Lavoro/Gorz

l filo rosso dell’ecologia – André Gorz – Mimesis (2017)

In tutti i paesi sviluppati, e’ il capitale che tende ad abolire il lavoro salariato perche’ questo si era nel frattempo trasformato, durante il periodo fordista, in una relazione sociale regolamentata, protetta dai diritti sociali.
Al suo posto, il capitale reintroduce relazioni di lavoro e di retribuzione individualizzate, precarie, che abbandonano il lavoratore di fronte al potere arbitrario del suo datore di lavoro.
Il capitalismo denuncia il contratto sociale che era alla base del regime fordista, il lavoro diventa un’attivita’ sempre piu’ discontinua. Periodi di iperattivita’ si alternano a periodi di disoccupazione, il tempo di lavoro e il livello di retribuzione diventa flessibile, imprevedibile.
Chiunque e’ un disoccupato in potenza.
E’ una rivoluzione irreversibile. La rivoluzione microelettronica economizza delle quantita’ di lavoro fino ad oggi inimmaginabili, ma e’ gestita in un modo tale che condanna gli uni all’inattivita’, mentre obbliga gli altri ad un’intensita’ di lavoro difficilmente sopportabile […]
Inoltre, sotto la pressione dei fondi pensione, le imprese riducono i salari e il personale, investono sempre meno sul lungo periodo e cercano ovunque di ottenere i mezzi di esenzione d’imposta.
E cosi’ il rendimento del capitale non smette di accrescersi, mentre la remunerazione del lavoro, la protezione sociale e gli investimenti in opere pubbliche non fanno che diminuire […]
Sarebbe necessario garantire a chiunque un reddito continuo per un lavoro discontinuo. Garantire, detto altrimenti, che la discontinuita’ del lavoro retribuito non sia imposta alle persone a seconda della convenienza dei datori di lavoro, e che questa discontinuita’ si trasformi in diritto di tutti a vivere le proprie attivita’ e a scegliere, senza perdere il proprio reddito, dei periodi in cui si possano fare cose che non abbiano valore mercantile.
Questa sarebbe la base della societa’ della multiattivita’.
Credo che questa idea sia piu’ che mai attuale. Perche’ la produttivita’ della forza lavoro postfordista non dipende piu’ dalla rapidita’ con cui i soggetti eseguono i compiti prescritti in un certo numero di ore lavorate. Ma dipende dalla coordinazione delle facolta’ cognitive, dei saperi intuitivi, dalle capacita’ di giudicare e reagire agli imprevisti: tutte cose che non si insegnano, ma che fanno parte della cultura comune e che sono acquisite soltanto grazie al libero sviluppo delle persone in quanto tali.

Societa’/Fazi

Una civiltà possibile. La lezione dimenticata di Federico Caffe’ – Thomas Fazi – Meltemi (2022)

“Il lavoro”, scrive Polanyi, “e’ soltanto un altro nome per un’attivita’ umana che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non e’ prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse, ne’ questo tipo di attivita’ puo’ essere distaccato dal resto della vita, essere accumulato o mobilitato. […]
Nel disporre della forza-lavoro di un uomo, il sistema disporrebbe tra l’altro dell’entita’ fisica, psicologica e morale ‘uomo’ che si collega a questa etichetta”.
Questo, prosegue Polanyi, “significa alla fin fine la conduzione della societa’ come accessoria rispetto al mercato. Non e’ piu’ l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema economico”.
Subordinare il lavoro al meccanismo di mercato significa, dunque, subordinare la vita stessa degli esseri umani, l’essenza stessa della societa’, alle leggi del mercato.

Populismo/Gressani

L’Europa e la sua ombra. Un continente di fronte alla responsabilita’ del futuro – Gilles Gressani, Giorgia Serughetti – Bompiani (2023)

I partiti sovranisti hanno preso atto che la strada dell’indipendenza e’ irrealistica e poco conveniente, perche’ l’appartenenza all’UE si e’ rivelata una garanzia per acquisire le risorse necessarie per la ripresa postpandemica o per beneficiare della necessaria protezione politica con cui contrastare le mire dell’imperialismo russo.
Cosi’, cambia l’obiettivo finale di questa politica: non piu’ l’uscita, ne’ la distruzione dell’architettura comunitaria, ma “il tentativo di rendere il nazionalismo endogeno (e non esogeno) alla cooperazione europea”.
In altre parole, il progetto e’ quello di rendere il nazionalismo compatibile con quell’Unione che nasce dalla volonta’ di lasciarsi il nazionalismo alle spalle.
In questo modo, pero’, cambia anche l’idea stessa della “casa comune”, perche’ il sovranismo rifiuta la supremazia del diritto europeo su quello nazionale, e la pretesa delle istituzioni sovranazionali – in particolare la Corte europea di giustizia, la Commissione europea e la Banca centrale europea nel caso dell’Eurozona – di intervenire sulle materie interne.
E’ il progetto di un’“Europa delle nazioni”, in cui le competenze di policy in alcune materie cruciali, nel tempo trasferite a Bruxelles, tornino ai paesi membri.
Con i sovranisti dell’Ovest piu’ interessati a riconquistare le competenze in materia economica e fiscale, e quelli dell’Est piu’ desiderosi di decidere in proprio politiche che hanno forti implicazioni identitarie, come quelle migratorie e quelle che riguardano i rapporti di genere e il trattamento delle minoranze etniche e sessuali.
Ad accomunarli e’ comunque la convinzione che la cooperazione tra nazioni europee dovrebbe basarsi sul rispetto delle tradizioni, delle culture, delle storie delle “nazioni”, e dovrebbe quindi accoglierne le differenze e specificita’, anche quando si tratta del rapporto con il liberalismo e lo stato di diritto […]
Ora, dalla pandemia sembrano essere nate due Europe. L’una che, vantando il successo della cooperazione, manifesta un’anima, una volonta’ politica che ambisce a una maggiore integrazione. L’altra, la sua ombra, rinserrata nello sciovinismo del benessere, spaventata dalla disperazione che preme ai suoi confini, incapace di tradurre i suoi valori in impegno d’accoglienza. In questa Europa dei muri e del filo spinato i contrari a un’Unione forte, i sovranisti, hanno gia’ vinto.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/leuropa-e-la-sua-ombra-un-continente-di-fronte-alla-responsabilita-del-futuro/
https://amedeogasparini.com/2023/11/20/nella-policrisi-rinnovare-il-sogno-delleuropa/
https://www.settimananews.it/informazione-internazionale/europa-e-la-sua-ombra/

Economia di mercato/Alemanni

La signora delle merci. Dalle caravelle ad Amazon. Come la logistica governa il mondo – Cesare Alemanni – Luiss (2023)

Talvolta le aziende-brand non si occupano nemmeno di gestire le proprie supply chain, di investire in fabbriche all’estero o di stringere accordi di fornitura con esse […]
Si limitano a delegare ad aziende logistiche la costruzione e la supervisione delle proprie filiere o, nei casi piu’ estremi, semplicemente ricomprano il “proprio” prodotto da chi lo realizza da cima a fondo.
L’annullamento del rischio d’impresa e’ totale. Le aziende-brand non devono piu’ preoccuparsi non solo delle infrastrutture ma nemmeno dei processi. Sono scrigni vuoti, asset-free, capaci di rese finanziarie impensabili al tempo delle produzioni tradizionali, quando gli aumenti di produttivita’ richiedevano grandi investimenti in nuove fabbriche, stipendi, inventari eccetera.
Di fronte a questi sviluppi, negli anni Novanta si e’ iniziato a parlare di value chain – “catene del valore” – per indicare le filiere attraverso cui un’azienda assembla il valore dei propri prodotti.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-signora-delle-merci-di-cesare-alemanni/
https://www.iltascabile.com/societa/logistica-signora-delle-merci/
https://www.lastampa.it/tuttolibri/2023/06/03/recensione/la_logistica_fa_girare_il_mondo_intero_se_funziona_non_la_vedi-12835932/
https://www.rivistastudio.com/i-libri-del-mese-67/
https://www.geopolitica.info/la-signora-delle-merci/

 

Capitalismo/Brown

Il disfacimento del demos – Wendy Brown – Luiss University Press (2023)

La concorrenza soppianta lo scambio; la disuguaglianza soppianta l’uguaglianza.
Nel neoliberalismo, la concorrenza prende il posto dell’enfasi liberale sullo scambio come principio fondamentale e dinamica di mercato […]
La concorrenza produce vincitori e sconfitti; il capitale ha successo distruggendo o cannibalizzando altri capitali. Pertanto, quando la concorrenza di mercato diventa generalizzata come principio sociale e politico, qualcuno trionfa e qualcuno muore… come principio sociale e politico.
Il capitale umano rimpiazza il lavoro. In parallelo alla sostituzione dello scambio con la concorrenza e dell’uguaglianza con la disuguaglianza da parte della ragione neoliberale, il capitale umano prende il posto del lavoro.
Quando la concorrenza diventa il principio di base del mercato, tutti coloro che prendono parte al mercato sono rappresentati come capitali, piuttosto che come produttori, venditori, operai, clienti o consumatori.
In quanto capitale, ogni soggetto e’ rappresentato come dotato di spirito imprenditoriale, per quanto piccolo, povero o privo di risorse, e ogni aspetto dell’esistenza umana e’ il prodotto dell’imprenditorialita’ […]
L’imprenditorialita’ rimpiazza la produzione.

Info:
https://www.equilibrielmas.it/2023/11/29/wendy-brown-il-disfacimento-del-demos-la-rivoluzione-silenziosa-del-neoliberismo-luiss-university-press-roma-2023/https://www.dinamopress.it/news/wendy-brown-lo-svuotamento-silenzioso-della-democrazia/
https://www.ilmanifestoinrete.it/2023/07/01/per-farla-finita-con-lhomo-oeconomicus/
https://www.sinistrainrete.info/politica/27901-pierluigi-fagan-democrazia-o-barbarie.html
https://pierluigifagan.com/2024/04/16/democrazia-o-barbarie/

Stato/Dardot

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista. Nuova edizione – Pierre Dardot, Christian Laval – Derive Approdi (2019)

Tra le caratteristiche principali dell’epoca no c’e’ tanto la «fine degli Stati nazionali», quanto la relativizzazione del loro ruolo come entita’ integratrici di tutte le dimensioni della vita collettiva: organizzazione del potere politico, elaborazione e diffusione della cultura nazionale, rapporti tra classi sociali, organizzazione della vita economica, livello di occupazione, pianificazione locale, ecc.
Gli Stati tendono a delegare gran parte di queste funzioni alle imprese private, che spesso sono gia’ mondializzate o seguono norme mondiali.
Affidano loro, almeno in parte, il compito di garantire lo sviluppo socioeconomico del paese, come nel caso dei media privati che gestiscono la «cultura di massa».
Assistiamo cosi’ ad una privatizzazione parziale delle funzioni di integrazione, funzioni che non rispondono agli stessi vincoli e agli stessi tempi a seconda che rientrino nella competenza di aziende private o del potere pubblico. Ad esempio nel campo dell’occupazione, in cui le sovvenzioni alle imprese assicurano solo precariamente gli obiettivi di sviluppo e pianificazione a lungo termine del territorio. Oppure nel campo della «cultura» e dell’insegnamento, in cui le imprese private non perseguono gli stessi obiettivi che sono classicamente assegnati allo Stato.
In una situazione del genere, la sovrapposizione della sfera statale con quella privata mina la vecchia distinzione tra interessi privati e interesse generale.
Non solo lo Stato vede intaccati i suoi margini di manovra, ma soprattutto si mette al servizio di interessi oligopolistici specifici, e non esita a delegare loro una parte non trascurabile della gestione sanitaria, culturale, turistica o addirittura «ludica» della popolazione.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-nuova-ragione-del-mondo-di-pierre-dardot-e-christian-laval/
https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-capitale-umano
https://www.dianoia.it/public/rcs/rcs_21_34.pdf
https://www.leparoleelecose.it/?p=13014

Finanziarizzazione/Stiglitz

Un’economia per l’uomo – Joseph Stiglitz – Castelvecchi (2016)

Ci sono due aspetti della crisi che non hanno attratto sufficientemente l’attenzione.
Il primo e’ la condotta moralmente deprecabile dimostrata da molti nel settore finanziario. Abbiamo ampie e documentate prove del fatto che ci si e’ approfittati dei meno scolarizzati e di quelli finanziariamente meno accorti, allo scopo di massimizzare i profitti.
Quando alle banche sono esplosi in mano gli ordigni che loro stesse avevano creato, il governo e’ intervenuto a salvarle, lasciando invece coloro che ne erano stati vittime in balia di se stessi […]
Il secondo aspetto e’ che molti operatori del settore finanziario ricevevano delle ricompense non proporzionali al loro contributo complessivo verso la società o verso le aziende per cui lavoravano.
Questa cosa venne alla ribalta nel periodo di poco successivo alla crisi, quando molte aziende continuarono a pagare “premi” di produttività laddove il profitto era palesemente in negativo, fino al punto da richiedere interventi di salvataggio da parte del governo e causare la perdita del posto di lavoro di molti dipendenti.
Un sistema economico dove alcuni (individui o aziende) prosperano in maniera eccezionale – con una correlazione non tanto al contributo effettivo apportato alla collettivita’ quanto piuttosto alla loro abilita’ di ricavare “guadagni” dallo stato di cose – non e’ un sistema economico giusto.

Europa/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – Laterza (2024)

Si e’ definitivamente chiarito che il federalismo cui si ispira l’Unione ha una finalita’ decisa- mente piu’ circoscritta: rappresentare il vincolo esterno con cui imporre la spoliticizzazione del mercato.
Il tutto nel solco di quanto precisato fin dagli anni Trenta da un padre del neoliberalismo, che affidava alla dimensione sovranazionale il fondamentale compito di rimuovere ogni ostacolo alla libera circolazione dei fattori produttivi in quanto espediente attraverso cui ottenere la moderazione fiscale degli Stati membri: una pressione fiscale elevata «spingerebbe il capitale e il lavoro da qualche altra parte».
La libera circolazione consentiva insomma di spoliticizzare l’ordine economico, dal momento che sottraeva alle «organizzazioni nazionali, siano esse sindacati, cartelli od organizzazioni professionali», il «potere di controllare l’offerta di loro servizi e beni».
Di piu’: se lo Stato nazionale alimentava «solidarieta’ d’interessi tra tutti i suoi abitanti», la federazione impediva legami di «simpatia nei confronti del vicino», tanto che diventavano impraticabili «persino le misure legislative come le limitazioni delle ore di lavoro o il sussidio obbligatorio di disoccupazione».
Se cosi’ stanno le cose, l’Unione europea e’ tutt’altro che una entita’ incompiuta, capace di mettersi al servizio di un diverso modo di concepire lo stare insieme come societa’, se solo gli Stati fossero disponibili a cedere ulteriori porzioni di sovranita’ nella definizione delle politiche fiscali e di bilancio.
L’Unione europea e’ al contrario la realizzazione fedele e vincente di un modello politico ed economico incompatibile con il proposito di ripristinare l’equilibrio tra democrazia e mercato, e piu’ precisamente quello cui prelude il patto di cittadinanza fondato sul lavoro cosi’ come e’ stato concepito dalla Carta fondamentale.
Lo e’ innanzi tutto perche’ alimenta il sovranazionalismo come ideologia apparentemente distante dal nazionalismo, ma in ultima analisi identica nel produrre un effetto distorto: quello per cui l’architettura istituzionale viene ritenuta il fine ultimo e non anche lo strumento attraverso cui plasmare lo stare insieme come societa’.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/

Lavoro/Fana

Non è lavoro, è sfruttamento – Marta Fana – Laterza (2017)

Un passaggio inevitabile, se si vuole restituire un connotato democratico ai processi produttivi: i lavoratori devono essere soggetti attivi delle scelte aziendali, da quelle che attengono agli investimenti fino alla distribuzione del reddito prodotto.
Un’attivita’ che puo’ essere si’ mediata attraverso le rappresentanze sindacali, ma senza dare a queste ultime una delega in bianco.
Lo stesso vale per le istituzioni sovranazionali – oggi appannaggio di un’oligarchia di interessi – e la ge- stione del commercio internazionale.
Non si tratta di ritornare al protezionismo, ma di vincolare il commercio al rispetto del lavoro e quindi in questo senso e’ possibile oggi parlare della necessita’ di introduzione dei dazi sociali nei confronti di quei paesi che non rispettano gli standard minimi di dignita’ del lavoro.
Solo in questo modo e’ possibile rimettere al centro l’uomo e non invece i profitti e le scelte di delocalizzazione per trarre vantaggio dai costi del lavoro piu’ bassi, che inevitabilmente implicano minori diritti e tutele per i lavoratori.

Info:
https://sbilanciamoci.info/non-lavoro-sfruttamento/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/07/non-e-lavoro-e-sfruttamento-proletari-di-tutto-il-mondo-svegliatevi/3897477/
https://attac-italia.org/non-e-lavoro-e-sfruttamento/
https://www.lacittafutura.it/recensioni/non-e-lavoro-e-sfruttamento

Economia di mercato/Posner

La crisi della democrazia capitalista – Richard Posner – Universita’ Bocconi (2014)

Il settore bancario erano abituato alla prudenza.
Lo era per reazione alla Grande depressione degli anni Trenta, che era stata accompagnata da un crollo bancario, ma ha abbandonato le cautele a seguito di un movimento di deregolamentazione finanziaria iniziato negli anni Ottanta […]
La combinazione di bassi tassi d’interesse e regolamentazione bancaria inadeguata si e’ dimostrata micidiale […]
Tassi d’interesse bassi incoraggiano le persone a chiedere prestiti – e incoraggiano le banche a prendere denaro in prestito per poterlo a loro volta prestare.
Nel 2001 si e’ verificata una brusca discesa dei tassi, il cui livello e’ rimasto basso per parecchio tempo (a tratti addirittura negativo – se si considera l’inflazione – per i prestiti a breve scadenza) e ha iniziato a risalire gradualmente dal 2004. Cio’ ha fatto aumentare l’indebitamento del sistema economico.
Buona parte di tale indebitamento e’ stata destinata all’acquisto di case: un bene che generalmente si acquista facendo debito, sotto forma di mutuo, che di solito equivale all’80 per cento del prezzo d’acquisto. Poiche’ il costo del debito e’ una parte molto grande del prezzo di una casa, i tassi bassi hanno favorito un aumento della domanda immobiliare, che a sua volta ha fatto aumentare il numero di nuove costruzioni. Ma poiche’ lo stock immobiliare esistente e’ estremamente durevole, il forte incremento della domanda non e’ stato soddisfatto solo con la costruzione di nuove case. L’aumento del numero di persone che volevano acquistare una casa ha necessariamente fatto salire il prezzo delle case esistenti […]
Poiche’ il prezzo delle case saliva, esse erano viste come un buon investimento. Cio’ attirava ulteriori acquirenti, e quindi ulteriori prestatori, poiche’ quando i prezzi delle case salgono le insolvenze sono rare […]
Gli standard di credito per la concessione di mutui si sono abbassati, stimolando ulteriormente la domanda di case, e acquistare una casa ha smesso di essere impossibile anche per chi non poteva versare un acconto o aveva un rating creditizio scadente per precedenti difficolta’ a onorare un credito. I prezzi delle case, quindi, aumentavano per effetto del loro stesso aumento, e questa spirale e’ stata innescata dai bassi tassi d’interesse.
I prezzi hanno continuato ad aumentare fino al marzo del 2006, quando e’ iniziata la discesa. I tassi sui mutui erano saliti a causa dei tardivi interventi di aumento dei tassi della Federal Reserve, che temeva l’inflazione […]
L’aumento dei tassi ha reso piu’ costoso l’acquisto di case, provocando una riduzione della domanda e conseguentemente del numero di nuove costruzioni e dei prezzi immobiliari. Il calo di nuove costruzioni ha ridotto i redditi dei costruttori e ha fatto salire la disoccupazione nel settore dell’edilizia; la discesa dei prezzi degli immobili esistenti ha fatto sentire piu’ poveri i proprietari di casa (che e’ di solito il loro principale patrimonio) e li ha indotti a ridurre per quanto possibile le spese

Info:
https://www.unibocconi.it/it/news/la-crisi-della-democrazia-capitalista
https://www.lastampa.it/topnews/tempi-moderni/2018/07/03/news/radical-market-la-proprieta-privata-sara-a-tempo-tutto-si-compra-e-si-vende-1.34029103/