Lavoro/Aloisi

Antonio Aloisi, Valerio De Stefano – Il tuo capo e’ un algoritmo. Contro il lavoro disumano – Laterza (2020)

I programmi contro la poverta’ o quelli di attivazione al lavoro finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro di chi e’ disoccupato o inattivo devono essere finalmente affrancati dal retropensiero, radicatissimo, che esser poveri o senza lavoro sia una colpa.
Va preso atto, in primo luogo, che il lavoro oggi non e’ piu’, per troppe persone, un modo di uscire dalla poverta’.
Il Bureau of Labour Statistics, l’unita’ statistica del ministero del lavoro statunitense, riporta che nel 2017 quasi 7 milioni di persone negli USA erano working poors, vale a dire persone che, pur avendo lavorato o cercato attivamente lavoro per piu’ di sei mesi durante l’anno, si collocavano al di sotto della soglia di poverta’. Quasi il 3% di chi aveva lavorato full-time e oltre il 10% di chi aveva lavorato part-time negli USA era da considerarsi working poor nel 2017.
Uno studio preparato per la Commissione europea rivela che in Italia il tasso di persone a rischio di in-work poverty era, nello stesso anno, il 12,3%, contro una media europea del 9,6%. Non e’ una sorpresa che i lavoratori non-standard registrino rischi molto piu’ elevati dei lavoratori standard.
Sono numeri sottovalutati nel dibattito sugli andamenti del mercato del lavoro. Troppo spesso, come detto, si bada alle sole cifre che riportano il dato degli occupati. Non ci si chiede, invece, se chi ha un lavoro riesce a garantirsi uno stile di vita indipendente e dignitoso.
Uno degli articoli piu’ pregnanti della nostra Costituzione, il 36, sancisce che il lavoratore abbia diritto a una «retribuzione proporzionata alla quantita’ e qualita’ del suo lavoro» e «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»

Info:
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%202.pdf
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%203.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-8.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-tuo-capo-e-un-algoritmo-di-antonio-aloisi-e-valerio-de-stefano/

Europa/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione – Laterza (2024)

Va detto innanzi tutto che la totalita’ dei Paesi membri dell’Unione europea ha raccolto l’invito a dotarsi di un reddito minimo garantito, ovunque fondato sul meccanismo da cui trae fondamento la sua distinzione dal reddito di base: il sistema delle condizionalita’ nella sua essenza di meccanismo volto a spingere i disoccupati nel lavoro.
Cio’ non esclude peraltro differenze anche notevoli tra le discipline nazionali, in ultima analisi riconducibili al loro collegamento con i vari modelli di sicurezza sociale adottati, concernenti in particolare i requisiti per ottenerlo e la sua durata, oltre che ovviamente la sua entita’.
Diversi sono anche i tempi con i quali si e’ introdotto il reddito minimo garantito, dal momento che in alcuni Paesi cio’ e’ avvenuto molto prima che l’Europa lo chiedesse e in altri molto tempo dopo. Il primo e’ ad esempio il caso della Svezia e dell’Olanda, che hanno adottato la misura rispettivamente nel 1957 e nel 1963. Il secondo e’ il caso dell’Italia: l’ultimo Paese ad averla recepita.
Le ragioni di questo ritardo sono molteplici e in ultima analisi legate a risalenti carenze del sistema di contrasto della poverta’. Tradizionalmente, questo ha invero fatto affidamento sulla solidarieta’ familiare e sulla filantropia degli enti del terzo settore. L’Italia ha inoltre scontato la centralita’ attribuita alle prestazioni fondate sui contributi e in particolare al sistema pensionistico, e subito la frammentarieta’ che caratterizza la base categoriale del sistema di protezione sociale. Il tutto mentre il ruolo attribuito ai livelli di governo locale ha fatto si’ che l’entita’ delle risorse destinate al contrasto della poverta’ fosse inversamente proporzionale alla diffusione della poverta’.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/

Societa’/Fraser

Nancy Fraser – Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi – Meltemi (2019)

[La]”post-crescita” non significa che la societa’ non dovrebbe crescere, tanto meno che debba ridursi.
L’idea e’ piuttosto che la societa’ non dovrebbe essere costruita su un imperativo di crescita programmato, che opera come una cieca necessita’ o un’irresistibile “forza della natura”, che anticipa la nostra possibilita’ di decidere se crescere o meno, quando e quanto velocemente farlo, il che e’ esattamente cio’ che fa il capitalismo […]
Dovremmo anche riflettere su cosa si intende esattamente per “crescita” in questo discorso.
Esattamente, che cosa dovrebbe essere o non essere in crescita?
Nel capitalismo, cio’ che deve necessariamente crescere non e’ la ricchezza umana o il benessere ma il capitale. Questa interpretazione della crescita (che il capitale deve crescere all’infinito e senza limiti) e’ quella che dovremmo rifiutare apertamente. Ma a cio’ non necessariamente consegue che dovremmo produrre di meno, soprattutto alla luce degli enormi livelli di privazione e poverta’ nel mondo.
La vera domanda non e’ quanto si sta producendo ma cosa, come e a beneficio di chi […]
Abbiamo anche bisogno di spiegare cio’ che intendiamo per “societa’ industriale”.
Sono felice che alcune cose che uso siano prodotte industrialmente, ma non lo sono per altre. Per esempio, sono felice che gli aerei siano prodotti industrialmente. Non vorrei salire su un velivolo che qualcuno ha appena costruito nel suo garage; sono contenta che ci siano standard, regolamenti, controlli e ispezioni volti a garantirne la resistenza e la sicurezza. Il cibo, invece, e’ tutt’altra questione. Sarei felice di vedere la fine dell’allevamento industriale degli animali e della produzione di massa di colture geneticamente modificate.
Ancora una volta, dovremmo concentrarci sulla domanda qualitativa: di quali merci stiamo parlando? Com’e’ organizzata la produzione e da chi? Qualcuno ne trae profitto a spese di altri? Il lavoro e’ sicuro e gratificante o e’ umiliante e alienante? E’ organizzato democraticamente? Il surplus che ne deriva e’ a beneficio degli azionisti? Si svolge in una dimora nascosta fatta di lavoro non pagato ed espropriato? La sua fonte di energia e’ ecologica e sostenibile?

Info:
https://kriticaeconomica.com/letture-kritiche/finalmente-siamo-tornati-a-parlare-di-capitalismo-nancy-fraser/
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/fazio-jaeggi-manifesto-capitalismo-fraser.pdf
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/fazi-manifesto-capitalismo-fraser.pdf
http://www.linterferenza.info/contributi/nancy-fraser-capitalismo-conversazione-rahel-jaeggi/
https://jacobinitalia.it/il-capitalismo-si-infiltra-nelle-nostre-vite-quotidiane/

Capitalismo/Gorz

André Gorz – Ecologia e libertà – André Gorz – Orthotes (2015)

Nei paesi industrialmente sviluppati, la causa della poverta’ non risiede nell’insufficienza della produzione ma nella modalita’ produttiva e nella natura dei prodotti.
L’eliminazione della poverta’ non richiede la produzione di un maggior volume di beni ma semplicemente che si produca altro ed in altro modo.
La persistenza della poverta’ nei paesi industrialmente sviluppati non puo’ essere attribuita alle stesse cause che comportano l’esistenza della poverta’ nei paesi cosiddetti poveri. Mentre quest’ultima puo’ essere eventualmente attribuita ad uno stato materiale di penuria che potrebbe essere eliminato dallo sviluppo (in certe condizioni) delle forze produttive, la persistenza della poverta’ nei paesi ricchi deve essere ascritta ad un sistema sociale che produce contemporaneamente un surplus di ricchezza e penuria: la poverta’ e’ prodotta e riprodotta man mano che cresce il livello dei consumi.
Per meglio comprendere il meccanismo di questa riproduzione, e’ utile distinguere tre cause della poverta’ […]
1. L’accaparramento […] e’ la causa piu’ comune della poverta’: i ricchi accaparrano a loro esclusivo vantaggio risorse che sarebbero altrimenti disponibili in quantita’ sufficienti. […]
2. Accesso esclusivo […] Si parla di accesso esclusivo quando una minoranza privilegiata si arroga il diritto di godere di risorse naturali che, a causa sia della loro scarsita’ che delle loro caratteristiche, non potrebbero essere ripartite tra tutti ne’ divenire accessibili nello stesso periodo di tempo […] L’accesso esclusivo non crea la scarsita’: quest’ultima infatti la precede. La limitazione non si oppone all’equa distribuzione: essa preserva qualcosa che, se egualmente ripartito, semplicemente scomparirebbe […]
3. Consumo distintivo. Si definiscono distintivi i consumi di beni e servizi il cui valore d’uso e’ dubbio ma che, per prezzo e rarita’, esprimono il privilegio chi puo’ goderne. I consumi distintivi non implicano necessariamente un accaparramento, ma i due fenomeni possono coesistere […] Predisporre il lancio di un nuovo oggetto – inizialmente raro e costoso soltanto in ragione della sua novita’ – affinche’, a prescindere dalla sua effettiva superiorita’, il ricco possa trovare nel suo possesso l’occasione di affermarsi in quanto ricco e di ristabilire la poverta’ del povero. E’ quello che Ivan Illich ha chiamato “modernizzazione della povertà […]
Non sara’ dunque possibile eliminare la poverta’ nei paesi industrializzati attraverso un aumento della produzione. Occorre al contrario ri-calibrare la produzione secondo i seguenti criteri: – i beni prodotti socialmente devono essere accessibili a tutti; – la loro produzione non deve dissipare risorse abbondanti in natura; – essi devono essere concepiti in modo tale che la loro diffusione generalizzata non ne distrugga il valore d’uso a causa delle controproduttivita’ che potrebbe provocare.

Info:
https://www.orthotes.com/wp-content/uploads/2020/03/gorz-avallone-manitesto-29-09-2015.pdf
https://www.orthotes.com/wp-content/uploads/2020/03/gorz-fadini-iride17-11-2016.pdf
https://www.orthotes.com/wp-content/uploads/2020/03/gorz-musolino-commonware-12-10-2015.pdf
https://www.rivistadiscienzesociali.it/andre-gorz-ecologia-e-liberta-recensione-di-giovanni-coppolino-bille/
https://materialismostorico.blogspot.com/2015/09/ripubblicato-ecologia-e-liberta-di.html
https://ilmanifesto.it/dentro-i-limiti-naturali-del-profitto

Capitalismo/Undiemi

Lidia Undiemi – La lotta di classe nel XXI secolo. La nuova offensiva del capitale contro i lavoratori: il quadro mondiale del conflitto e la possibile reazione democratica – Ponte alle Grazie (2021)

La post-ideologia, dovendo consentire l’allontanamento dalle ideologie di destra e di sinistra, viene fatta in apparenza coincidere con la non-ideologia, ossia con un pensiero politico apparentemente senza identita’ e senza passato.
La conseguenza principale del diffondersi della post-ideologia e’ la disseminazione di formazioni politiche con programmi disorganici, legittimate a non avere, proprio perche’ post-ideologiche, una visione della societa’ strutturata e di lungo periodo.
I partiti post-ideologici operano pertanto occupandosi delle contingenze del momento, attuando provvedimenti estemporanei solo apparentemente in contrasto con la cultura neoliberista, come le misure antipoverta’ con redditi ai limiti della sopravvivenza, spacciate come soluzione e non come strumenti temporanei.
Non si pensa, in altri termini, a come impedire che gli individui diventino poveri, ma al modo in cui farli sopravvivere una volta che lo sono diventati

Info:
https://www.lidiaundiemi.it/libri/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.sinistrainrete.info/politica/23735-lidia-undiemi-reagire-e-non-aspettare-il-manifesto-della-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo.html
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lidia_undiemi__reagire_e_non_aspettare_il_manifesto_della_lotta_di_classe_nel_xxi_secolo/39130_47187/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/05/undiemi-la-pace-sociale-e-una-trappola-per-i-lavoratori-serve-una-ripresa-della-conflittualita-dal-governo-mi-attendo-nuova-riforma-lavoro/6120731/

Economia di mercato/Piketty

Thomas Piketty – Una breve storia dell’uguaglianza – La nave di Teseo (2021)

Bisogna anche evitare di idealizzare il periodo delle Trente Glorieuses (1950-1980), come se fosse ammantato di tutte le virtu’ del Nord del mondo, a differenza di un Sud martoriato dalle guerre d’indipendenza e da lotte durissime nel suo tentativo di stabilire un principio di sovranita’, in una situazione di grande poverta’ e di estrema pressione demografica.
Lo Stato sociale delle Trente Glorieuses, oltre a essere intenzionalmente social-patriarcale, era innanzitutto uno Stato sociale nazionale, nel senso che si e’ perlopiu’ sviluppato negli Stati-nazione del Nord del mondo, con sistemi di tutela sociale e interventi in ambito scolastico e nelle infrastrutture concepiti per avvantaggiare le popolazioni nazionali, senza troppo considerare la componente internazionale e coloniale che aveva consentito l’arricchimento dell’Occidente (passato recente, che tuttavia si vorrebbe prontamente dimenticare) ne’ lo sviluppo del resto del pianeta.
Le popolazioni del Sud del mondo erano eventualmente coinvolte per sopperire al bisogno di manodopera del Nord, ma sempre prevedendo di rispedirle al luogo d’origine una volta finito il lavoro e senza l’idea di un modello di sviluppo coordinato e di nuove forme di circolazione e di regolazione che avrebbe comportato

Info:
https://www.criticaletteraria.org/2021/11/thomas-piketty-una-breve-storia-dell-uguaglianza.html
https://www.doppiozero.com/materiali/thomas-piketty-la-storia-maestra-di-uguaglianza
https://www.repubblica.it/cultura/2021/11/17/news/l_anticipazione_cosi_il_clima_cambiera_la_nostra_vita-326752782/

Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

Ricordate che la Campagna del millennio aveva spostato indietro, al 1990, l’anno di riferimento, per poter rivendicare i successi della Cina nella lotta alla poverta’?
Bene, che cosa succede se eliminiamo la Cina dall’equazione? Succede che scopriamo che la poverta’ nel mondo, negli anni ottanta e novanta, proprio quando la Banca mondiale stava imponendo i programmi di aggiustamento strutturale in gran parte dei paesi del Sud del mondo, in realta’ e’ aumentata.
Oggi, il numero delle persone che versano in condizioni di poverta’ estrema e’ esattamente lo stesso del 1981: poco piu’ di un miliardo.
In altre parole, mentre la narrazione edificante ci induce a credere che la poverta’ sia diminuita in tutto il mondo, in realta’ gli unici posti dove si e’ effettivamente registrato un calo sono la Cina e l’Asia orientale.
Ed e’ un punto cruciale , perche’ quei paesi sono fra i pochi nel pianeta in cui il capitalismo liberista non e’ stato imposto con la forza dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale. In tutto il resto del mondo la poverta’ e’ rimasta uguale o e’ addirittura peggiorata, nel complesso. E questo continua a essere evidente, nonostante i tentativi della Banca mondiale di adulterare le cifre.

Info:
https://www.ibs.it/the-divide-guida-per-risolvere-libro-jason-hickel/e/9788842824961/recensioni
https://www.culturamente.it/libri/politica-economica-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/the-divide/

Economia di mercato/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

Ancora oggi la storia dello sviluppo continua a esercitare una forza irresistibile nella nostra societa’.
La si incontra ovunque si volga lo sguardo: nei negozi equi e solidali come quelli della Oxfam e della Traid, negli spot televisivi di Save the Children e della World Vision, nei rapporti annuali pubblicati dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale e ogni volta che guardiamo la classifica delle nazioni del mondo in base al Pil.
La sentiamo ripetere da rockstar come Bono e Bob Geldof, da miliardari come Bill Gates e George Soros, da attrici come Madonna e Angelina Jolie, con i suoi abiti coloniali e uno stuolo di bambini africani accalcati smaniosamente intorno a lei […]
Lo sviluppo e’ ovunque. E si porta dietro i suoi rituali, a cui possono partecipare milioni e milioni di persone: comprare scarpe Toms, donare qualche dollaro al mese per adottare a distanza un bambino dello Zambia o sacrificare le vacanze estive per fare volontariato in Honduras.
Forse non sarebbe esagerato dire che prima o poi quasi tutti, nel mondo occidentale, si sono imbattuti nella storia dello sviluppo, o addirittura vi hanno preso parte. E’ onnipresente.
Ed e’ diventata un’industria enorme, che vale centinaia di miliardi di dollari, quanto tutti i profitti di tutte le banche degli Stati Uniti messi assieme […]
L’industria dello sviluppo ha ripetutamente fallito nel mantenere le sue grandi promesse di «porre fine alla fame nel mondo» o «rendere la poverta’ un ricordo del passato» […]
Prendiamo la fame, per esempio. Nel 1974, al primo vertice delle Nazioni Unite sull’alimentazione a Roma, il segretario di Stato americano Henry Kissinger promise che la fame sarebbe stata debellata entro un decennio. All’epoca nel mondo c’erano circa 460 milioni di persone che soffrivano la fame. Ma invece di scomparire, la fame e’ aumentata costantemente: oggi, secondo le stime piu’ prudenti, ci sono circa 800 milioni di persone nel mondo che patiscono la fame, mentre quelle piu’ realistiche parlano di circa 2 miliardi di persone, quasi un terzo dell’umanita’ […]
E la poverta’? Da molti anni, l’industria dello sviluppo ci dice che la poverta’ assoluta e’ in declino costante. Nel 2015 le Nazioni Unite hanno pubblicato il rapporto finale sugli Obiettivi di sviluppo del millennio – il primo importante impegno pubblico a livello mondiale per ridurre la poverta’ –, in cui si sosteneva che il tasso di poverta’ era stato dimezzato rispetto al 1990. Questa incoraggiante versione ufficiale e’ rimbalzata attraverso i media ed e’ stata ripetuta all’infinito dalle Ong. Ma e’ molto fuorviante: in primo luogo perche’ gran parte dei progressi nella lotta alla poverta’ riguarda un solo paese, la Cina; in secondo luogo perche’ questa versione incoraggiante si basa su percentuali e non su numeri assoluti. Se prendiamo in considerazione i numeri assoluti – il parametro su cui i governi mondiali originariamente si erano accordati per misurare i progressi –, vediamo che la diffusione della poverta’ e’ esattamente la stessa del 1981, quando sono iniziate le misurazioni: circa un miliardo di persone. In questi trentacinque anni non c’è stato alcun miglioramento […]
E nel frattempo la disuguaglianza e’ esplosa. Nel 1960, alla fine del colonialismo, il reddito pro capite del paese piu’ ricco era trentadue volte superiore a quello del paese piu’ povero: un divario notevole. L’industria dello sviluppo ci ha detto che questa differenza si sarebbe ridotta, ma cosi’ non e’ stato: al contrario, nei quattro decenni successivi e’ piu’ che quadruplicata, arrivando, nel 2000, a un rapporto di 134 a 1.

Info:
https://www.ibs.it/the-divide-guida-per-risolvere-libro-jason-hickel/e/9788842824961/recensioni
https://www.culturamente.it/libri/politica-economica-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/the-divide/

Societa’/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

La carita’ non solo distoglie la nostra attenzione dalle cause ultime della poverta’ – dal marciume al centro del sistema –, ma nasconde anche la natura del problema di quelli che ne soffrono.
La beneficenza puo’ compromettere la capacita’ di una persona di sfidare direttamente le forze che sono alla base della sua mortificazione, e privarla della capacita’ di agire a livello politico. Smussando le contraddizioni di un sistema profondamente imperfetto, consente a quel sistema di andare avanti ancora un po’.
Di solito le organizzazioni umanitarie agiscono in buona fede, ma a volte gli aiuti sono concepiti espressamente per raggiungere questo scopo. Alcuni studiosi sottolineano che gli aiuti alimentari occidentali, per esempio, vengono ponderati con attenzione per prevenire le carestie peggiori e garantire alle persone quantomeno le calorie sufficienti a rimanere in vita, altrimenti le ingiustizie del sistema economico globale sarebbero cosi’ evidenti da far crollare la sua legittimita’ e provocare quasi certamente terremoti politici […]
Nella misura in cui la carita’ e’ resa possibile dall’accumulazione di ricchezza in eccesso, non puo’ mai essere una soluzione concreta, per il semplice fatto che i processi attraverso i quali si accumula la ricchezza sono gli stessi che producono la poverta’.

Info:
https://www.ibs.it/the-divide-guida-per-risolvere-libro-jason-hickel/e/9788842824961/recensioni
https://www.culturamente.it/libri/politica-economica-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/the-divide/

Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia puo’ salvare il pianeta – il Saggiatore (2021)

Considerate che, per portare tutti i cittadini del mondo al di sopra della soglia di poverta’ di 7,40 dollari al giorno e fornire a ogni persona nel Sud del mondo assistenza sanitaria pubblica universale a un livello equivalente a quello del Costa Rica, sarebbero necessari circa 10 000 miliardi di dollari.
E’ un importo considerevole, in apparenza. Ma e’ soltanto la meta’ del reddito annuo dell’1% piu’ ricco. Trasferendo 10 000 miliardi di dollari dell’eccesso di reddito annuo dall’1% piu’ ricco ai poveri del mondo, potremmo porre fine alla poverta’ in un attimo ed elevare l’aspettativa di vita nel Sud del mondo a ottant’anni, eliminando cosi’ il divario sanitario globale.
All’1% più ricco resterebbe comunque un reddito familiare medio annuo superiore a un quarto di milione di dollari: piu’ di quanto chiunque possa mai avere ragionevolmente bisogno e quasi otto volte superiore al reddito familiare mediano in Gran Bretagna.
E stiamo parlando soltanto del reddito; non abbiamo nemmeno sfiorato la ricchezza.
L’1% piu’ ricco ha accumulato un patrimonio di 158 000 miliardi di dollari, quasi la meta’ della ricchezza complessiva globale.

Info:
https://oggiscienza.it/2021/05/08/siamo-ancora-in-tempo-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/wp-content/uploads/2021/04/2021_04_20-Manifesto-Hickel.pdf
https://www.linkiesta.it/2021/03/salvare-il-pianeta-rapporto-natura/