che vi sono «terre vergini» aperte all’espansione e allo sfruttamento; ma non appena le conquista per poterle sfruttare, le priva della loro verginita’ precapitalistica e cosi’ facendo esaurisce le fonti del proprio nutrimento.
Il capitalismo, per dirla crudamente, e’ in sostanza un sistema parassitario. Come tutti i parassiti, puo’ prosperare per un certo periodo quando trova un organismo ancora non sfruttato del quale nutrirsi. Ma non puo’ farlo senza danneggiare l’ospite, distruggendo quindi, prima o poi, le condizioni della sua prosperita’ o addirittura della sua sopravvivenza.

Info:
https://www.anobii.com/books/Capitalismo_parassitario/9788842090984/01abb5bcf2e0394500
http://www.quilibri.eu/ledera-infestante-del-capitalismo-moderno-la-lucida-analisi-di-zygmunt-bauman/