Stato/Mattei

Clara E. Mattei – L’economia è politica – Fuoriscena (2023)

Se chiedete agli esperti una definizione di austerita’ vi verra’ detto che si tratta di quelle politiche economiche di taglio della spesa pubblica e aumento delle tasse.
Ecco il primo trabocchetto: la lente degli economisti e’ quella dell’aggregato, cioe’ del «tutto». Si parla di economia italiana, francese, spagnola come se fossero ognuna un’unita’ compatta. Ma, a ben guardare, questi concetti non sono che astrazioni.
Prendiamo il nostro Paese come esempio: se guardiamo alla spesa «aggregata» dello Stato italiano, non vedremo alcuna traccia di austerita’. Infatti lo Stato sta spendendo moltissimo in ambito militare e nel sostegno delle imprese (le banche per esempio) che mettono cosi’ in sicurezza i propri profitti. I numeri della spesa pubblica non calano.
Ma la questione rilevante e’ un’altra.
Non si tratta semplicemente di vedere se lo Stato spende, quanto piuttosto dove lo Stato spende o, meglio, per chi lo Stato spende. L’austerita’ non e’ una generica azione sulla spesa pubblica intesa come un tutto, e’ invece un’azione politica che agisce sulla capacita’ di spesa delle persone e quindi interviene sulla qualita’ della vita della maggioranza della popolazione, lasciando sostanzialmente protetta e intoccata quell’elite che non vive del salario e dunque principalmente del proprio lavoro ma gode di rendite (immobiliari, finanziarie ecc.) e profitti […]
Se lo Stato italiano, come la maggior parte degli Stati del mondo, aumenta la spesa militare o quella per salvare e sostenere banche e imprese in difficolta’ e al contempo taglia la spesa sociale (sanita’, scuola, trasporti, edilizia pubblica, sussidi di disoccupazione e via dicendo), sta trasferendo strutturalmente le risorse dai molti cittadini che dipendono dai salari che guadagnano ai pochissimi che vivono dei redditi da capitale generati dalla ricchezza posseduta.
In altre parole, non si tratta per gli Stati di non spendere, ma di «spendere» nella maniera «corretta», ovvero a favore dell’elite economico-finanziaria e a discapito della maggioranza della popolazione. Mentre ci curiamo in ospedali fatiscenti, studiamo in classi pollaio e facciamo file chilometriche per rinnovare la carta d’identita’, i forzieri di Leonardo, produttore di armi, e Autostrade per l’Italia (i cui azionisti sono per meta’ asset manager stranieri come Blackstone e Macquarie) traboccano di soldi delle nostre tasse.
Per la classe dei capitalisti la retorica del «non ci sono i soldi» non esiste.
Queste manovre economiche non sono solo decisioni tecniche, sono scelte profondamente politiche. Meno risorse sociali abbiamo, meno diritti abbiamo in quanto cittadini e piu’ siamo costretti a comprare tali diritti con il denaro. Cosi’ la nostra dipendenza dal mercato aumenta. Se vogliamo garantire una buona istruzione ai nostri figli, assicurarci cure mediche adeguate, una casa dignitosa, il diritto al trasporto, siamo sempre piu’ vincolati alla necessita’ di avere soldi a sufficienza, che ci possiamo procurare in un solo modo, vendendo la nostra capacita’ di lavorare in cambio di un salario.
Non per nulla i politici al governo combattono il concetto stesso di reddito di cittadinanza che, in se’, e’ potenzialmente sovversivo: rischierebbe di illuderci che soddisfare i nostri bisogni primari sia un diritto invece che l’esito intermediato dal lavoro sfruttato.

Info:
https://www.pde.it/un-libro-al-giorno/leconomia-e-politica-clara-mattei-fuoriscena/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/15/davvero-le-scelte-economiche-sono-neutrali-e-inevitabili-no-e-un-luogo-comune-il-libro-di-clara-mattei-spiega-che-in-realta-e-tutta-politica/7354313/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/11/13/leconomia-e-politica-parole-antiche-per-conflitti-del-futuro/7351420/

Lavoro/Aloisi

Antonio Aloisi, Valerio De Stefano – Il tuo capo e’ un algoritmo. Contro il lavoro disumano – Laterza (2020)

I programmi contro la poverta’ o quelli di attivazione al lavoro finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro di chi e’ disoccupato o inattivo devono essere finalmente affrancati dal retropensiero, radicatissimo, che esser poveri o senza lavoro sia una colpa.
Va preso atto, in primo luogo, che il lavoro oggi non e’ piu’, per troppe persone, un modo di uscire dalla poverta’.
Il Bureau of Labour Statistics, l’unita’ statistica del ministero del lavoro statunitense, riporta che nel 2017 quasi 7 milioni di persone negli USA erano working poors, vale a dire persone che, pur avendo lavorato o cercato attivamente lavoro per piu’ di sei mesi durante l’anno, si collocavano al di sotto della soglia di poverta’. Quasi il 3% di chi aveva lavorato full-time e oltre il 10% di chi aveva lavorato part-time negli USA era da considerarsi working poor nel 2017.
Uno studio preparato per la Commissione europea rivela che in Italia il tasso di persone a rischio di in-work poverty era, nello stesso anno, il 12,3%, contro una media europea del 9,6%. Non e’ una sorpresa che i lavoratori non-standard registrino rischi molto piu’ elevati dei lavoratori standard.
Sono numeri sottovalutati nel dibattito sugli andamenti del mercato del lavoro. Troppo spesso, come detto, si bada alle sole cifre che riportano il dato degli occupati. Non ci si chiede, invece, se chi ha un lavoro riesce a garantirsi uno stile di vita indipendente e dignitoso.
Uno degli articoli piu’ pregnanti della nostra Costituzione, il 36, sancisce che il lavoratore abbia diritto a una «retribuzione proporzionata alla quantita’ e qualita’ del suo lavoro» e «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»

Info:
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%202.pdf
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%203.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-8.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-tuo-capo-e-un-algoritmo-di-antonio-aloisi-e-valerio-de-stefano/

Economia di mercato/Chomsky

Noam Chomsky – Ottimismo (malgrado tutto). Capitalismo, impero e cambiamento sociale – Ponte alle Grazie (2018)

Se per «globalizzazione» intendiamo l’integrazione internazionale, essa precede di molto il capitalismo.
La via della seta risalente all’epoca precristiana era a tutti gli effetti una forma di globalizzazione.
La nascita del capitalismo industriale di Stato ha modificato la portata e il carattere della globalizzazione, e via via sono intervenuti altri mutamenti perche’ l’economia globale e’ stata riconfigurata da quelli che Adam Smith chiamava i «padroni dell’umanita’», ossia i seguaci della «vile massima»: «Tutto per noi e niente per gli altri».
Le cose sono cambiate in modo sostanziale nel periodo della globalizzazione neoliberista, dalla fine degli anni Settanta, le cui icone sono state Reagan e la Thatcher, per quanto la linea politica vari solo di poco con le diverse amministrazioni.
Il motore di tutto questo sono le multinazionali, e il loro potere politico modella le politiche statali in base ai propri interessi. In questi anni le multinazionali, aiutate dalle politiche degli Stati da loro di fatto dominati, hanno costruito catene produttive globali (global value chains, GVC) in cui la «societa’madre» delocalizza la produzione mediante complesse reti globali da lei create e controllate […]
Si stima che circa l’80% del commercio mondiale avvenga all’interno delle catene produttive globali create e gestite dalle multinazionali, cui fa capo circa il 20% dei posti di lavoro in tutto il mondo […]
La misurazione tradizionale della ricchezza nazionale in termini di PIL e’ fuorviante nell’era della globalizzazione neoliberista. Con catene di distribuzione cosi’ complesse e integrate – i subcontraenti e gli altri meccanismi esistenti –, la proprieta’ corporativa della ricchezza mondiale diventa un metro di misura piu’ realistico del potere globale, poiche’ il mondo si allontana sempre piu’ dal modello delle economie politiche differenziate su base nazionale.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/19738-sandro-moiso-pandemia-economia-e-crimini-della-guerra-sociale.html
https://pinobertelli.it/ottimismo-malgrado-tutto-capitalismo-impero-e-cambiamento-sociale/
https://www.ilroma.net/opinione/restare-ottimisti-nonostante-tutto

Societa’/Armao

Fabio Armao – Capitalismo di sangue – Laterza (2024)

Il Novecento sembrava aver dimostrato che in guerra intervengono in ultima istanza due fattori: quello materiale degli apparati bellici, che rinvia al rapporto tra pubblico e privato, ovvero tra stato e imprese; e quello immateriale delle motivazioni dei combattenti, che evoca il ruolo delle ideologie, delle relazioni tra il sistema politico e la societa’ civile.
La prima dimensione caratterizza maggiormente quelle che, non a caso, definiamo «grandi potenze»: per il patrimonio di conoscenze, capitali e industrie che determinano la loro superiorita’ nei confronti del resto del mondo – e per la volonta’ di servirsene a fini di conquista. Non e’ casuale che ancora oggi, in tempi di globalizzazione, la produzione e lo smercio di armamenti sia prerogativa di un pugno di paesi […]
La seconda dimensione, quella ideologica, si e’ rivelata piu’ volte l’arma vincente persino in condizioni di straordinaria inferiorita’ strategica. La motivazione dei combattenti, cio’ che determina la loro volonta’ di sacrificare la vita in battaglia, dipende innanzitutto dalla giustizia o meno della propria causa; ma non per come viene propagandata da politici e intellettuali, bensi’ per come e’ percepita e vissuta dai soldati stessi e dalla popolazione che li circonda, il cui sostegno risulta essenziale.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/IL_FATTO_QUOTIDIANO_27012024.pdf
https://www.micromega.net/author/fabio-armao/

Capitalismo/Brown

Wendy Brown – Il disfacimento del demos – Luiss University Press (2023)

Qualsiasi tentativo di teorizzare la relazione tra democrazia e neoliberismo viene messo in difficolta’ dalle ambiguita’ e dalla molteplicita’ di significati dei due termini.
“Democrazia” e’ una delle parole piu’ dibattute e promiscue del nostro vocabolario politico moderno.
Nell’immaginario popolare, “democrazia” significa di tutto e di piu’, dalle libere elezioni al libero mercato, dalle proteste contro i dittatori all’ordine pubblico, dalla centralita’ dei diritti alla stabilita’ degli Stati, dalla voce della moltitudine alla protezione dell’individualita’ e all’ingiustizia dei pareri imposti dalle masse. Per alcuni, la democrazia e’ il gioiello della corona dell’Occidente; per altri, e’ cio’ che l’Occidente non ha mai avuto davvero, oppure e’ principalmente una patina che nasconde gli obiettivi imperialistici occidentali.
La democrazia ha talmente tante varieta’ – sociale, liberale, radicale, repubblicana, rappresentativa, autoritaria, diretta, partecipativa, deliberativa, plebiscitaria – che queste denominazioni spesso si riferiscono a cose diverse […].
Anche “neoliberismo” e’ un significante generico e mutevole […] Il neoliberismo come programma economico, modalita’ di governance e ordine della ragione e’ allo stesso tempo un fenomeno globale eppure incostante, differenziato, non sistematico, impuro. In Svezia si interseca con la persistente legittimita’ del welfarismo, in Sudafrica con l’aspettativa di uno Stato democratizzatore e favorevole a una ridistribuzione post-Apartheid del reddito, in Cina con il confucianesimo, il post-maoismo e il capitalismo, negli Stati Uniti con una strana miscela di radicato antistatalismo e nuovo managerialismo. Le politiche neoliberiste inoltre passano da portali e agenti diversi.
Anche se il neoliberismo fu un “esperimento” imposto al Cile da Augusto Pinochet e dagli economisti noti come “Chicago boys” dopo il loro golpe del 1973 ai danni di Salvador Allende, e’ stato il Fondo monetario internazionale a imporre “aggiustamenti strutturali” al Sud globale nei due decenni successivi. Analogamente, se Margaret Thatcher e Ronald Reagan perseguirono audaci riforme nella direzione del libero mercato quando salirono al potere, il neoliberismo si e’ rivelato in modo piu’ sottile nelle nazioni euroatlantiche attraverso tecniche di governance che hanno usurpato un lessico democratico rimpiazzandolo con uno economico e con la coscienza sociale.
Inoltre, la stessa razionalita’ neoliberista si e’ alterata nel tempo, soprattutto ma non solo nel passaggio da un’economia produttiva a una sempre piu’ finanziaria […]E’ il nome di una reazione economica e politica storicamente specifica al keynesismo e alla socialdemocrazia, oltre che di una pratica piu’ generalizzata di “economizzazione” di sfere e attivita’ finora governate da altre tabelle di valori.

Info:
https://www.equilibrielmas.it/2023/11/29/wendy-brown-il-disfacimento-del-demos-la-rivoluzione-silenziosa-del-neoliberismo-luiss-university-press-roma-2023/
https://www.dinamopress.it/news/wendy-brown-lo-svuotamento-silenzioso-della-democrazia/
https://www.ilmanifestoinrete.it/2023/07/01/per-farla-finita-con-lhomo-oeconomicus/

Green New Deal/Chomsky

Noam Chomsky, C.J. Polychroniou – Perché l’Ucraina – Ponte alle Grazie (2022)

Proprio mentre scoppiava la crisi ucraina, l’IPCC [Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico] pubblicava il suo rapporto del 2022: il grido d’allarme piu’ inquietante che abbia mai prodotto.
Nel documento si afferma senza mezzi termini che e’ indispensabile adottare delle misure decisive adesso, senza ulteriori indugi, per ridurre l’uso di combustibili fossili e passare alle energie rinnovabili.
Questi avvertimenti hanno avuto scarsa risonanza, dopodiche’ la nostra strana specie e’ tornata a destinare le scarse risorse alla distruzione e a incrementare l’avvelenamento dell’atmosfera, frenando al contempo le iniziative per deviare dal suo percorso suicida.
L’industria del fossile nasconde a malapena la gioia per le nuove opportunita’ fornite dall’invasione di accelerare la distruzione della vita sul pianeta.
Negli Stati Uniti e’ probabile che il partito negazionista, che ha bloccato con successo gli sforzi limitati di Biden per affrontare questa crisi esistenziale, torni presto al potere, cosi’ da riavviare la missione dell’amministrazione Trump di distruggere ogni cosa il piu’ rapidamente ed efficacemente possibile.

Info:
https://duels.it/industria-culturale/analisi-di-un-conflitto-perche-lucraina-di-noam-chomsky/
https://www.illibraio.it/news/saggistica/noam-chomsky-guerra-ucraina-1420828/
https://www.sololibri.net/Perche-l-Ucraina-Noam-Chomsky.html

Europa/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione – Laterza (2024)

Va detto innanzi tutto che la totalita’ dei Paesi membri dell’Unione europea ha raccolto l’invito a dotarsi di un reddito minimo garantito, ovunque fondato sul meccanismo da cui trae fondamento la sua distinzione dal reddito di base: il sistema delle condizionalita’ nella sua essenza di meccanismo volto a spingere i disoccupati nel lavoro.
Cio’ non esclude peraltro differenze anche notevoli tra le discipline nazionali, in ultima analisi riconducibili al loro collegamento con i vari modelli di sicurezza sociale adottati, concernenti in particolare i requisiti per ottenerlo e la sua durata, oltre che ovviamente la sua entita’.
Diversi sono anche i tempi con i quali si e’ introdotto il reddito minimo garantito, dal momento che in alcuni Paesi cio’ e’ avvenuto molto prima che l’Europa lo chiedesse e in altri molto tempo dopo. Il primo e’ ad esempio il caso della Svezia e dell’Olanda, che hanno adottato la misura rispettivamente nel 1957 e nel 1963. Il secondo e’ il caso dell’Italia: l’ultimo Paese ad averla recepita.
Le ragioni di questo ritardo sono molteplici e in ultima analisi legate a risalenti carenze del sistema di contrasto della poverta’. Tradizionalmente, questo ha invero fatto affidamento sulla solidarieta’ familiare e sulla filantropia degli enti del terzo settore. L’Italia ha inoltre scontato la centralita’ attribuita alle prestazioni fondate sui contributi e in particolare al sistema pensionistico, e subito la frammentarieta’ che caratterizza la base categoriale del sistema di protezione sociale. Il tutto mentre il ruolo attribuito ai livelli di governo locale ha fatto si’ che l’entita’ delle risorse destinate al contrasto della poverta’ fosse inversamente proporzionale alla diffusione della poverta’.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/

Stato/Dardot

Pierre Dardot, Christian Laval – La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista. Nuova edizione – Derive Approdi (2019)

La missione dello Stato non e’ piu’ tanto quella di assicurare l’integrazione dei diversi livelli della vita collettiva, quanto conformare le societa’ ai vincoli della concorrenza mondiale e della finanza globale.
La gestione della popolazione cambia di significato e di metodo.
Mentre nel periodo fordista l’idea predominante era (secondo la formula consacrata) «accordo tra efficienza economica e progresso sociale» nel quadro di un capitalismo nazionale, la popolazione oggi e’ percepita soltanto come una «risorsa» per le imprese secondo un’analisi costi-benefici.
La politica, che per inerzia semantica definiamo ancora «sociale», non segue piu’ la logica della ripartizione dei guadagni di produttivita’, destinata a mantenere un livello della domanda abbastanza alto per gli sbocchi della produzione di massa. Essa, piuttosto, mira a massimizzare l’utilita’ della popolazione, accrescendone l’impiegabilita’ e la produttivita’, e assottigliandone i costi tramite politiche sociali di un nuovo genere che consistono nell’indebolire il potere di negoziazione dei sindacati, nel degradare il diritto del lavoro, nel ridurre il costo della manodopera, l’ammontare delle pensioni e la qualita’ della previdenza sociale; il tutto in nome dell’«adattamento alla globalizzazione».
Lo Stato, dunque, non abbandona il proprio ruolo in materia di gestione della popolazione, ma il suo intervento non risponde piu’ agli stessi imperativi e alle stesse spinte. Al posto dell’«economia del benessere», che concentrava gli sforzi sull’accordo tra progresso economico e distribuzione equa dei frutti della crescita, la nuova logica considera le popolazioni e gli individui dal punto di vista piu’ angusta del loro contributo e del loro costo nella competizione mondiale.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-nuova-ragione-del-mondo-di-pierre-dardot-e-christian-laval/
https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-capitale-umano
https://www.dianoia.it/public/rcs/rcs_21_34.pdf
https://www.leparoleelecose.it/?p=13014

Economia di mercato/Rodhes

Carl Rodhes – Capitalismo Woke. Come la moralita’ aziendale minaccia la democrazia – Fazi (2023)

L’AD di nuova generazione deve essere un difensore degli stakeholder e non solo degli azionisti.
Cioe’, oggi gli amministratori delegati devono scendere in campo non solo per gli azionisti, ma anche per i dipendenti, i clienti, i partner, la comunita’, l’ambiente, le scuole e per tutti. Per tutto quello che e’ una componente fondamentale del loro ecosistema.
Cio’ che emerge […] e’ l’idea che gli amministratori delegati, in quanto membri ricchi e potenti della societa’, abbiano sia il diritto che la responsabilita’ morale di rappresentare i loro diversi stakeholder nelle questioni politiche.
Questi dirigenti si pongono nella posizione autocontraddittoria di essere dei rappresentanti democratici non eletti, la cui autorita’ politica e’ giustificata esclusivamente dal loro potere economico.
Tutto questo denota l’evoluzione contemporanea di cosa significhi essere a capo di un’azienda.
La narrazione che viene fatta e’ che gli amministratori delegati stanno emergendo per offrire quella leadership pubblica forte di cui, nell’incertezza dell’epoca attuale, si sente notevolmente la mancanza.
Ovviamente il rischio e’ che, anziche’ cercare di risolvere i fallimenti della democrazia, l’attivismo degli AD rifletta una tendenza che conduce all’instaurazione di una nuova plutocrazia aziendale.

Info:
https://www.micromega.net/capitalismo-woke/
https://maremosso.lafeltrinelli.it/interviste/capitalismo-woke-libro-carl-rhodes
https://www.centromachiavelli.com/2023/12/23/capitalismo-woke-recensione
https://www.lafionda.org/2023/11/24/capitalismo-woke/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/12/26/capitalismo-woke-guardiamoci-bene-dalle-cause-che-trasformano-la-moralita-in-profitto/7391473/
https://www.corriere.it/economia/opinioni/23_febbraio_27/risveglio-capitalismo-filosofia-woke-che-addormenta-utili-521a9a10-b698-11ed-9695-a3af2d07bb2a.shtml
https://www.corriere.it/economia/opinioni/23_febbraio_27/risveglio-capitalismo-filosofia-woke-che-addormenta-utili-521a9a10-b698-11ed-9695-a3af2d07bb2a.shtml

Lavoro/Latouche

Serge Latouche – Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto – Bollati Boringhieri (2023)

La mistificazione del lavoratore imprenditore di se stesso, che valorizza il suo capitale umano, porta allo stato supremo dell’alienazione, dell’autoasservimento.
Con le piattaforme, il lavoratore non salariato viene mantenuto in qualche modo «al di qua dell’occupazione», privo dei vantaggi della posizione del salariato.
Il mercato totale impone il paradigma del lavoro come merce a tutta la societa’, compresi i settori nei quali sembrava impossibile introdurlo, come la ricerca scientifica, la cultura, la sanita’ o l’educazione.
Esiste ormai un vero e proprio mercato delle idee. Si compra e si vende l’attivita’ del cervello come quella della mano […]
La rottura con la logica capitalistica e la fuoriuscita dalla societa’ della crescita, invece, rimangono prospettive piu’ o meno lontane e ipotetiche, di cui non si vedono sintomi convincenti. Anche se la crescita misurata dal PIL e’ praticamente nulla nei principali paesi sviluppati, l’ideologia della crescita rimane sempre ben solida, magari dipinta di verde, come accade sempre piu’ spesso.
Se il PIL non cresce piu’ o quasi al Nord, cresce invece piu’ che mai nei paesi emergenti, con tutte le conseguenze disastrose per la salute del pianeta che accompagnano il fenomeno. Inoltre, il rallentamento statistico dei paesi ricchi non impedisce l’aumento della depredazione e dei disastri ambientali, in quanto la continua svalorizzazione dei prodotti, il consumo quantitativo e la produzione di rifiuti continuano a crescere comunque.

Info:
https://www.doppiozero.com/latouche-lavorare-meno-o-non-lavorare-affatto
https://www.pressenza.com/it/2024/02/lavorare-meno-o-non-lavorare-affatto/
https://ilregno.it/attualita/2023/22/s-latouche-lavorare-meno-lavorare-diversamente-o-non-lavorare-affatto-luca-miele
https://gognablog.sherpa-gate.com/lavorare-meno-lavorare-diversamente-non-lavorare-affatto/
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/lavorare-meno-lavorare-diversamente-non-lavorare-affatto