Capitalismo/Fraser

Nancy Fraser – Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunita’ e il pianeta – Laterza (2023)

La produzione capitalista non e’ autosufficiente.
La sua esistenza dipende da un libero utilizzo della riproduzione sociale, della natura, del potere politico e dell’espropriazione.
Allo stesso tempo, il suo tendere a un’accumulazione illimitata minaccia di destabilizzare le sue stesse condizioni di possibilita’.
Nel caso delle sue condizioni ecologiche, cio’ che e’ a rischio sono i processi naturali che sostengono la vita, fornendo gli input materiali per l’approvvigionamento sociale.
Nel caso delle sue condizioni socio-riproduttive, a essere messi in pericolo sono i processi socioculturali che, nutrendo le relazioni solidali, le disposizioni affettive e gli orizzonti valoriali, sostengono la cooperazione sociale e producono degli esseri umani adeguatamente socializzati e qualificati per diventare «forza lavoro».
Nel caso delle sue condizioni politiche, a essere compromessi sono i poteri pubblici, sia nazionali che transnazionali, che garantiscono i diritti di proprieta’, fanno onorare i contratti, dirimono le controversie, soffocano le ribellioni anticapitalistiche e mantengono l’offerta monetaria.
Nel caso della dipendenza del capitale dalla ricchezza espropriata, messi a rischio sono l’universalismo professato dal sistema – e quindi la sua stessa legittimita’ – e la capacita’ delle classi dominanti di governare egemonicamente attraverso un mix di consenso e di forza.
In ciascuno di questi casi, il sistema ha una tendenza intrinseca all’auto-destabilizzazione.
Non riuscendo a reintegrare o a riparare le proprie sedi nascoste, il capitale continua a divorare gli stessi supporti da cui dipende. Come un serpente che si mangia la coda, cannibalizza le proprie condizioni di possibilita’.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_rep.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_lalettura.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_corsera.pdf
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Lavoro/Bottini

Aldo Bottini, Alberto Orioli – Il lavoro del lavoro – Il Sole 24 Ore (2023)

In Europa ancora il 44% dei cittadini (dati Eurobarometro) ritiene che il compito principale per una donna sia occuparsi della casa e della famiglia.
Il mito e la condanna a una vita da «angelo del focolare» trova eco anche in questa nostra contemporaneita’ con le nuove espressioni di caregiver o breadwinner legate al ruolo femminile anche se sembra cosi’ lontana da quello schema archetipico.
E manca, tra l’altro, una reale valorizzazione economica di quel ruolo.
Per l’Istat di fatto le donne che lavorano nel complesso sono impegnate per 60 ore alla settimana tra ore di lavoro esterne e ore di lavoro per la famiglia.
L’altra faccia di questo squilibrio e’ che le donne soffrono di una poverta’ di tempo.
E se questo surmenage venisse remunerato si e’ stimato che sarebbe, nel complesso, di un valore oscillante tra il 10 e il 39% del Pil globale.
E a proposito di empowerment economico, se il lavoro femminile fosse pari a quello degli uomini (in quantita’ e qualità) il Pil del mondo salirebbe del 26 per cento […]
Unione europea e’ all’avanguardia nel mondo per la parita’ di genere: 14 tra i primi 20 Paesi al mondo per l’attuazione della parita’ di genere sono Stati membri dell’UE […] L’Italia e’ un po’ sotto la media europea, con un punteggio generale di 63,5.
Le disuguaglianze di genere sono piu’ marcate nei settori del potere (48,8 punti), del tempo (59,3 punti) e della conoscenza (61,9 punti). Ma e’ il lavoro il vero scandalo: l’Italia ha il punteggio piu’ basso di tutti gli Stati membri della Ue e si ferma a 63,3 (il suo punteggio piu’ alto e’ invece nel settore della salute con 88,4 punti).
L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ha stimato che se i progressi nella riduzione del gender gap proseguono alla velocita’ di quelli di oggi ci vorranno 60 anni per il raggiungimento della effettiva parita’. Con uno scandalo ulteriore: le donne hanno scolarita’ superiori a quelle degli uomini e in genere risultati scolastici piu’ brillanti. Dunque, sono talenti, capitale umano pregiato, competenze che l’Italia tende a sprecare o a usare nel modo piu’ inefficiente creando sacche di sottoccupazione (con ruoli inferiori ai titoli di studio e ai curricula) […]
Si chiama child penalty: i figli, in un Paese che manda deserte le gare per aumentare gli asili nido al Sud con i fondi del Pnrr, finiscono per rappresentare un ostacolo alla piena occupazione delle donne.
L’11% delle madri non ha mai lavorato oppure, alla nascita dei figli, abbandona il lavoro nell’11% dei casi con il primogenito, percentuale che sale al 17% con due figli e al 19% con tre o piu’.
C’e’ una triste controprova di questo ostacolo: le donne single in media guadagnano piu’ degli uomini single.
E’ evidente che il superamento del gender gap passa anche da una diversa concezione e fruizione degli strumenti di welfare e di sostegno alla famiglia. La conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita per ogni donna non e’ solo un tema da convegno, e’ la turbinosa gestione della quotidianita’. Almeno fino a quando non lo diventera’ del pari anche per gli uomini. E sconta, tra l’altro, una zavorra culturale che e’ tutta in una risposta data dagli italiani a un sondaggio di World Value Survey. All’affermazione «Un bambino in età prescolare soffre se la mamma lavora» l’81,4% degli italiani dichiara di essere d’accordo. In Europa in media quella percentuale scende al 55,6 per cento.
Il «che fare?» e’ tutto in quei 25 punti di scarto.

 

Capitalismo/Fraser

Nancy Fraser – Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunita’ e il pianeta – Laterza (2023)

L’espropriazione e’ un’accumulazione con altri mezzi, diversi cioe’ dallo sfruttamento.
Facendo a meno della relazione contrattuale attraverso cui il capitale acquista «forza lavoro» in cambio di un salario, l’espropriazione agisce confiscando capacita’ umane e risorse naturali per poi trasferirle con la forza nei circuiti di espansione del capitale.
La confisca puo’ essere manifesta e violenta, come nel caso della schiavitu’ del Nuovo Mondo, oppure puo’ essere mascherata dal mantello del commercio, come nel caso dei prestiti predatori e dei pignoramenti per debiti dell’epoca attuale.
I soggetti espropriati possono essere comunita’ rurali o indigene della periferia o membri di gruppi assoggettati o subordinati nelle aree centrali del capitalismo.
Una volta espropriati, questi individui possono diventare dei proletari sfruttati, se sono fortunati, oppure finire tra i poveri, tra gli abitanti delle baraccopoli, tra i mezzadri, tra i «nativi» o tra gli schiavi, soggetti a un’espropriazione continuativa al di fuori del contratto salariale.
I beni confiscati possono essere lavoro, terra, animali, strumenti, giacimenti minerari o energetici, ma anche esseri umani, le loro capacita’ sessuali e riproduttive, i loro figli e gli organi del loro corpo.
L’essenziale e’ che gli elementi requisiti vengano incorporati nel processo di espansione del valore che definisce il capitale. Il semplice furto non e’ sufficiente.
A differenza del tipo di saccheggio che ha preceduto di molto l’ascesa del capitalismo, l’espropriazione, cosi’ come la intendo qui, e’ una confisca con trasferimento forzato nell’accumulazione.

Info:
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Economia di mercato/Sciavone

Aldo Schiavone – Sinistra! Un manifesto – Einaudi (2023)

E’ stato il salto tecnologico a determinare il superamento dell’eta’ industriale; la dissoluzione dei grandi sistemi di fabbrica intorno ai quali si aggregavano masse altrettanto imponenti di operai […]
Al suo posto si e’ costruita quella che abbiamo definito, in una prima approssimazione, la forma tecno-finanziaria del capitale […] caratterizzata dalla produzione, a sempre maggiore intensita’ tecnologica, di servizi, di informazione e di altre merci in buona parte immateriali.
Un modello […] tendenzialmente delocalizzato, quanto invece il precedente era radicato nel territorio; con la conseguente crisi, almeno dal punto di vista economico, delle tradizionali sovranita’ degli Stati […] e’ stato il salto tecnologico a trasformare […] la relazione tra capitale e lavoro vivo, penetrando in quest’ultimo fino a mutarne la qualita’.
Si e’ creato cosi’ un tipo di rapporto centrato non piu’ – come una volta – sull’allargamento progressivo e illimitato della base produttiva (piu’ produzione, piu’ lavoro, piu’ ricchezza), e dunque sul modello quantitativo e di massa del lavoro, bensi’ sull’incremento delle specificita’ qualitative delle singole prestazioni. Ciascuna misurata sulla densita’ tecnologica che e’ capace di integrare al suo interno per poi trasformarla in merci di diverse tipologie.
In questa nuova configurazione lo sfruttamento classico – quello che una volta si chiamava l’estrazione del plusvalore attraverso il pluslavoro, il lavoro cioe’ erogato ma non retribuito – e’ riservato solo alle forme di lavoro a piu’ bassa densita’ tecnologica, dove continua a prevalere l’aspetto puramente quantitativo dell’attivita’ umana. Esso e’ lavoro ormai senza difesa; diventato economicamente e socialmente marginale, perche’ attraverso di esso non passa nulla di decisivo per il capitale, e nemmeno per la societa’ nel suo insieme […]
Il valore delle merci dipende ormai dalla tecnologia in esse incorporata, e non piu’ dalla quantita’ di lavoro vivo necessario a produrle, percio’ diminuisce il bisogno di nuovo sfruttamento da parte del capitale […]
Questa frattura segna un autentico passaggio d’epoca, che ha cambiato radicalmente il nostro mondo […]
Ne sappiamo gia’ tuttavia abbastanza per capire che si e’ aperta un’epoca di neoframmentazione corporativa del lavoro, anch’essa non ancora valutata a fondo nella sua portata e nei suoi esiti culturali e sociali di lungo periodo. Il suo sviluppo non determina – vi abbiamo gia’ fatto cenno – ne’ eguaglianza, ne’ legami sociali di massa, ne’ tantomeno stabili vincoli di classe: proprio come accadeva per il vecchio lavoro precapitalistico – un ritorno per alcuni versi paradossale.
Nel nuovo modo di produzione diventano dominanti tipologie di lavoro molto piu’ personalizzate rispetto al passato industriale, che richiederanno probabilmente per il loro espletamento quantita’ di tempo via via minori, mentre aumentera’ la parte di vita da utilizzare per lo studio, la formazione, l’aggiornamento.
Lavori impossibili da unificare sindacalmente: piu’ separati, in concorrenza e in competizione tra loro, ma che saranno in grado sempre meglio di proteggersi contrattualmente da soli, grazie alla forza sul mercato degli specialismi che essi contengono.

Info:
https://www.genteeterritorio.it/una-sinistra-nuova-riflessioni-sul-libro-di-aldo-schiavone/
https://www.infinitimondi.eu/2023/03/08/tre-libri-recenti-3-sinistra-un-manifesto-di-aldo-schiavone-einaudi-2023-una-bolognina-trentanni-dopo-recensione-di-gianfranco-nappi/
https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/02/14/news/schiavone_la_sinistra_il_passato_e_il_presente-11341021/
https://www.repubblica.it/cultura/2023/02/07/news/aldo_schiavone_politologo_nuovo_libro_sinistra_ordine_mondiale_progressisti-386900578/

Lavoro/Vanetti

Mauro Vanetti – La sinistra di destra. Dove si dimostra che i liberisti, sovranisti e populisti ci portano dall’altra parte – Edizioni Alegre (2019)

L’appartenenza di classe – con buona pace dell’Istat – si definisce in primo luogo sulla base del rapporto che si ha coi mezzi di produzione.
In Italia un’elite composta dal 2,8% delle famiglie (dati 2015) ha profitto/interesse/rendita come fonte principale di reddito. Il 44,7% delle famiglie vive soprattutto di reddito da lavoro dipendente, il 39,6% di pensioni, cassa integrazione e altri trasferimenti statali, il 13,0% di reddito da lavoro autonomo (che e’ una combinazione in varie proporzioni di lavoro e profitto).
L’ampiezza delle famiglie dei capitalisti e dei pensionati e’ mediamente minore, quindi in realta’ il numero di persone che vivono direttamente o indirettamente di lavoro dipendente supera il 50%.
La classe lavoratrice, che si era prematuramente dichiarata scomparsa, costituisce la maggioranza!
(Giova qui ricordare che l’espressione classe operaia, una traduzione del tedesco Arbeiterklasse e dell’inglese working class, non si e’ mai riferita, neppure nell’Ottocento, solo a quelli che in italiano chiamiamo operai, ma e’ sinonimo di classe lavoratrice o proletariato. Ricevi uno stipendio per lavorare per una ditta o un ente che non possiedi ne’ gestisci? Sei della working class).
Questi dati sono confermati anche dalle statistiche dell’Organizzazione internazionale del lavoro relative al 2017 […]
Il proletariato, fin dal nome, non si definisce per cio’ che fa ma per cio’ che non ha. O meglio: quel che fa, lavorare per un salario, e’ dovuto al fatto che vi e’ costretto perche’ non possiede un granche’.
Nell’antica Roma era proletario chi possedeva “solo la prole”, cioe’ chi non era un possidente. Naturalmente anche nell’antica Roma i proletari possedevano in realta’ altre cose, tipo i propri vestiti e accessori, utensili e mobili domestici, oggetti di uso quotidiano, talvolta animali e naturalmente cibo. La proprieta’ di cui si parla non e’ la proprieta’ personale (uno spazzolino da denti) bensi’ la proprieta’ privata dei mezzi di produzione (una fabbrica di spazzolini) […]
Cosa posseggono i possidenti?
Vediamo in cosa era allocata la ricchezza delle famiglie in Italia nel 2013.
Una parte importante dei patrimoni ha la forma di oggetti fisici:- Abitazioni: 5.000 miliardi di euro (il 41% di queste abitazioni non sono prime case).- Altri immobili: 500 miliardi.- Capitale fisso (i macchinari, le attrezzature, le scorte, gli impianti usati nella produzione): 200 miliardi.- Oggetti preziosi: 100 miliardi.- Monete e banconote: 100 miliardi.
Un’altra parte e’ invece in forma intangibile, si tratta cioe’ di attivita’ finanziarie:- Depositi bancari e postali: 1.000 miliardi di euro.- Titoli, riserve di assicurazione e crediti: 1.500 miliardi.- Azioni, partecipazioni e altre attivita’ finanziarie: 2.400 miliardi.
Siccome pero’ le famiglie hanno anche 900 miliardi di debiti e altre passivita’, la ricchezza netta e’ di 9.500 miliardi.

Info:
https://www.marxismo-oggi.it/recensioni/libri/455-la-sinistra-di-destra-un-libro-di-mauro-vanetti
https://edizionialegre.it/recensioni/liberisti-e-rossobruni-i-nemici-interni-alla-sinistra-giacomo-russo-spena-da-micromega/
https://edizionialegre.it/recensioni/osservazioni-su-un-libro-stimolante-antonio-moscato-dal-blog-movimento-operaio/

https://edizionialegre.it/recensioni/la-liquefazione-della-classe-internazionale/
https://www.dinamopress.it/news/la-sinistra-destra-vecchia-nuova/

Economia di mercato/Brancaccio

Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli – La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista – Mimesis (2022)

Nella intricata catena logica che conduce alla centralizzazione dei capitali in sempre meno mani, la solvibilita’ occupa un ruolo cruciale […]
La lotta tra capitali sui mercati genera continuamente vincitori e vinti, con questi ultimi a rischio di insolvenza e proprio per questo soggetti a liquidazioni, fusioni, acquisizioni a opera dei primi.
Il risultato, tra i piu’ paradossali del movimento capitalistico, e’ che la competizione fra tanti sfocia nel suo opposto, vale a dire la centralizzazione e la tendenziale monopolizzazione dei mercati a opera di pochi.
Con effetti potenzialmente dirompenti per l’ordine generale del sistema, economico e politico […]
Tutto questo significa, nella sostanza, che nell’ambito del paradigma alternativo la solvibilita’ incarna un inesorabile conflitto interno alla classe capitalista, tra capitali deboli a rischio di insolvenza e acquisizioni, che lottano per la sopravvivenza e contro la forza distruttiva della centralizzazione, e capitali forti e solvibili che dalla centralizzazione traggono sempre maggiore forza e potere.
Un conflitto, come abbiamo accennato, tanto più violento quanto maggiore sia la varianza tra le posizioni reddituali e finanziarie dei capitali in posizione di credito e dei capitali in posizione di debito.
A seconda dei diversi possibili esiti di questo conflitto interno al capitalismo, la solvibilita’ risultera’ piu’ o meno stringente e la centralizzazione sara’ piu’ o meno potente.
In tutti i casi, la classe lavoratrice avvertira’ le ripercussioni del conflitto inter-capitalistico, che a seconda delle mutevoli decisioni delle imprese, delle banche e del sistema finanziario, vedra’ continuamente modificarsi il ritmo degli investimenti, la dinamica dei prezzi e delle quantita’, e sfocera’ di volta in volta in diverse combinazioni di inflazione e disoccupazione.
Con una reazione del lavoro, in termini di lotta di classe, che potra’ verificarsi in misura piu’ o meno accentuata o potra’ anche non verificarsi affatto, in base ai diversi possibili stati dei rapporti sociali di produzione.
Stando alla teoria alternativa, dunque, la solvibilita’ capitalistica e’ condizione non semplicemente tecnica ma anche inesorabilmente politica, di lotta intestina alla classe capitalista, con continui riverberi sulla classe lavoratrice.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-guerra-capitalista-di-emiliano-brancaccio-raffaele-giammetti-e-stefano-lucarelli/
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-guerra-capitalista
https://www.micromega.net/la-guerra-capitalista-spiegata-nel-nuovo-libro-di-brancaccio-giammetti-e-lucarelli/
https://contropiano.org/news/cultura-news/2023/01/25/un-commento-su-la-guerra-capitalista-0156524

Lavoro/Srniceck

Nick Srniceck, Alex Williams – Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro – Nick Srniceck, Alex Williams – Produzioni Nero (2018)

L’ostacolo piu’ grande al reddito base – e in generale alla realizzazione di una societa’ post-lavoro – non e’ in realta’ di tipo economico, ma politico e culturale: politico perché le forze che si oppongono a questa idea sono estremamente potenti; culturale, perche’ il lavoro e’ profondamente integrato nelle nostre vite come parte della nostra stessa identita’ […]
Uno dei problemi piu’ grandi per l’attuazione di un reddito base e la costruzione di una societa’ post-lavoro, e’ quello di superare la pressione sociale che porta a interiorizzare l’etica del lavoro […]
Lasciarsi alle spalle l’etica del lavoro sara’ dunque un obiettivo ineludibile per qualsiasi futuro tentativo di costruire un mondo post-lavoro […]
Le nostre vite sono sempre piu’ strutturate attorno a un ideale fortemente competitivo, che nel lavorare duro individua il principale strumento di autorealizzazione, e per quanto degradante, sottopagato o scomodo esso sia, il lavoro viene comunque considerato come un bene in se’.
Questo e’ il mantra dei principali partiti politici come della maggior parte dei sindacati: e’ un’idea che spesso deriva dalla retorica del lavoro per tutti […]
La stessa ideologia e’ parallela alla demonizzazione dei disoccupati: i giornali pubblicano titoli che mettono in dubbio la caratura morale di coloro che ricevono i sussidi, i programmi televisivi ridicolizzano i poveri, e lo stereotipo del parassita dello Stato assistenziale e’ ormai un classico.
Il lavoro e’ diventato centrale per la nostra concezione di noi stessi, ed e’ cosi’ profondamente radicato in noi che, di fronte all’idea di lavorare meno, molti rispondono: «E allora cosa farei?».
Il fatto che cosi’ tante persone non riescano neppure a immaginare una vita che abbia significato al di fuori del proprio impiego dimostra quanto in profondita’ l’etica del lavoro abbia plasmato la nostra psiche […]
Questa forma di pensiero lascia intendere un ovvio residuo teologico, giacche’ la sofferenza e’ considerata non solo intrinsecamente significativa, ma come la vera e propria condizione base per una vita che valga la pena vivere: in parole povere, una vita senza sofferenza viene considerata come frivola e vacua.
Questa concezione va rigettata e considerata il residuo di un’epoca storica trascesa da tempo.
La spinta a dare un significato profondo alla sofferenza puo’ magari avere avuto senso in quelle epoche passate in cui poverta’, malattia e fame erano elementi ricorrenti dell’esistenza umana; ma oggi e’ doveroso rifiutarne la logica, e riconoscere che abbiamo superato la necessita’ di fondare il senso delle nostre esistenze sulla quantita’ di sofferenza provata: il lavoro e il dolore che lo accompagna non meritano celebrazione alcuna […]
La pressione che ci spinge ad accettare l’etica del lavoro e’ controbilanciata dal disprezzo che proviamo per i nostri impieghi: oggi, in tutto il mondo, solo il tredici percento delle persone sostiene di ritenere il proprio lavoro interessante.
Spossati e svuotati dal punto di vista fisico, mentale e sociale, i lavoratori vivono le loro occupazioni come fonte di continuo stress. Per la stragrande maggioranza delle persone il lavoro non ha alcun significato, non offre alcun tipo di gratificazione ne’ di redenzione: e’ solo un male necessario che serve a pagare le bollette a fine mese.

Info:
https://www.terrelibere.org/inventare-il-futuro/
https://lacaduta.it/riappropriarsi-del-futuro-secondo-srnicek-e-williams-bb0f904b2d0e
https://www.quadernidaltritempi.eu/liberi-dal-lavoro-il-domani-quasi-possibile/
https://www.anobii.com/books/Inventare_il_futuro/9788880560098/01b82e055beaceae9c
http://www.exasilofilangieri.it/presentazione-del-libro-inventare-futuro-un-mondo-senza-lavoro-n-srnicek-williams/

Lavoro/Saraceno

Francesco Saraceno – La riconquista. Perche’ abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela – Luiss (2020)

Secondo uno slogan che e’ a lungo andato di moda, con la flexicurity si dovrebbe passare dalla protezione del lavoro a quella del lavoratore.
Se sulla carta sembra una strategia vincente (si aumenta la competitivita’ dell’impresa senza nuocere al lavoratore), l’efficacia della flexicurity e’ in realta’ oggetto di dibattito tra gli economisti.
Essa riposa infatti su di una nozione molto restrittiva del rapporto di lavoro, trattato come qualunque altra merce, e ridotto a un contratto che puo’ essere sciolto a piacimento senza incorrere in costi eccessivi.
In realta’, l’esperienza di Paesi come la Germania e il Giappone mostra che rapporti di lavoro stabili consentono di annodare un insieme di relazioni, di creare competenze specifiche, che hanno un ruolo di primo piano nello spiegare la crescita della produttivita’.
Quindi, non e’ affatto detto che spezzettare e accorciare i rapporti di lavoro sia uno stimolo alla crescita e alla competitivita’. Ma anche prescindendo da considerazioni di ordine generale, nel contesto europeo la flexicurity ha rapidamente perso un pezzo, il “-curity”.
Nella gran parte dei Paesi europei le riforme dei mercati del lavoro si sono limitate ad aumentare la flessibilita’.
In un contesto di stagnazione della spesa sociale, la protezione del lavoratore licenziato e’ stata spesso trascurata, come anche l’investimento nelle politiche attive del lavoro.
Queste o erano assenti nelle riforme, o quando erano presenti sono state sottofinanziate, vittime di tagli e austerita’. Quasi ovunque, a partire dalla Germania, la precarieta’ del lavoro e’ aumentata e la protezione dei lavoratori diminuita.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-riconquista-perche-abbiamo-perso-l-europa-e-come-possiamo-riprendercela-di-francesco-saraceno/
https://www.rivistailmulino.it/a/la-riconquista
https://www.europainmovimento.eu/europa/perche-abbiamo-perso-l-europa-e-come-possiamo-riprendercela.html
https://www.micromega.net/leuropa-vista-da-un-riformista/

Lavoro/Srniceck

Nick Srniceck, Alex Williams – Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro – Produzioni Nero (2018)

Con la possibilita’ di un’automazione del lavoro su larga scala […] e’ molto probabile che il futuro ci presentera’ le seguenti tendenze:
• La precarieta’ delle classi operaie nelle economie dei paesi sviluppati si andra’ intensificando, per via della crescita del surplus di forza lavoro globale (prodotto da globalizzazione e automazione).
• Le «riprese senza lavoro» si protrarranno e si presenteranno con forme sempre piu’ marcate, andando a toccare principalmente i lavoratori che possono essere rimpiazzati da macchinari.
• Le popolazioni di ghetti, baraccopoli e slum continueranno a crescere per via dell’automazione dei posti di lavoro non specializzati, un processo reso ancora piu’ rapido dalla deindustrializzazione prematura.
• La marginalita’ urbana nelle economie sviluppate crescera’ sempre di piu’, in seguito all’automazione dei posti di lavoro non specializzati e pagati poco.
• La trasformazione dell’educazione universitaria in una semplice formazione al lavoro sara’ accelerata, nel disperato tentativo di produrre grandi quantita’ di lavoratori specializzati.
• La crescita continuera’ a essere lenta, rendendo improbabile la creazione di nuovi posti di lavoro che vadano a rimpiazzare quelli perduti.
• I cambiamenti al workfare, i controlli per l’immigrazione e l’incarcerazione di massa si intensificheranno, e i disoccupati saranno sempre piu’ soggetti a misure coercitive.
Naturalmente, nessuno di questi esiti e’ inevitabile.
Ma la nostra analisi si basa sulle tendenze attuali del capitalismo e sui problemi che, con molta probabilita’, emergeranno in seguito all’ulteriore crescita del surplus di popolazione.
Queste tendenze prefigurano una crisi del lavoro, e di conseguenza una crisi che colpira’ qualsiasi societa’ fondata sull’istituzione del lavoro salariato.

Info:
https://www.terrelibere.org/inventare-il-futuro/
https://lacaduta.it/riappropriarsi-del-futuro-secondo-srnicek-e-williams-bb0f904b2d0e
https://www.quadernidaltritempi.eu/liberi-dal-lavoro-il-domani-quasi-possibile/
https://www.anobii.com/books/Inventare_il_futuro/9788880560098/01b82e055beaceae9c
http://www.exasilofilangieri.it/presentazione-del-libro-inventare-futuro-un-mondo-senza-lavoro-n-srnicek-williams/

Green New Deal/Formenti

Carlo Formenti- Il socialismo è morto, viva il socialismo! Dalla disfatta della sinistra al momento populista – Meltemi (2019)

Un libro di Marco D’Eramo snocciola dati impressionanti sulle dimensioni raggiunte dall’industria turistica contemporanea: 277 milioni di posti di lavoro, pari al 9% del totale mondiale; 9,4% del Pil europeo (15,5 in Spagna e 10,2 in Italia, Paesi in cui pesa, rispettivamente, il 15,5% e l’11,6% dell’occupazione).
Dopodiche’ spiega che e’ sbagliato considerare come “postindustriale”, “postmoderna”, “immateriale” un’attivita’ che e’ invece caratterizzata da una materialita’ fatta di acciaio, automobili, aerei e navi, cioe’ da una “pesantezza” decisamente moderna che causa enormi devastazioni ambientali e ne fa una delle industrie piu’ inquinanti attraverso l’impatto dei trasporti e l’introduzione di rifiuti nell’ecosistema.
Ne’ si tratta solo di degrado ambientale, ma anche e soprattutto di degrado culturale: le citta’ europee (si pensi a Venezia, Roma e Firenze in Italia) si trasformano in altrettanti Luna Park per turisti americani e giapponesi (cui si aggiungono sempre piu’ russi e cinesi) in cui i cittadini “recitano” se stessi, mettendo in scena culture e tradizioni private delle loro radici storiche, per cui i fornitori di servizi divengono parte integrante del prodotto consumato.

Info:
https://www.mangialibri.com/il-socialismo-e-morto
https://www.fondazionecriticasociale.org/2019/03/18/a-proposito-di-carlo-formenti-il-socialismo-e-morto-viva-il-socialismo/
https://tempofertile.blogspot.com/2019/08/carlo-formenti-il-socialismo-e-morto.html