Europa/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – Laterza (2024)

Si e’ definitivamente chiarito che il federalismo cui si ispira l’Unione ha una finalita’ decisa- mente piu’ circoscritta: rappresentare il vincolo esterno con cui imporre la spoliticizzazione del mercato.
Il tutto nel solco di quanto precisato fin dagli anni Trenta da un padre del neoliberalismo, che affidava alla dimensione sovranazionale il fondamentale compito di rimuovere ogni ostacolo alla libera circolazione dei fattori produttivi in quanto espediente attraverso cui ottenere la moderazione fiscale degli Stati membri: una pressione fiscale elevata «spingerebbe il capitale e il lavoro da qualche altra parte».
La libera circolazione consentiva insomma di spoliticizzare l’ordine economico, dal momento che sottraeva alle «organizzazioni nazionali, siano esse sindacati, cartelli od organizzazioni professionali», il «potere di controllare l’offerta di loro servizi e beni».
Di piu’: se lo Stato nazionale alimentava «solidarieta’ d’interessi tra tutti i suoi abitanti», la federazione impediva legami di «simpatia nei confronti del vicino», tanto che diventavano impraticabili «persino le misure legislative come le limitazioni delle ore di lavoro o il sussidio obbligatorio di disoccupazione».
Se cosi’ stanno le cose, l’Unione europea e’ tutt’altro che una entita’ incompiuta, capace di mettersi al servizio di un diverso modo di concepire lo stare insieme come societa’, se solo gli Stati fossero disponibili a cedere ulteriori porzioni di sovranita’ nella definizione delle politiche fiscali e di bilancio.
L’Unione europea e’ al contrario la realizzazione fedele e vincente di un modello politico ed economico incompatibile con il proposito di ripristinare l’equilibrio tra democrazia e mercato, e piu’ precisamente quello cui prelude il patto di cittadinanza fondato sul lavoro cosi’ come e’ stato concepito dalla Carta fondamentale.
Lo e’ innanzi tutto perche’ alimenta il sovranazionalismo come ideologia apparentemente distante dal nazionalismo, ma in ultima analisi identica nel produrre un effetto distorto: quello per cui l’architettura istituzionale viene ritenuta il fine ultimo e non anche lo strumento attraverso cui plasmare lo stare insieme come societa’.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/

Lavoro/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Torniamo al dovere della Repubblica di rendere effettivo il diritto al lavoro. Un simile dovere pone «a carico dello Stato un preciso obbligo», la cui giuridicita’ si ricava dal complesso delle disposizioni costituzionali in cui si inserisce il diritto al lavoro, prime fra tutte quelle concernenti la conformazione del mercato.
Si tratta invero di disposizioni da cui emergono indicazioni univoche: l’iniziativa economica privata «non puo’ svolgersi in contrasto con l’utilita’ sociale» (art. 41), il diritto di proprieta’ deve essere esercitato nel rispetto della sua «funzione sociale» (art. 42), le «produzioni di preminente interesse generale» possono essere escluse dal regime privatistico (art. 43), e la proprieta’ terriera puo’ essere gravata da obblighi «al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali» (art. 44).
Discende da tutte queste indicazioni l’obbligo per i pubblici poteri di adottare misure che, se da un lato non possono mettere in discussione il «mantenimento in via di massima dell’iniziativa privata», dall’altro devono indurre le imprese ad assumersi compiti ulteriori rispetto a quelli concernenti l’orizzonte individualistico.

Info:
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https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Economia di mercato/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Negli anni Settanta, in particolare con lo Statuto dei lavoratori, si e’ finalmente portata la Costituzione in fabbrica e si e’ realizzato cosi’ un accettabile compromesso tra democrazia e capitalismo.
Con la fine dei Trenta gloriosi inizia tuttavia la parabola discendente del lavoro, il moto per cui esso viene ridotto a una relazione di mercato qualsiasi, con il punto di arrivo ben rappresentato dal lavoro nell’ambito dell’economia on demand, che a tal fine si pretende di ritenere privo del requisito della subordinazione […]
Il lavoro on demand realizza l’aspirazione neoliberale a ridurre la relazione di lavoro all’osso, priva di tutele e obbligazioni accessorie a carico della parte datoriale: non costituisce dunque il moto verso un futuro radioso, come pure suggerisce una retorica fraudolenta, bensi’ un ritorno all’Ottocento […]
Gli anni Ottanta avviarono il lento ma inesorabile prevalere di un punto di vista neoliberale nella disciplina dell’ordine economico, e che questo ha portato alla flessibilizzazione e precarizzazione della relazione di lavoro: alla sua progressiva identificazione con una relazione di mercato qualsiasi. Il tutto per attrezzare le imprese a competere in un mondo retto dalla libera circolazione dei capitali, ovvero per consentire loro di assumere «le caratteristiche delle tende da campeggio: facili da montare» per poi «essere rapidamente smontate e rimontate altrove».
Occorreva insomma incoraggiare «la destrutturazione dell’impresa» alimentando «la volatilita’ del personale occupato», secondo schemi risolutamente avallati dal legislatore a partire dalla legge Biagi del 2003:
Secondo cui, siamo gia’ o diventeremo presto un popolo di giovani in bilico tra inoccupazione e disoccupazione di massa, di casalinghe che a qualunque eta’ accetterebbero l’inserimento in qualunque lavoro sotto-retribuito, di studenti che si socializzano svolgendo attivita’ di giardinaggio o accompagnando cani altrui durante la passeggiata quotidiana, di uomini e donne tra i 18 e i 29 anni in condizioni di estremo disagio economico pronti ad adattare ai piu’ svariati contesti lavorativi non tanto inesistenti o mediocri competenze professionali quanto piuttosto la stessa dignita’ della loro persona, di co.co.co. che sono stati suicidati per rinascere in qualita’ di lavoratori a progetto con una manciata di diritti in piu’ tra i quali – udite, udite! – quello di vedersi riconosciuta la paternita’ delle invenzioni fatte in occasione del rapporto, di soggetti a rischio di esclusione sociale disposti a rinunciare al pranzo di Natale o alla gita del Lunedi’ di Pasqua se saranno chiamati sul cellulare per qualche petit boulot, di uomini e donne il cui tempo di vita si confonde col tempo di lavoro perche’ a modico prezzo e’ espropriabile dal datore di lavoro con un preavviso di ventiquattr’ore.

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Economia di mercato/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Le manifestazioni dell’ortodossia neoliberale degli ultimi anni preannunciano invero un ritorno all’Ottocento, ovvero all’epoca in cui il lavoro era sottoposto alle medesime forme di controllo utilizzate dalle piattaforme: un controllo continuo e penetrante, caratterizzato da ritmi intensi e dalla confusione con la vita privata, svalutato e precarizzato. Ottocentesca e’ anche e soprattutto la realizzazione del «sogno del datore di lavoro di accendere e spegnere l’interruttore del lavoro senza sprecare neppure un secondo», e a monte la possibilita’ di accedere a un «deposito mobile di forza lavoro erogabile a comando e sempre nel momento giusto».
In tal senso si e’ detto che la gig economy, in quanto ordine economico a misura di lavoratori chiamati a fornire la loro prestazione «alla spina», costituisce un ritorno alla fase in cui nasce l’industria tessile inglese: quando si ricorreva al lavoro a domicilio da parte di cucitrici sostanzialmente costrette in una relazione a titolo subordinato, sebbene formalmente inquadrate come lavoratrici autonome.
E in tal senso si e’ osservato che il «luccicante mondo dell’innovazione» ci riporta a «un modello antico con cui braccianti, manovali, minatori e portuali si trovavano a fare i conti». Per non dire della circostanza che le dimensioni delle piattaforme sono alla base di dinamiche assimilabili a quelle innescate dai «monopolisti che alla fine del XIX secolo spadroneggiavano in virtù di inscalfibili rendite»

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Europa/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione – Laterza (2024)

Va detto innanzi tutto che la totalita’ dei Paesi membri dell’Unione europea ha raccolto l’invito a dotarsi di un reddito minimo garantito, ovunque fondato sul meccanismo da cui trae fondamento la sua distinzione dal reddito di base: il sistema delle condizionalita’ nella sua essenza di meccanismo volto a spingere i disoccupati nel lavoro.
Cio’ non esclude peraltro differenze anche notevoli tra le discipline nazionali, in ultima analisi riconducibili al loro collegamento con i vari modelli di sicurezza sociale adottati, concernenti in particolare i requisiti per ottenerlo e la sua durata, oltre che ovviamente la sua entita’.
Diversi sono anche i tempi con i quali si e’ introdotto il reddito minimo garantito, dal momento che in alcuni Paesi cio’ e’ avvenuto molto prima che l’Europa lo chiedesse e in altri molto tempo dopo. Il primo e’ ad esempio il caso della Svezia e dell’Olanda, che hanno adottato la misura rispettivamente nel 1957 e nel 1963. Il secondo e’ il caso dell’Italia: l’ultimo Paese ad averla recepita.
Le ragioni di questo ritardo sono molteplici e in ultima analisi legate a risalenti carenze del sistema di contrasto della poverta’. Tradizionalmente, questo ha invero fatto affidamento sulla solidarieta’ familiare e sulla filantropia degli enti del terzo settore. L’Italia ha inoltre scontato la centralita’ attribuita alle prestazioni fondate sui contributi e in particolare al sistema pensionistico, e subito la frammentarieta’ che caratterizza la base categoriale del sistema di protezione sociale. Il tutto mentre il ruolo attribuito ai livelli di governo locale ha fatto si’ che l’entita’ delle risorse destinate al contrasto della poverta’ fosse inversamente proporzionale alla diffusione della poverta’.

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Lavoro/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Da un lato il dovere di lavorare, dall’altro il diritto alla sicurezza sociale: si potrebbero sintetizzare cosi’ i termini del patto di cittadinanza cui rinvia la Costituzione italiana, che aggiunge pero’ alcune condizioni destinate a renderlo un veicolo di emancipazione. Due di queste attengono alla sfera individuale e concernono il rispetto della libera scelta dei lavoratori circa il modo di assolvere al dovere di lavorare, quindi la garanzia di una retribuzione sufficiente a condurre una vita dignitosa quale contropartita per il suo adempimento.
Altre condizioni riguardano la relazione tra capitale e lavoro e in ultima analisi l’equilibrio tra mercato e democrazia. Il dovere di lavorare si giustifica invero solo se i lavoratori prendono parte alla definizione dell’indirizzo politico generale, ovvero se sono loro assicurate forme di partecipazione democratica ulteriori rispetto a quelle contemplate dalla rappresentanza politica suffragistica: in particolare la rappresentanza di interessi attraverso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e il ricorso allo sciopero politico.
Il dovere di lavorare deve poi costituire la contropartita per un impegno dello Stato a promuovere attivamente la piena e buona occupazione, e in tal senso a rendere effettivo il diritto al lavoro. Cio’ richiede innanzi tutto di adottare le misure contemplate dal cosiddetto compromesso keynesiano, ovvero incisive politiche redistributive e robusti investimenti pubblici. Richiede poi programmazione e al limite pianificazione economica, oltre che iniziative destinate a creare e conservare posti di lavoro.

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