Europa/Giannuli

La grande tempesta in arrivo. La nuova geopolitica tra vaccini, cambiamenti climatici e crisi finanziarie – Aldo Giannuli, Andrea Muratore – Piemme (2022)

Dal 2005 la UE inizio’ a declinare politicamente: prima con i contraccolpi della crisi finanziaria iniziata nel 2008, di fronte alla quale i paesi dell’Unione agirono in maniera scoordinata; poi con l’incapacita’ di dare una risposta unitaria e autonoma al terrorismo jiadista; dopo ancora con la sua inesistenza politica di fronte a grandi fatti di rilevanza geopolitica come le rivolte nei paesi arabi, la guerra civile siriana, la crisi libica, la crisi ucraina, le sanzioni contro la Russia imposte dagli USA, e il progressivo deteriorarsi delle relazioni sinoamericane.
Poi venne il primo strappo irreparabile: la Brexit nel 2018, alla quale si accompagnarono i crescenti attriti fra l’Unione e il gruppo dei paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca) sui temi dell’immigrazione, delle liberta’ civili e dell’indipendenza del terzo potere.
Vennero cosi’ in superficie linee di spaccatura e problemi che si erano accumulati e mascherati: per esempio, fu certamente un errore l’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Est europeo, fortemente voluto dagli USA per costruire un solido antemurale alla Russia, paesi che, politicamente, culturalmente ed economicamente erano totalmente eterogenei rispetto all’Europa occidentale.
Di fatto, alla mai cancellata “linea di Lutero” che divideva i paesi latini e cattolici del Sud-Ovest da quelli protestanti e anglosassoni del Nord, si aggiunse l’altra linea di faglia, parimenti mai superata, che divideva i paesi slavi dell’Est dal resto dell’Europa.
Queste storiche linee di frattura, ignorate malamente, sono riemerse in tutte le crisi successive.
Un minimo di realismo politico avrebbe dovuto rendere tutti coscienti del fatto che un simile pasticcio politico non avrebbe mai potuto funzionare. E questo era precisamente quello che volevano gli USA: un vasto e accogliente mercato di sbocco per le proprie esportazioni e un massiccio antemurale antirusso, totalmente incapace di soggettivita’ politica.

Info:
https://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/9762-la-grande-tempesta-in-arrivo
https://www.ilgiornale.it/news/cultura/grande-tempesta-arrivo-che-pu-travolgere-lordine-mondiale-2011539.html

Europa/Undiemi

Il ricatto dei mercati. Difendere la democrazia, l’economia reale e il lavoro dall’assalto della finanza internazionale – Lidia Undiemi – Ponte alle Grazie (2014)


In ambito europeo, la governance economica – intesa come insieme di norme e procedure preposte al raggiungimento degli obiettivi economici dell’Unione – e’ divenuta oggetto di discussione politica in un Libro bianco prodotto dalla Commissione Europea per far fronte a quello che l’allora presidente, Romano Prodi, defini’ «un disagio democratico», dovuto allo scarso coinvolgimento dell’opinione pubblica nelle questioni comunitarie.
Il Libro fu ufficializzato nel 2001, nove anni dopo l’entrata in vigore del trattato di Maastricht (1992), quattro anni dopo l’avvento del patto di stabilita’, e a due anni dall’introduzione dell’euro.
La governance economica europea e’ stata quindi costruita ben prima che dai palazzi di Bruxelles venisse emanato un documento sull’effettivo coinvolgimento democratico delle popolazioni interessate, le quali, pertanto, non sono state chiamate a dibattere e a esprimersi sui metodi e sull’opportunita’ di realizzarla.
Il fatto che Prodi abbia parlato di un «disagio» e non di un vero e proprio deficit democratico, e abbia voluto considerare questo modus operandi una soluzione alla scarsa attenzione mostrata dalla stessa governance nei confronti cittadini, risulta, francamente, un po’ inquietante. La democrazia non puo’ essere ridotta a uno stato d’animo.

Info:
https://www.antimafiaduemila.com/libri/economia/930-il-ricatto-dei-mercati.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/20/libri-lidia-undiemi-vi-racconto-il-ricatto-dei-mercati-e-quello-sulleuro/303203/
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-spread_intervista_a_lidia_undiemi_autrice_del_libro_profetico_il_ricatto_dei_mercati/5496_24172/

https://www.carmillaonline.com/2024/03/29/il-salario-minimo-non-vi-salvera/
https://www.lafionda.org/2023/07/05/il-salario-minimo-non-ci-salvera-anzi/

Europa/Piketty

Il socialismo del futuro – Thomas Piketty – Baldini+Castoldi (2024)


Per il problema del dumping fiscale e dei tassi minimi d’imposta sui profitti delle societa’, si tratterebbe evidentemente di un cambiamento totale di paradigma, per un’Europa che e’ stata concepita come una zona di libero scambio senza un comune regolamento fiscale.
Il cambiamento e’ comunque indispensabile: che senso ha accordarsi su una base comune d’imposta (l’unico cantiere sul quale l’Europa si trova finora in posizione avanzata) se ciascun Paese puo’ poi fissare un tasso quasi nullo e attrarre cosi’ tutti i consigli d’impresa?
Sulla globalizzazione e’ venuto il momento di cambiare radicalmente la narrazione politica: il commercio e’ una buona cosa, ma lo sviluppo duraturo ed equo esige anche pubblici servizi, infrastrutture, sistemi scolastici e sanitari; i quali, a loro volta, esigono imposte eque.

Info:
https://www.linkiesta.it/2023/05/thomas-piketty-ezra-klein-socialismo-partecipativo/
https://riccardosorrentino.blog.ilsole24ore.com/2021/08/27/piketty-un-sovranista-illiberale-sinistra/?refresh_ce=1

https://www.pandorarivista.it/articoli/capitale-e-ideologia-di-thomas-piketty/ 
https://www.micromega.net/piketty-stiglitz-capitalismo-socialismo
https://www.rivistailmulino.it/a/un-futuro-per-la-socialdemocrazia

https://lespresso.it/c/idee/2020/11/1/piketty-per-salvare-il-futuro-diamo-a-tutti-i-giovani-uneredita-di-cittadinanza/45519

Europa/Tocci

La grande incertezza. Navigare le contraddizioni del disordine globale – Nathalie Tocci – Mondadori (2024)

Per potersi difendere in un mondo conflittuale, bisogna investire sulla difesa. Ma se e’ vero che «quanto» si spende e’ importante, lo e’ altrettanto il «come».
Negli anni dell’ordine liberale internazionale non solo diminuirono le spese militari ma cambio’ anche lo scopo della difesa nei paesi occidentali. In Europa, la necessita’ percepita di una difesa territoriale del continente calo’ sensibilmente, mentre prese quota l’idea che le forze armate servissero per operazioni cosiddette «di spedizione», ossia mirate a gestire e stabilizzare crisi – spesso guerre civili – negli angoli più remoti del globo […]
In tutti questi casi, che in gergo Nato venivano definiti «fuori area» (ossia fuori dall’area geografica in cui si applica la difesa collettiva della Nato), serviva certamente la forza militare, ma si trattava di capacita’ specifiche, in prevalenza nell’ambito aeronautico e marittimo, cosi’ come nelle forze speciali e di antiterrorismo.
Inoltre, non dovendosi realmente preparare alla protezione del territorio, l’industria della difesa europea si e’ concentrata sulla produzione di pochi, selezionati sistemi d’arma tecnologicamente avanzati, piu’ che sulla produzione in massa di assets a basso o medio contenuto tecnologico.
Questo ha portato al consolidamento nel settore, con la dismissione di fabbriche di armi nella ricerca di maggiore efficienza, e la cessazione di produzione di segmenti poco profittevoli come quello delle munizioni.
Ora lo scenario strategico si e’ capovolto.
La priorita’ non e’ piu’ quella di partecipare a missioni in giro per il mondo, ancor meno a operazioni mirate al cambio di regime in paesi autoritari. La priorita’ e’ tornata a essere la difesa nel senso piu’ tradizionale del termine: il continente europeo e’ in guerra e la sua sicurezza territoriale minacciata.
D’un tratto gli eserciti hanno ripreso a essere rilevanti e ci sono paesi europei che considerano di introdurre nuovamente la leva.
In quanto a capacita’ militari, non servono solo qualche nave e caccia ad alto contenuto tecnologico, ma molti carri armati, sistemi di difesa aerea, missili, munizioni e pezzi di ricambio, in alcuni casi dotazioni che credevamo appartenenti al passato. Questo perche’ la guerra in Ucraina manifesta caratteristiche tanto da XX quanto da XXI secolo.
Per certi versi e’ una guerra di ieri, fatta di centinaia di migliaia di soldati in trincea, di carri e di artiglieria pesante. Per altri versi e’ una guerra di domani, fatta di droni, satelliti e attacchi cibernetici.
Per combattere una guerra vecchia e nuova al tempo stesso, serve tanto di tutto.

Info:
https://formiche.net/2024/10/grande-incertezza-libro-nathalie-tocci/#content

 

Europa/Tocci

La grande incertezza. Navigare le contraddizioni del disordine globale – Nathalie Tocci – Mondadori (2024)

Nell’eta’ dell’insicurezza, l’Europa non puo’ fare a meno di un bilancio comune adeguato per affrontare le sfide epocali in corso.
Il modello economico europeo che si basava sulla dipendenza dagli Stati Uniti per la difesa, dalla Russia per l’energia e dalla Cina per l’industria e’ a soqquadro. Questo significa da un lato ridurre drammaticamente le attuali voci di spesa del bilancio comunitario che riflettono un’era passata: oggi il 30 per cento del bilancio europeo e’ destinato all’agricoltura, un’aberrazione se si pensa alle priorita’ del XXI secolo.
Dall’altro, significa fare un balzo in avanti nell’integrazione europea verso un’unione fiscale, necessaria per assicurare gli investimenti nei beni pubblici europei, come la difesa, il clima e l’energia, la salute pubblica e la tecnologia.
Ma per renderla possibile serve che paesi reticenti come la Germania gettino il cuore oltre l’ostacolo, rendendo programmi quali Next Generation EU strutturali, ma anche che paesi come l’Italia dimostrino serieta’ nel perseguire le riforme necessarie per rimettere i conti pubblici in ordine.
D’altronde non si puo’ pretendere che la Germania paghi di piu’ se l’Italia, che ne beneficerebbe, non dimostra responsabilita’ ed efficienza nella spesa pubblica.
Detto questo, non tutto si riduce alla spesa pubblica.
L’aumento della produzione industriale europea richiede in primo luogo investimenti privati, che fioriscono quando sono presenti altre condizioni essenziali.
Sono fondamentali l’ammodernamento delle infrastrutture, la semplificazione burocratica, la formazione professionale e un sistema di immigrazione che possa compensare il declino demografico del continente e attrarre manodopera ed eccellenze globali.

Info:
https://formiche.net/2024/10/grande-incertezza-libro-nathalie-tocci/#content

Europa/Scheidler

La fine della megamacchina. Sulle tracce di una civiltà al collasso – Scheidler Fabian – Castelvecchi (2024)


A meta’ degli anni Settanta si erano accumulate nei principali centri finanziari enormi quantita’ di capitale monetario, anche provenienti dagli Stati petroliferi, per i quali c’erano sempre meno opportunita’ di investimento redditizio a fronte della recessione globale.
Una strategia per investire questo capitale in modo sicuro e redditizio fu quella di offrire prestiti ai Paesi del Sud globale per il loro “sviluppo”.
Banchieri, economisti e consulenti politici occidentali sono accorsi in tutto il mondo per vendere ai governi delle ex colonie grandi progetti infrastrutturali finanziati con prestiti provenienti dal Nord e realizzati da aziende del Nord.
Di conseguenza, i Paesi del Sud globale si indebitarono enormemente per raggiungere uno “sviluppo” che, nella maggior parte dei casi, si rivelo’ essere una chimera.
Dal 1970 al 2000 il debito dei sessanta Paesi piu’ poveri e’ passato da 25 miliardi a 523 miliardi di dollari.
Molti dei debitori erano dittature sostenute o che erano state portate al potere dall’Occidente (Indonesia, Filippine, Brasile, Uganda, Congo o Haiti), che non dovevano praticamente rendere conto dell’uso del denaro, facendone sparire gran parte in conti svizzeri […]
Attraverso il flusso continuo di interessi che va dal Sud al Nord, i Paesi piu’ poveri del pianeta hanno sovvenzionato l’accumulazione di capitale, soprattutto nei centri finanziari di New York e Londra.
L’indebitamento del Sud del mondo, tuttavia, non costituiva – e ancora oggi lo e’ – solo un buon affare, ma e’ anche un mezzo di controllo politico: chi si indebita diventa ricattabile.
Gli “sporchi” interventi militari o paramilitari hanno potuto cosi’ essere sostituiti dalla “pulita” coercizione dell’economia.

Info:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver.cfm?event_id=26236804
https://www.rivoluzioneanarchica.it/fine-della-megamacchina-un-libro-di-fabian-scheidler/

https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/cosi-la-megamacchina-neoliberista-sta-distruggendo-il-nostro-mondo-da-il-fatto/
https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/fatto-for-future-del-26-marzo-2024/

Europa/Scheidler

La fine della megamacchina. Sulle tracce di una civiltà al collasso – Scheidler Fabian – Castelvecchi (2024)


I giganteschi sussidi al petrolio sostengono in modo ingente anche l’industria automobilistica, in crisi in tutto il mondo.
Se i veri costi del petrolio venissero trasferiti sui prezzi della benzina, guidare un’auto sarebbe inaccessibile per la maggior parte delle persone e il settore crollerebbe […]
Anche il settore aeronautico, che e’ responsabile della quota di gas serra in piu’ rapida crescita, viene sovvenzionato in modo ingente. Le sue infrastrutture, in particolare la costruzione di aeroporti, sono pagate principalmente dai contribuenti. Il carburante per aerei non e’ tassato in tutto il mondo e l’aviazione e’ anche esclusa dai negoziati sul clima delle Nazioni Unite […]
I produttori di aerei Airbus e Boeing ricevono per via diretta o indiretta iniezioni di denaro dallo Stato per miliardi di euro. Senza tutti questi sussidi, sarebbe impensabile che volare in Europa sia piu’ economico che viaggiare in treno.
L’agricoltura industriale, anch’essa uno dei maggiori killer del clima, e’ sovvenzionata dalla sola Unione Europea per un ammontare di circa cinquanta miliardi di euro ogni anno […]
Praticamente tutte le grandi societa’ traggono profitto dalla rete di paradisi fiscali e di scappatoie fiscali create dagli Stati e, nonostante tutti i discorsi a parole, ostinatamente mantenute. Solo nell’Unione Europea le perdite di entrate statali dovute all’evasione fiscale e all’economia sommersa ammontano a circa mille miliardi di euro all’anno. Con questa cifra si potrebbero pagare, sul medio periodo, tutti i debiti nazionali dell’UE.
Questo elenco, che potrebbe essere esteso per diverse pagine, dimostra che il “libero mercato” e’ un mito che serve a nascondere il fatto che le grandi imprese, apparentemente onnipotenti, possono sopravvivere solo grazie alla flebo dello Stato.
Questa constatazione e’ altamente esplosiva. Nelle democrazie, infatti, l’uso del denaro delle tasse e’ deciso, almeno in teoria, dai Parlamenti eletti dai cittadini. E i cittadini potrebbero in linea di principio decidere che tutti questi trilioni di euro non debbano piu’ confluire nei settori piu’ distruttivi del pianeta, ma nella ristrutturazione socio-ecologica. In questo consiste una delle leve piu’ potenti per una profonda trasformazione della societa’.

Info:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver.cfm?event_id=26236804
https://www.rivoluzioneanarchica.it/fine-della-megamacchina-un-libro-di-fabian-scheidler/

https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/cosi-la-megamacchina-neoliberista-sta-distruggendo-il-nostro-mondo-da-il-fatto/
https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/fatto-for-future-del-26-marzo-2024/

 

Europa/Tocci

La grande incertezza. Navigare le contraddizioni del disordine globale – Nathalie Tocci – Mondadori (2024)


Ci sono poi motivi specifici per il disprezzo dell’integrazione europea.
Effettivamente la Ue e’ un costrutto intrinsecamente liberale. Nonostante il progetto europeo nascesse negli anni Cinquanta, l’Europa che conosciamo e’ quella dagli anni Ottanta in poi, ossia l’Europa del mercato unico, dell’euro e di Schengen, un periodo storico caratterizzato, come abbiamo visto, da un neoliberismo spinto.
E’ un’Europa che ha creato la moneta unica ma stenta a compiere il passo successivo verso un’unione fiscale, un’Europa in cui ha regnato il dio della concorrenza interna, ma che per decenni non si e’ occupata con la stessa alacrita’ e dedizione della crescente competizione internazionale, a partire da quella cinese.
E’ un Europa in cui sono state aperte le frontiere interne prima di sciogliere i nodi riguardo alla gestione di quella esterna. Quindi, quando si abbatterono sull’Europa la crisi finanziaria e la recessione, non solo l’Unione non era attrezzata per affrontarle, ma le sue istituzioni e molti dei suoi Stati membri, i cosiddetti «frugali», percorsero la via opposta a quella intrapresa da Washington con Barack Obama.
Mentre gli Usa perseguirono immediatamente e aggressivamente una politica monetaria anticiclica, gli europei lo fecero solo molto dopo, ossia con l’arrivo di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea nel 2011. Dal punto di vista fiscale, Washington fu meno espansiva, iniettando solo circa 1 miliardo nell’economia statunitense nel 2009, ma gli Stati dell’eurozona fecero addirittura il contrario, perseguendo l’austerita’.
Non a caso, negli Stati Uniti la crisi passo’ a partire dal 2009, mentre in Europa si trascino’ per anni. La Bce non poteva stampare moneta facilmente come faceva la Federal Reserve (il cui dollaro e’ la principale valuta globale) e l’Unione europea non disponeva di una capacita’ fiscale per introdurre misure anticicliche nell’economia europea. Inoltre, l’ideologia ordoliberale era diffusa in Europa.
Affrontare la crisi diversamente richiedeva un cambio di paradigma che gli europei non riuscirono a compiere per tempo. Alla fine si fece il minimo sindacale per evitare il crollo dell’euro, avviando i primi passi verso un’unione bancaria, e quando Draghi da governatore della Bce dichiaro’ che avrebbe fatto «whatever it takes» per salvare l’euro, i mercati si calmarono.
La casa comune europea rimase in piedi, ma ne usci’ devastata economicamente, socialmente e, appunto, politicamente.
Di conseguenza, l’euroscetticismo negli anni della crisi dell’eurozona schizzo’ alle stelle.

Info:
https://formiche.net/2024/10/grande-incertezza-libro-nathalie-tocci/#content

 

Europa/Balibar

Etienne Balibar – Crisi e fine dell’Europa? – Bollati Boringhieri (2016)


Questo post, estratto dall’opera di Balibar del 2016, gia’ pubblicato nell’aprile 2020, e’ riproposto all’attenzione e alla riflessione per l’attualita’ che riveste in questo periodo

L’Europa ha creduto di costruire delle frontiere europee, ma in realta’ non ha frontiere, e’ essa stessa, in quanto tale, una frontiera complessa: contemporaneamente una e molteplice, fissa e mobile, rivolta verso l’esterno e l’interno.
Per usare un termine inglese, in questo caso piu’ pregnante, e’ una Borderland, una «terra di frontiera».
Cio’ significa, a mio parere, due cose di portata fondamentale e paradossale, le cui conseguenze continueranno a sfuggirci se continueremo a ragionare in termini di sovranita’ nazionale e di controlli in senso tradizionale: in primo luogo, che l’Europa non e’ uno spazio dove le frontiere si giustappongono, ma dove si sovrappongono senza riuscire veramente a fondersi; in secondo luogo, che l’Europa e’ uno spazio dove le frontiere si moltiplicano e si spostano costantemente […]
Riguardo al primo punto […] l’Europa non ha un’unica identificazione in termini di «territorio».
Siamo portati a credere che i confini esterni dell’Europa siano le frontiere reali dell’Europa, ma non e’ vero. Perche’ questi confini non coincidono ne’ con quelli del Consiglio d’Europa (che include la Russia, l’Ucraina, la Turchia e tutti gli Stati balcanici e rientra nelle competenze della Corte europea dei diritti dell’uomo), ne’ con quelli della NATO (che include gli Stati Uniti, la Norvegia, la Turchia ecc. ed e’ responsabile della protezione del territorio europeo, in particolare contro gli avversari dell’Est, e di una parte delle operazioni militari sulla sponda meridionale del Mediterraneo), ne’ con la spazio Schengen (che include la Svizzera ma non il Regno Unito), ne’ con l’eurozona, dove regnano la moneta unica e l’unione bancaria sotto il controllo della Banca centrale europea (e che include ancora la Grecia ma non il Regno Unito, la Svezia, e la Polonia).
Visti gli avvenimenti recenti, credo sia d’obbligo ammettere che queste diverse aree non arriveranno mai a fondersi. E che, di conseguenza, l’Europa non sia definibile come un territorio se non in modo riduttivo e di fatto contraddittorio. […]
Ritorniamo comunque al triste spettacolo che ci offre in questo momento l’Europa di fronte alla sfida migratoria e tentiamo di definire piu’ precisamente il senso delle moltiplicazioni, degli spostamenti delle frontiere.
E’ il nostro secondo punto […]
L’appartenenza formale all’Unione europea e’ diventata un criterio secondario: i Balcani sono in Europa, come vogliono d’altronde la geografia e la storia, di modo che, ad esempio, il «muro» ungherese taglia l’Europa e riproduce il tipo di segregazione che pretende di escludere (come ha fatto osservare a mezza voce il portavoce della Commissione). D’altra parte, alcuni Paesi europei da altri Paesi sono considerati non europei, ma piuttosto delle zone tampone.
Ma questa definizione non e’ assoluta, funziona in senso relativo, secondo un gradiente, come direbbero i fisici, che acquista un significato politico, sociologico, ideologico e anche antropologico.
Il Sud, l’altra Europa che non e’ del tutto europea ma mantiene un piede nel Terzo Mondo o gli serve da porta di accesso, per la Francia e’ l’Italia, ma per l’Inghilterra e’ la Francia; per la Germania e’ l’Ungheria e tutto quello che si trova al di la’, ma per l’Ungheria e’ la Serbia, la Macedonia, la Grecia e la Turchia…
Quindi ci chiediamo: chi ferma chi? Chi e’ la guardia di frontiera dell’altro? Risposta: l’altro Stato, quello che sta piu’ a sud (o a sud- est) […]
Possiamo dunque arrivare alla doppia conclusione che si impone: nei fatti la frontiera esterna dell’Europa passa dovunque al suo interno, la taglia in parti sovrapposte; e di conseguenza l’Europa stessa – pur facendo parte del Nord – non e’ altro che una delle zone dove si gioca la grande e impossibile demarcazione del mondo attuale tra Nord e Sud. Una demarcazione che in realta’ non e’ piu’ localizzabile.
Se a questo si aggiungono le demarcazioni economiche (a volte percepite come culturali) che si stanno scavando tra il Nord e il Sud del continente, all’interno dell’Unione europea stessa, per effetto del liberismo economico e dei rapporti tra Paesi creditori e debitori, si capisce come alcuni Paesi membri siano tentati di amputarne altri per proteggersi meglio contro quello che rappresentano o che portano in Europa.
Salvo che un atteggiamento del genere pragmaticamente non ha senso, perche’ dove si fara’ passare la superfrontiera? Come la si definira’ sotto il profilo giuridico?

Europa/ Scheildler

La fine della megamacchina. Sulle tracce di una civiltà al collasso – Scheidler Fabian – Castelvecchi (2024)


In Europa, istituzioni non elette e dominate da lobbisti industriali, come la Commissione Europea e l’“Eurogruppo”, determinano una parte considerevole dell’agenda politica; i programmi di austerita’ che impongono autoritariamente sono sulla buona strada per distruggere il progetto di integrazione europea.
La perdita di credibilita’ della democrazia
rappresentativa ha due facce. Da un lato, le correnti antidemocratiche che si affidano a soluzioni autoritarie stanno guadagnando vigore da piu’ parti; l’ascesa di nuovi movimenti e partiti estremisti di destra in tutto il mondo ne e’ un tipico esempio, come pure il trionfo dei fondamentalisti teocratici. Anche gli appelli a una ecodittatura o a un governo mondiale tecnocratico si fanno sempre piu’ forti […]
D’altro canto, in tutto il mondo e’ iniziata la ricerca di nuove forme di democrazia che superino i filtri della rappresentanza, del denaro, del debito e dell’opinione pubblica manipolata; ne sono un esempio il movimento dei “Senza Terra” dell’America Latina, il movimento “15-M” spagnolo, la “Primavera Africana”, le innumerevoli iniziative territoriali negli Stati Uniti nate dal movimento “Occupy” e anche molti movimenti influenzati dal pensiero di Gandhi in India.
La democrazia rappresentativa non e’ piu’ intesa come l’obiettivo finale da raggiungere, ma come una tappa intermedia sulla via dell’autentica autodeterminazione e auto-organizzazione […]
Si tratta quindi di difendere il parlamentarismo dalle forze autoritarie e dal “colpo di Stato delle multinazionali”, costruendo al contempo nuove strutture alla base per superare gradualmente i limiti della democrazia rappresentativa. Questa doppia strategia e’ ancora piu’ importante perche’ la democratizzazione dal basso e’ ancora agli inizi e richiede molto tempo. La democrazia di base e i principi del consenso sono gia’ praticati con successo in molte strutture locali, dai negozi per bambini alle cooperative.
Ma come questi principi possano essere trasferiti a forme organizzative piu’ ampie e’ ancora in gran parte una questione aperta.

Info:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver.cfm?event_id=26236804
https://www.rivoluzioneanarchica.it/fine-della-megamacchina-un-libro-di-fabian-scheidler/

https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/cosi-la-megamacchina-neoliberista-sta-distruggendo-il-nostro-mondo-da-il-fatto/
https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/fatto-for-future-del-26-marzo-2024/