Economia di mercato/Balzano

Il salario minimo non vi salverà – Savino Balzano – Fazi 2024

Con la libera circolazione dei capitali [nell’Unione Europea] e’ stato messo in piedi un vero e proprio sistema concorrenziale tra gli Stati membri, costringendoli a farsi letteralmente la guerra (altro che garanzia di pace) sul piano economico per attirare i capitali.
Esiste un solo modo per farlo: abbassare la pressione fiscale e, in un sistema che di fatto ha privato gli Stati membri della possibilita’ di perseguire politiche espansive attraverso strumenti fiscali e soprattutto monetari, questo non puo’ che significare il taglio degli investimenti e dello Stato sociale.
Ovviamente cio’ indebolisce la domanda interna e costringe di fatto a virare verso un’economia orientata alle esportazioni (non a caso la circolazione delle merci e’ libera) nella quale, in assenza di una politica degli investimenti, si puo0 rincorrere la competitivita’ solo attraverso la riduzione del costo del lavoro.
Detto in altre parole e piu’ semplicemente: per attirare quei capitali devi abbassare tasse e imposte e, venuto meno quel gettito e non potendo stampare moneta, sarai costretto a tagliare la spesa pubblica e quindi i servizi e il welfare, impoverendo le persone. Svuotando le tasche della gente, quest’ultima non sara’ in grado di acquistare beni e servizi di qualita’ che quindi si dovranno esportare. Per renderli competitivi nel mercato globale dovranno essere a buon mercato e dunque sara’ necessario falcidiare i salari di chi li produce.

Info:
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/02/balzano-la-verita.pdf?
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/05/balzano-il-giornale.pdf?

https://www.ildiariodellavoro.it/il-salario-minimo-non-vi-salvera-di-savino-balzano-fazi-editore/

Capitalismo/Marcon

Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – Giulio Marcon – People (2023)

Delle questioni che rimangono sempre nell’ombra – per quanto riguarda le diseguaglianze – e’ quella del fisco. Se ne parla solo per dire che si pagano troppe tasse, mai che i ricchi pagano poche tasse […]
«Nel 1970 gli americani piu’ ricchi versavano al fisco oltre il 50% del proprio reddito, cioe’ il doppio di quanto versavano i lavoratori. Nel 2018, dopo la riforma di Trump, i miliardari hanno versato meno tasse di metalmeccanici, insegnanti, pensionati».
Nel corso di alcuni decenni, le aliquote sui redditi piu’ alti (in quasi tutto il mondo, anche negli Stati Uniti) sono passate da oltre il 90% a mediamente il 40%; le imposte di successione in molti Paesi sono state abolite o ridotte al minimo (negli Stati Uniti il gettito fiscale dell’imposta di successione si e’ ridotto di quattro volte); l’imposta patrimoniale e’ un tabu’: tutti favori ai privilegiati e ai ricchi, tutta benzina sul fuoco delle diseguaglianze […]
Il tema delle diseguaglianze e’ strettamente collegato a quello della mobilita’ sociale.
I ricchi che abbiamo intervistato raramente individuano nella distorsione del modello dello sviluppo economico liberista di questi trent’anni la ragione principale della crescita delle disuguaglianze.
Molti danno la colpa all’assenza di crescita economica, alla globalizzazione, al mancato riconoscimento delle competenze e del merito, all’istruzione di bassa qualita’, alla scarsa propensione dei nostri giovani a studiare le materie tecnologiche e scientifiche, all’inveterata abitudine italica di privilegiare la cooptazione, l’affiliazione politica, lo sfruttamento delle reti di relazioni acquisite.
L’ascensore sociale si sarebbe fermato per questi motivi, e non per il carattere strutturale di politiche economiche che rendono le diseguaglianze crescenti e croniche […]
Pochissimi (tra questi: Farinetti, con l’imposta di successione, e Profumo, con la proposta di patri- moniale) citano lo strumento fiscale, la possibilita’ di una tassazione piu’ progressiva e la redistribuzione della ricchezza come strumenti decisivi per ridurre le disuguaglianze.
Molti pensano che i soldi delle tasse vengano spesi male, e che quindi valga la pena ridurle. 

Capitalismo/Stiglitz

Il prezzo della disuguaglianza: Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro – Joseph Eugene Stiglitz – Einaudi (2014)

Il capitalismo moderno e’ diventato un gioco complesso, dove per vincere non basta un po’ di cervello.
Chi vince spesso possiede anche caratteristiche meno degne di ammirazione: l’abilita’ di aggirare la legge o di plasmarla a proprio beneficio, il desiderio di sfruttare gli altri, anche i poveri, e la disponibilita’ a giocare scorrettamente quando necessario.
Con le parole di uno di questi giocatori di successo, il vecchio adagio «non importa vincere o perdere, cio’ che conta e’ come si gioca» e’ spazzatura. Conta soltanto se si vince o si perde e il mercato ha un modo semplice di dimostrarlo: la quantita’ di denaro che si realizza.
Vincere il gioco della ricerca della rendita ha permesso a molti di quanti si trovavano in cima alla scala sociale di ammassare vere e proprie fortune, ma non e’ l’unico strumento attraverso il quale si ottiene e si conserva la ricchezza. Anche il sistema fiscale svolge un ruolo cruciale […]
Chi sta in alto ha fatto in modo da disegnare un sistema fiscale che gli pemettesse di pagare meno di quanto sarebbe giusto, ossia una percentuale del proprio reddito inferiore a quella dovuta da chi e’ molto piu’ povero. Definiamo regressivi i sistemi fiscali di questo tipo […]
La ricerca della rendita puo’ assumere varie forme, in virtu’ di concessioni e sussidi governativi nascosti o trasparenti, di leggi che riducono il livello di concorrenza del mercato, di un’applicazione permissiva delle leggi esistenti sulla concorrenza e di statuti che consentono ai grandi gruppi economici di avvantaggiarsi sugli altri o di trasferire i propri costi al resto della societa’.
Il termine «rendita» veniva originariamente utilizzato per descrivere le entrate dei proprietari terrieri, che le percepivano in virtu’ della terra posseduta e non per aver fatto qualcosa. Diversa e’ da sempre la situazione dei lavoratori, i cui salari ne ricompensano la fatica. Il termine «rendita» fu poi esteso per includere i profitti o rendite monopolistiche, ossia il reddito che si ricava dal semplice controllo di un monopolio.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-prezzo-della-disuguaglianza/
https://www.ocst.ch/il-lavoro/425-approfondimenti/2181-la-disuguaglianza-il-suo-prezzo-e-cio-che-si-puo-fare-per-eliminarla
https://tempofertile.blogspot.com/2013/06/joseph-stiglitz-il-prezzo-della.html
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/15721-joseph-stiglitz-per-combattere-le-disuguaglianze-bisogna-abbandonare-subito-le-idee-di-milton-friedman.html

Capitalismo/Stiglitz

Il prezzo della disuguaglianza: Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro – Joseph Eugene Stiglitz – Einaudi (2014)

La disuguaglianza e’ il risultato di forze non soltanto economiche, ma anche politiche.
In un’economia moderna, il governo stabilisce e fa rispettare le regole del gioco di una giusta concorrenza […]
Il governo inoltre concede risorse (sia apertamente sia per vie meno trasparenti) e, attraverso il fisco e le spese sociali, modifica la distribuzione del reddito che emerge dal mercato per via dell’influenza della tecnologia e della politica stessa. Il governo modifica infine le dinamiche della ricchezza, tassando per esempio le eredita’ e rendendo gratuita l’istruzione pubblica […]
Le forze della concorrenza dovrebbero limitare la possibilita’ di realizzare profitti esagerati, ma, se i governi non si fanno garanti della competitivita’ dei mercati, possono venirsi a creare condizioni che permettono di realizzare elevati profitti di natura monopolistica […]
Un sistema fiscale progressivo e politiche di spesa che impongano tasse piu’ elevate ai ricchi che ai poveri, offrendo al contempo buoni sistemi di protezione sociale, possono limitare la misura della disuguaglianza. Al contrario, programmi che mettano le risorse del paese nelle mani dei ricchi e di chi ha buone relazioni possono incrementarla […]
Lasciati a se stessi, i mercati spesso non riescono a produrre risultati efficienti e desiderabili e spetta al governo correggere tali fallimenti, ossia definire politiche (da tradursi in fiscalita’ e regolamentazioni) che portino gli incentivi privati a riallinearsi ai ritorni sociali […]
Quando un governo fa bene il suo lavoro, i ritorni per un lavoratore o un investitore sono effettivamente pari ai benefici che le sue azioni apportano alla societa’. Quando invece i due piani non sono allineati, parliamo di fallimento del mercato, nel senso che i mercati non riescono a produrre risultati efficienti.
I compensi privati e i ritorni sociali non sono ben allineati quando a) la concorrenza e’ imperfetta; b) esistono «esternalita’» in virtu’ delle quali le azioni di una parte possono avere effetti ampiamente negativi o positivi sulle altre senza che queste ricevano una compensazione o paghino un prezzo per il danno o il beneficio subito; c) si creano imperfezioni o asimmetrie informative, per cui qualcuno e’ a conoscenza di un fatto rilevante per uno scambio di mercato che un altro non conosce; d) i mercati del rischio o altri mercati sono assenti, nel senso che, per esempio, non esiste la possibilita’ di acquistare un’assicurazione a fronte di molti dei rischi piu’ rilevanti che si affrontano.
Dal momento che tutti i mercati presentano una o piu’ di tali condizioni, e’ difficile supporre che siano in generale efficienti. Ciò significa che al governo spetta potenzialmente un ruolo enorme nella correzione di questi fallimenti del mercato.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-prezzo-della-disuguaglianza/
https://www.ocst.ch/il-lavoro/425-approfondimenti/2181-la-disuguaglianza-il-suo-prezzo-e-cio-che-si-puo-fare-per-eliminarla
https://tempofertile.blogspot.com/2013/06/joseph-stiglitz-il-prezzo-della.html
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/15721-joseph-stiglitz-per-combattere-le-disuguaglianze-bisogna-abbandonare-subito-le-idee-di-milton-friedman.html

Europa/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – Laterza (2024)

Si e’ definitivamente chiarito che il federalismo cui si ispira l’Unione ha una finalita’ decisa- mente piu’ circoscritta: rappresentare il vincolo esterno con cui imporre la spoliticizzazione del mercato.
Il tutto nel solco di quanto precisato fin dagli anni Trenta da un padre del neoliberalismo, che affidava alla dimensione sovranazionale il fondamentale compito di rimuovere ogni ostacolo alla libera circolazione dei fattori produttivi in quanto espediente attraverso cui ottenere la moderazione fiscale degli Stati membri: una pressione fiscale elevata «spingerebbe il capitale e il lavoro da qualche altra parte».
La libera circolazione consentiva insomma di spoliticizzare l’ordine economico, dal momento che sottraeva alle «organizzazioni nazionali, siano esse sindacati, cartelli od organizzazioni professionali», il «potere di controllare l’offerta di loro servizi e beni».
Di piu’: se lo Stato nazionale alimentava «solidarieta’ d’interessi tra tutti i suoi abitanti», la federazione impediva legami di «simpatia nei confronti del vicino», tanto che diventavano impraticabili «persino le misure legislative come le limitazioni delle ore di lavoro o il sussidio obbligatorio di disoccupazione».
Se cosi’ stanno le cose, l’Unione europea e’ tutt’altro che una entita’ incompiuta, capace di mettersi al servizio di un diverso modo di concepire lo stare insieme come societa’, se solo gli Stati fossero disponibili a cedere ulteriori porzioni di sovranita’ nella definizione delle politiche fiscali e di bilancio.
L’Unione europea e’ al contrario la realizzazione fedele e vincente di un modello politico ed economico incompatibile con il proposito di ripristinare l’equilibrio tra democrazia e mercato, e piu’ precisamente quello cui prelude il patto di cittadinanza fondato sul lavoro cosi’ come e’ stato concepito dalla Carta fondamentale.
Lo e’ innanzi tutto perche’ alimenta il sovranazionalismo come ideologia apparentemente distante dal nazionalismo, ma in ultima analisi identica nel produrre un effetto distorto: quello per cui l’architettura istituzionale viene ritenuta il fine ultimo e non anche lo strumento attraverso cui plasmare lo stare insieme come societa’.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/

Stato/Harvey

David Harvey – Cronache anticapitaliste. Guida alla lotta di classe per il XXI secolo – Feltrinelli (2021)

Con lo spostamento del potere verso le grandi aziende e una mobilita’ geografica sempre piu’ agevole, le piccole differenze geografiche sono diventate ancora piu’ importanti di prima nella corsa a massimizzare i profitti.
Le grandi aziende cercano i vantaggi derivanti dall’avere sede in un luogo invece che in un altro; persino un piccolo vantaggio fiscale tra un posto e l’altro puo’ diventare decisivo.
Questo significa che i governi locali o addirittura intere nazioni (l’Irlanda e’ molto brava in questo) hanno disposto facilitazioni fiscali per offrire i massimi vantaggi possibili alle aziende private.
Ne nasce un’accesa concorrenza fra citta’ e regioni e a livello internazionale fra gli stati che cercano di attrarre investimenti dall’estero. E’ uno dei grandi obiettivi del potere statale in questo momento.
Il risultato: il potere dello stato diventa subordinato al capitale privato. Cosi’, se il controllo non e’ nelle mani degli obbligazionisti, e’ in quelle delle grandi aziende monopolistiche.
Non era cosi’, negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, negli stati capitalisti avanzati perche’ lo stato, in quel momento, era molto piu’ socialdemocratico e molto piu’ potente rispetto al capitale. Parte della missione dello stato era garantire il benessere alla massa della sua popolazione.

Info:
https://www.idiavoli.com/it/article/cronache-anticapitaliste
https://www.kulturjam.it/editoria-narrazioni/david-harvey-cronache-anticapitaliste/
https://www.marxist.com/david-harvey-contro-la-rivoluzione-la-bancarotta-del-marxismo-accademico.htm
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21563-guido-maria-brera-cronache-anticapitaliste.html
https://www.doppiozero.com/materiali/david-harvey-laccumulazione-come-spoliazione

Economia di mercato/Saez

Emmanuel Saez, Gabriel Zucman – Il trionfo dell’ingiustizia. Come i ricchi evadono le tasse e come fargliele pagare – Einaudi (2020)

Ma e’ davvero un problema che la tassazione si sia ridotta a una gigantesca flat tax e riservi un trattamento preferenziale ai super-ricchi?
Perche’ dovremmo preoccuparcene? […]
Chiariamo poi che gli Stati Uniti non sono la sola democrazia che ha una fiscalita’ molto meno progressiva di quanto sembri a prima vista […]
Operare un confronto internazionale rigoroso e’ difficile, ma i migliori dati disponibili indicano che gli Stati Uniti sono in buona compagnia: in Francia, per esempio, in fin dei conti la tassazione non e’ tanto piu’ progressiva.
A nostro avviso, la scarsa progressivita’ della tassazione dovrebbe preoccuparci per tre motivi.
In primo luogo, per semplici questioni di bilancio. Anche se si considerano solo i gradini piu’ alti della scala del reddito, laddove le imposte diventano regressive, la posta in gioco e’ notevole. Oggi lo 0,001 per cento piu’ ricco paga le tasse a un’aliquota del 25 per cento. Portandola al 50 per cento, a parita’ di tutte le altre condizioni, si avrebbe un gettito aggiuntivo di 100 miliardi di dollari all’anno. E sarebbe una somma sufficiente a incrementare il reddito netto di tutti i lavoratori adulti di 800 dollari all’anno […]
In secondo luogo, e’ una questione di equita’.
Delle imposte che i piu’ abbienti non pagano dobbiamo farci carico tutti noi.
Si potrebbe obiettare che ognuno ottiene dal mercato il reddito che merita; che dopo le ingiustizie subite negli anni Sessanta e Settanta, oggi i ricchi ricevono la giusta ricompensa dai mercati liberi e globalizzati.
Non siamo d’accordo con questa visione – che talvolta si definisce fondamentalismo di mercato –, ma se non altro ne riconosciamo la coerenza. Eppure, in base a quale criterio e’ giusto che i miliardari paghino meno tasse di tutti, e che il carico fiscale si alleggerisca quanto piu’ aumentano le ricchezze? […]
Ma forse l’attuale sistema fiscale americano va criticato soprattutto perche’ alimenta la spirale della disuguaglianza. Come abbiamo visto, la quota di reddito dell’1 per cento piu’ ricco e’ lievitata mentre quella dei lavoratori crollava.
E, anziche’ contrastarla, il sistema fiscale ha rafforzato questa tendenza.
In passato i ricchi pagavano molte tasse, ora ne pagano meno. In passato i poveri pagavano relativamente poco, ora sopportano un carico fiscale piu’ gravoso.