Populismo/Benerjee

Una buona economia per i tempi difficili – Benerjee A, Duflo E. – Laterza (2020)

L’allarmismo razzista, alimentato dalla paura di un mescolamento delle razze e dal mito della purezza, non si cura dei fatti.
Un’indagine condotta presso un campione di 22.500 autoctoni in sei paesi dove l’immigrazione rappresenta una questione politica di primo piano (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia) ha rivelato l’esistenza di percezioni enormemente errate riguardo al numero e alla provenienza degli immigrati.
Per esempio, in Italia, la percentuale effettiva degli immigrati sul totale della popolazione e’ del 10 per cento, ma la percezione media e’ che sia il 26 per cento.
I partecipanti al sondaggio sovrastimano drasticamente la quota di immigrati musulmani, e anche la quota di immigrati provenienti da Medio Oriente e Nordafrica […]
I politici gettano benzina sul fuoco di queste paure distorcendo i fatti. Durante la campagna elettorale per le presidenziali francesi del 2017, Marine Le Pen ha affermato piu’ volte che il 99 per cento degli immigrati era composto da maschi adulti (in realta’ la percentuale era il 58 per cento) e che il 95 per cento dei migranti che si erano stabiliti in Francia erano «a carico della nazione», perche’ non lavoravano (in realta’, il 55 per cento lavorava).

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/una-buona-economia-per-tempi-difficili-di-abhijit-v-banerjee-e-esther-duflo/
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/abhijit-v-banerje-ed-esther-duflo-buona-economia-tempi-difficili/
https://www.doppiozero.com/una-buona-economia-per-questi-tempi-difficili

Capitalismo/Volpi

I padroni del mondo – Alessandro Volpi – Laterza (2024)

Le principali banche italiane hanno registrato utili nel 2023 per 43 miliardi di euro, con un incremento del 70% sull’anno precedente, quando gia’ avevano raggiunto il risultato ultrapositivo di 25,4 miliardi di euro.
La riflessione semplice e’ questa: ma come e’ possibile che in un paese in cui il Pil fatica ad arrivare ad una crescita dell’1%, dove i salari hanno perso dal 10 al 20% del proprio potere d’acquisto e dove i consumi stagnano, le banche facciano utili stellari?
La risposta e’ altrettanto semplice. I loro utili dipendono dalla differenza fra i tassi praticati sui prestiti e quelli pagati ai risparmiatori, e da una significativa riduzione del personale; in sintesi, massicci prepensionamenti.
Dunque, le banche hanno ben poco a che fare con l’economia reale.
Anche per altre due ragioni. La prima e’ costituita dalla crescente natura finanziaria del credito bancario che privilegia in maniera evidente gli acquisti di titoli finanziari, magari delle proprie azioni ed obbligazioni per remunerare meglio i propri principali azionisti, che sono i grandi fondi finanziari.
La seconda ragione e’, appunto, che gli istituti di credito, al di la’ dei proclami, hanno una tassazione che oscilla fra il 10 e il 30%, beneficiando spesso anche dei paradisi fiscali “legali”.
In breve, le banche fanno utili incredibili sui tassi di interesse, pagano profumatamente i propri super azionisti, costituiti dai fondi, e ben poco le imposte.
E versano stipendi stratosferici ai propri manager.

Info:
https://www.thedotcultura.it/alessandro-volpi-ecco-chi-sono-i-padroni-del-mondo/
https://valori.it/fondi-padroni-mondo-libro-alessandro-volpi/

https://altreconomia.it/chi-controlla-i-padroni-del-mondo/
https://sbilanciamoci.info/i-fondi-dinvestimento-padroni-del-mondo/

Stato/Volpi

I padroni del mondo – Alessandro Volpi – Laterza (2024)


A proposito di gas vale la pena ricordare che la scelta del governo italiano e’ stata, appunto, quella di accrescere la dipendenza dal gas naturale liquefatto.
Ma di chi sono i tre rigassificatori esistenti, a cui se ne aggiungeranno due?
Quello di Panigaglia, a La Spezia, e’ di proprieta’ della Snam, che possiede anche il 49% di quello di Livorno (l’altro 51% e’ diviso tra il 49% circa nelle mani di Igneo Infrastructure Partners, affiliato al fondo australiano First Sentier Investors, a sua volta partecipato da grandi fondi finanziari, e per il 2% nelle mani di Golar Lng, societa’ di capitale estero con sede alle Bermuda, dunque in un paradiso fiscale).
Il terzo rigassificatore, quello di Rovigo, sta per essere comprato da Black Rock, il super fondo che lo rileva da Exxon Mobil di cui e’ azionista di notevole peso.
In conclusione, la nuova dipendenza dal gas naturale liquefatto, scelta “strategica” italiana per garantirsi “la sicurezza energetica”, accrescera’ la sudditanza dai fondi finanziari e dai loro prezzi.
In barba alle bollette.
Anche il decreto energia, varato nel novembre 2023, definendo i rigassificatori strutture strategiche e ponendoli al di fuori di molti dei vincoli ambientali, ha contribuito a renderli un obiettivo assai ambito per i grandi fondi […]
Cosi’ da partenariati produttivi si e’ passati a convivenze finanziarie, dove le dinamiche dell’investimento a medio e lungo termine sono sostituite da una sorta di “trimestralizzazione” degli utili che devono remunerare in forma immediata gli azionisti. Tra cui lo Stato, che utilizza i dividendi solo per trovare le risorse necessarie a realizzare sempre piu’ difficili leggi di bilancio, a prescindere da qualsiasi altra idea di politica industriale o tariffaria.

Info:
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Finanziarizzazione/Volpi

I padroni del mondo – Alessandro Volpi – Laterza (2024)

[Lo] strumento utilizzato per realizzare la privatizzazione – e la conseguente finanziarizzazione con l’intervento decisivo dei grandi fondi finanziari – e’ stato e continua ad essere costituito dalle societa’ a cui sono stati affidati i servizi pubblici locali, le cosiddette multiutility.
Con questo termine decisamente smart si qualifica il risultato del processo di sostanziale accorpamento di monopoli naturali trasferiti dal pubblico al privato e soprattutto guidati da una logica finanziaria per cui l’obiettivo assolutamente prioritario sono i dividendi e i prezzi dei titoli, assai piu’ rilevanti rispetto alla qualita’ e al godimento universale di tali servizi.
Numerose di queste societa’, negli ultimi vent’anni, sono state quotate in Borsa e pesano ormai a tal punto da disporre di un proprio indice dedicato.
Le cento principali multiutility italiane hanno un valore pari all’8,5% del Pil nazionale, oltre 150 miliardi di euro, e tra il 2019 e il 2021 hanno visto crescere il valore della loro produzione del 18,6%. Di questo centinaio di societa’, la gran parte ha il monopolio del settore idrico e di quello dei “servizi ambientali”: coprono infatti la quasi totalita’ delle vendite di elettricita’, il 63% dei volumi del gas, il 67% dell’acqua e il 43% dei rifiuti urbani raccolti.
Una quindicina di multiutility supera il miliardo di euro di ricavi e praticamente tutte hanno beneficiato del forte rialzo del prezzo dell’energia. In estrema sintesi, negli ultimi vent’anni i servizi idrici, i trasporti, la distribuzione dell’energia, la gestione del ciclo dei rifiuti sono stati ceduti dalle amministrazioni locali a societa’ esterne, prima partecipate del tutto dalle amministrazioni stesse e poi sempre più caratterizzate dalla presenza di capitale privato […]
Il passaggio ulteriore e’ stato quello dell’approdo in Borsa, che ha definitivamente cambiato la natura delle medesime societa’ ponendole sotto l’insindacabile giudizio degli andamenti del mercato finanziario, facile preda della speculazione.
Le multiutility possono cosi’ pagare dividendi robusti ai propri azionisti perche’ il rendimento dei titoli e’ la preoccupazione principale di tali societa’, altamente finanziarizzate, dove spesso pubblico e privato convivono.
L’ossessiva ricerca dei dividendi tuttavia avviene, non di rado, a discapito dei servizi e persino dei conti stessi.

Info:
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Capitalismo/Marcon

Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – Giulio Marcon – People (2023)

Delle questioni che rimangono sempre nell’ombra – per quanto riguarda le diseguaglianze – e’ quella del fisco. Se ne parla solo per dire che si pagano troppe tasse, mai che i ricchi pagano poche tasse […]
«Nel 1970 gli americani piu’ ricchi versavano al fisco oltre il 50% del proprio reddito, cioe’ il doppio di quanto versavano i lavoratori. Nel 2018, dopo la riforma di Trump, i miliardari hanno versato meno tasse di metalmeccanici, insegnanti, pensionati».
Nel corso di alcuni decenni, le aliquote sui redditi piu’ alti (in quasi tutto il mondo, anche negli Stati Uniti) sono passate da oltre il 90% a mediamente il 40%; le imposte di successione in molti Paesi sono state abolite o ridotte al minimo (negli Stati Uniti il gettito fiscale dell’imposta di successione si e’ ridotto di quattro volte); l’imposta patrimoniale e’ un tabu’: tutti favori ai privilegiati e ai ricchi, tutta benzina sul fuoco delle diseguaglianze […]
Il tema delle diseguaglianze e’ strettamente collegato a quello della mobilita’ sociale.
I ricchi che abbiamo intervistato raramente individuano nella distorsione del modello dello sviluppo economico liberista di questi trent’anni la ragione principale della crescita delle disuguaglianze.
Molti danno la colpa all’assenza di crescita economica, alla globalizzazione, al mancato riconoscimento delle competenze e del merito, all’istruzione di bassa qualita’, alla scarsa propensione dei nostri giovani a studiare le materie tecnologiche e scientifiche, all’inveterata abitudine italica di privilegiare la cooptazione, l’affiliazione politica, lo sfruttamento delle reti di relazioni acquisite.
L’ascensore sociale si sarebbe fermato per questi motivi, e non per il carattere strutturale di politiche economiche che rendono le diseguaglianze crescenti e croniche […]
Pochissimi (tra questi: Farinetti, con l’imposta di successione, e Profumo, con la proposta di patri- moniale) citano lo strumento fiscale, la possibilita’ di una tassazione piu’ progressiva e la redistribuzione della ricchezza come strumenti decisivi per ridurre le disuguaglianze.
Molti pensano che i soldi delle tasse vengano spesi male, e che quindi valga la pena ridurle. 

Societa’/Allievi

Governare le migrazioni. Si deve, si puo’ – Stefano Allievi -Laterza (2023)

Gli immigrati regolari rappresentano l’8,5% della popolazione italiana (diventano un paio di punti percentuali in piu’ se calcoliamo che negli ultimi dieci anni – prima del 2013 i ritmi di acquisizione erano molto piu’ bassi – oltre un milione e trecentomila stranieri ha ottenuto la cittadinanza italiana): per oltre la meta’ europei (anche se non sembrerebbe, a osservare il dibattito sul tema, tutto incentrato sugli sbarchi e sulle popolazioni subsahariane).
Parliamo di quasi 6 milioni di persone, in gran parte lavoratori (il tasso di occupazione e’ piu’ alto che tra gli italiani).
Tra loro, 1.300.000 minori (oltre 800.000 presenti nelle nostre scuole), quasi un milione dei quali nato in Italia, anche se in maggioranza senza cittadinanza.
A fronte di questi numeri, gli sbarcati, che hanno monopolizzato l’attenzione delle forze politiche e il dibattito mediatico, sono stati, secondo i dati forniti dallo stesso Ministero dell’Interno, 119.000 nel 2017, 23.000 nel 2018, 11.000 nel 2019, 34.000 nel 2020, oltre 67.000 nel 2021, 105.000 nel 2022, e sono quasi 76.000 nell’ultima statistica disponibile al momento in cui scrivo, aggiornata al 15 luglio 2023, quindi per meta’ anno.

Info:
https://www.ilfoglio.it/politica/2023/09/18/news/come-governare-le-migrazioni-numeri-analisi-e-idee-senza-ideologie-5685499/
https://stefanoallievi.it/articoli/governare-le-migrazioni-non-le-ong/

https://www.neodemos.info/2019/10/29/il-dovere-di-governare-le-migrazioni/

Lavoro/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Torniamo al dovere della Repubblica di rendere effettivo il diritto al lavoro. Un simile dovere pone «a carico dello Stato un preciso obbligo», la cui giuridicita’ si ricava dal complesso delle disposizioni costituzionali in cui si inserisce il diritto al lavoro, prime fra tutte quelle concernenti la conformazione del mercato.
Si tratta invero di disposizioni da cui emergono indicazioni univoche: l’iniziativa economica privata «non puo’ svolgersi in contrasto con l’utilita’ sociale» (art. 41), il diritto di proprieta’ deve essere esercitato nel rispetto della sua «funzione sociale» (art. 42), le «produzioni di preminente interesse generale» possono essere escluse dal regime privatistico (art. 43), e la proprieta’ terriera puo’ essere gravata da obblighi «al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali» (art. 44).
Discende da tutte queste indicazioni l’obbligo per i pubblici poteri di adottare misure che, se da un lato non possono mettere in discussione il «mantenimento in via di massima dell’iniziativa privata», dall’altro devono indurre le imprese ad assumersi compiti ulteriori rispetto a quelli concernenti l’orizzonte individualistico.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Stato/Mattei

Clara E. Mattei – L’economia è politica – Fuoriscena (2023)

Se chiedete agli esperti una definizione di austerita’ vi verra’ detto che si tratta di quelle politiche economiche di taglio della spesa pubblica e aumento delle tasse.
Ecco il primo trabocchetto: la lente degli economisti e’ quella dell’aggregato, cioe’ del «tutto». Si parla di economia italiana, francese, spagnola come se fossero ognuna un’unita’ compatta. Ma, a ben guardare, questi concetti non sono che astrazioni.
Prendiamo il nostro Paese come esempio: se guardiamo alla spesa «aggregata» dello Stato italiano, non vedremo alcuna traccia di austerita’. Infatti lo Stato sta spendendo moltissimo in ambito militare e nel sostegno delle imprese (le banche per esempio) che mettono cosi’ in sicurezza i propri profitti. I numeri della spesa pubblica non calano.
Ma la questione rilevante e’ un’altra.
Non si tratta semplicemente di vedere se lo Stato spende, quanto piuttosto dove lo Stato spende o, meglio, per chi lo Stato spende. L’austerita’ non e’ una generica azione sulla spesa pubblica intesa come un tutto, e’ invece un’azione politica che agisce sulla capacita’ di spesa delle persone e quindi interviene sulla qualita’ della vita della maggioranza della popolazione, lasciando sostanzialmente protetta e intoccata quell’elite che non vive del salario e dunque principalmente del proprio lavoro ma gode di rendite (immobiliari, finanziarie ecc.) e profitti […]
Se lo Stato italiano, come la maggior parte degli Stati del mondo, aumenta la spesa militare o quella per salvare e sostenere banche e imprese in difficolta’ e al contempo taglia la spesa sociale (sanita’, scuola, trasporti, edilizia pubblica, sussidi di disoccupazione e via dicendo), sta trasferendo strutturalmente le risorse dai molti cittadini che dipendono dai salari che guadagnano ai pochissimi che vivono dei redditi da capitale generati dalla ricchezza posseduta.
In altre parole, non si tratta per gli Stati di non spendere, ma di «spendere» nella maniera «corretta», ovvero a favore dell’elite economico-finanziaria e a discapito della maggioranza della popolazione. Mentre ci curiamo in ospedali fatiscenti, studiamo in classi pollaio e facciamo file chilometriche per rinnovare la carta d’identita’, i forzieri di Leonardo, produttore di armi, e Autostrade per l’Italia (i cui azionisti sono per meta’ asset manager stranieri come Blackstone e Macquarie) traboccano di soldi delle nostre tasse.
Per la classe dei capitalisti la retorica del «non ci sono i soldi» non esiste.
Queste manovre economiche non sono solo decisioni tecniche, sono scelte profondamente politiche. Meno risorse sociali abbiamo, meno diritti abbiamo in quanto cittadini e piu’ siamo costretti a comprare tali diritti con il denaro. Cosi’ la nostra dipendenza dal mercato aumenta. Se vogliamo garantire una buona istruzione ai nostri figli, assicurarci cure mediche adeguate, una casa dignitosa, il diritto al trasporto, siamo sempre piu’ vincolati alla necessita’ di avere soldi a sufficienza, che ci possiamo procurare in un solo modo, vendendo la nostra capacita’ di lavorare in cambio di un salario.
Non per nulla i politici al governo combattono il concetto stesso di reddito di cittadinanza che, in se’, e’ potenzialmente sovversivo: rischierebbe di illuderci che soddisfare i nostri bisogni primari sia un diritto invece che l’esito intermediato dal lavoro sfruttato.

Info:
https://www.pde.it/un-libro-al-giorno/leconomia-e-politica-clara-mattei-fuoriscena/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/15/davvero-le-scelte-economiche-sono-neutrali-e-inevitabili-no-e-un-luogo-comune-il-libro-di-clara-mattei-spiega-che-in-realta-e-tutta-politica/7354313/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/11/13/leconomia-e-politica-parole-antiche-per-conflitti-del-futuro/7351420/

Lavoro/Aloisi

Antonio Aloisi, Valerio De Stefano – Il tuo capo e’ un algoritmo. Contro il lavoro disumano – Laterza (2020)

I programmi contro la poverta’ o quelli di attivazione al lavoro finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro di chi e’ disoccupato o inattivo devono essere finalmente affrancati dal retropensiero, radicatissimo, che esser poveri o senza lavoro sia una colpa.
Va preso atto, in primo luogo, che il lavoro oggi non e’ piu’, per troppe persone, un modo di uscire dalla poverta’.
Il Bureau of Labour Statistics, l’unita’ statistica del ministero del lavoro statunitense, riporta che nel 2017 quasi 7 milioni di persone negli USA erano working poors, vale a dire persone che, pur avendo lavorato o cercato attivamente lavoro per piu’ di sei mesi durante l’anno, si collocavano al di sotto della soglia di poverta’. Quasi il 3% di chi aveva lavorato full-time e oltre il 10% di chi aveva lavorato part-time negli USA era da considerarsi working poor nel 2017.
Uno studio preparato per la Commissione europea rivela che in Italia il tasso di persone a rischio di in-work poverty era, nello stesso anno, il 12,3%, contro una media europea del 9,6%. Non e’ una sorpresa che i lavoratori non-standard registrino rischi molto piu’ elevati dei lavoratori standard.
Sono numeri sottovalutati nel dibattito sugli andamenti del mercato del lavoro. Troppo spesso, come detto, si bada alle sole cifre che riportano il dato degli occupati. Non ci si chiede, invece, se chi ha un lavoro riesce a garantirsi uno stile di vita indipendente e dignitoso.
Uno degli articoli piu’ pregnanti della nostra Costituzione, il 36, sancisce che il lavoratore abbia diritto a una «retribuzione proporzionata alla quantita’ e qualita’ del suo lavoro» e «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»

Info:
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%202.pdf
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%203.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-8.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-tuo-capo-e-un-algoritmo-di-antonio-aloisi-e-valerio-de-stefano/

Europa/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione – Laterza (2024)

Va detto innanzi tutto che la totalita’ dei Paesi membri dell’Unione europea ha raccolto l’invito a dotarsi di un reddito minimo garantito, ovunque fondato sul meccanismo da cui trae fondamento la sua distinzione dal reddito di base: il sistema delle condizionalita’ nella sua essenza di meccanismo volto a spingere i disoccupati nel lavoro.
Cio’ non esclude peraltro differenze anche notevoli tra le discipline nazionali, in ultima analisi riconducibili al loro collegamento con i vari modelli di sicurezza sociale adottati, concernenti in particolare i requisiti per ottenerlo e la sua durata, oltre che ovviamente la sua entita’.
Diversi sono anche i tempi con i quali si e’ introdotto il reddito minimo garantito, dal momento che in alcuni Paesi cio’ e’ avvenuto molto prima che l’Europa lo chiedesse e in altri molto tempo dopo. Il primo e’ ad esempio il caso della Svezia e dell’Olanda, che hanno adottato la misura rispettivamente nel 1957 e nel 1963. Il secondo e’ il caso dell’Italia: l’ultimo Paese ad averla recepita.
Le ragioni di questo ritardo sono molteplici e in ultima analisi legate a risalenti carenze del sistema di contrasto della poverta’. Tradizionalmente, questo ha invero fatto affidamento sulla solidarieta’ familiare e sulla filantropia degli enti del terzo settore. L’Italia ha inoltre scontato la centralita’ attribuita alle prestazioni fondate sui contributi e in particolare al sistema pensionistico, e subito la frammentarieta’ che caratterizza la base categoriale del sistema di protezione sociale. Il tutto mentre il ruolo attribuito ai livelli di governo locale ha fatto si’ che l’entita’ delle risorse destinate al contrasto della poverta’ fosse inversamente proporzionale alla diffusione della poverta’.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/