Lavoro/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – Laterza (2024)

Il Novecento ci aveva abituato a ritenere che «poverta’ lavorativa» fosse un ossimoro: che la condizione occupazionale fosse di per se’ «una garanzia di sufficienza reddituale».
Il nuovo millennio ci ha invece mostrato quanto sia tornata in auge la condizione di coloro i quali, stando ai parametri piu’ diffusi e utilizzati tra gli altri da Eurostat, «lavorano per oltre la meta’ dell’anno e il loro reddito disponibile annuo equivalente e’ inferiore al 60% del livello di reddito mediano nazionale delle famiglie (dopo i trasferimenti sociali)».
Restituendoci il senso della parabola del lavoro: il suo essersi trasformato in «pura merce» e «solo affare di mercato».
Soprattutto, il nuovo millennio ci ha confermato il nesso inscindibile tra precarieta’ e poverta’, particolarmente evidente in tutte le tipologie contrattuali alternative al rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato. A riprova di come il patto di cittadinanza incentrato sul dovere di lavorare, inizialmente fondato su un accettabile compromesso tra capitale e lavoro, sia oramai definitivamente scardinato anche dal punto di vista della capacita’ di assicurare buona occupazione nel senso chiarito dalla Costituzione: stabile e retribuita in modo tale da garantire una vita libera e dignitosa.

Lavoro/Benanav

Automazione. Disuguaglianze, occupazione, povertà e la fine del lavoro come lo conosciamo – Aaron Benanav – Luiss (2022 )


Denaro gratuito” (UBI/Rbi) Il dibattito sull’automazione si regge su quattro principi fondamentali.
Il primo sostiene che i lavoratori sono gia’ stati soppiantati da macchine sempre piu’ progredite, dando luogo cosi’ a una crescita sempre piu’ considerevole di “disoccupazione tecnologica”.
Secondo, questa sostituzione e’ un segnale indiscusso del fatto che siamo vicini a raggiungere una societa’ in buona parte automatizzata, nella quale quasi tutto il lavoro sara’ eseguito da macchine semoventi e da computer intelligenti.
Terzo, anche se l’automazione dovesse comportare la liberazione collettiva del genere umano dalla fatica fisica del lavoro, viviamo in una societa’ nella quale la maggior parte delle persone deve lavorare per vivere, il che significa che il sogno potrebbe benissimo trasformarsi in un incubo.
Quarto, di conseguenza l’unico modo per scongiurare la catastrofe di una disoccupazione di massa – come quella in corso negli Stati Uniti nel 2020, sebbene per motivi assai diversi – e’ istituire il reddito universale incondizionato (Ubi, Universal basic income), spezzando una volta per tutte il rapporto diretto tra entita’ dei redditi percepiti dalle persone e quantita’ di lavoro che svolgono.

Info:
https://effimera.org/capitalismo-in-declino-lautomazione-in-uneconomia-stagnante-di-alexis-moraitis-e-jack-copley/
https://www.malacoda.it/n-3-2023/il-futuro-del-lavoro-di-fronte-alla-robotica-serviranno-i-migranti/

https://newleftreview.org/issues/ii120/articles/aaron-benanav-automation-and-the-future-of-work-2
https://futura.news/lautomazione-mette-a-rischio-il-mercato-del-lavoro/

Lavoro/Volpi

I padroni del mondo – Alessandro Volpi – Laterza (2024)


Nel corso degli anni Sessanta e Settanta il miglioramento delle condizioni dei lavoratori italiani e’ stato determinato dall’introduzione di una serie di servizi gratuiti e universali, erogati in base al reddito, dalla sanita’, all’istruzione, alle pensioni.
In estrema sintesi, si trattava del cosiddetto salario reale che cresceva non solo per l’incremento delle retribuzioni quanto soprattutto per la prerogativa per i lavoratori di non dover pagare molti dei servizi essenziali.
Da qualche anno ormai questo modello e’ stato progressivamente abbandonato e sostituito da un altro schema, politico e sociale, peraltro gia’ largamente diffuso in giro per il mondo da decenni, che e’ stato definito in piu’ modi sempre riconducibili al neoliberismo ma che, con l’avvento delle “nuove” destre, e’ diventato ancora piu’ aggressivo perche’, spesso, nascosto dietro inesistenti connotazioni popolari.
Si forniscono bonus, in genere sotto forma di una tantum, senza troppi riguardi al reddito disponibile e si abbatte il carico fiscale, soprattutto per alcune categorie e alcune fasce di reddito, per lasciare piu’ risorse ai cittadini ma, con minori entrate pubbliche e con erogazioni di sussidi ancora una tantum, reiterati nel tempo, si rende piu’ difficile mantenere in vita la spesa per i servizi essenziali che tornano ad essere a pagamento, come accadeva negli anni Cinquanta.

Info:
https://www.thedotcultura.it/alessandro-volpi-ecco-chi-sono-i-padroni-del-mondo/
https://valori.it/fondi-padroni-mondo-libro-alessandro-volpi/

https://altreconomia.it/chi-controlla-i-padroni-del-mondo/
https://sbilanciamoci.info/i-fondi-dinvestimento-padroni-del-mondo/

Economia di mercato/Galli

Arricchirsi impoverendo. Multinazionali e capitale finanziario nella crisi infinita – Giorgio Galli, Francesco Bordicchio – Mimesis (2018)

Visto l’esito rovinoso del liberalismo, la sinistra aveva il compito di lanciare la propria idea e il proprio modello.
Il primo punto sarebbe dovuto essere la produttivita’: niente decrescita e niente economia della felicita’, che appartengono alla propaganda e alla comunicazione e addirittura al mondo dei sogni, ma non alla sostanza del programma. Anche l’ambiente deve fungere da criterio per indirizzare la produzione e non per bloccarla: una volta cio’ deciso, si devono privilegiare le infrastrutture e i servizi economici di base e si devono fissare criteri vincolanti per la qualita’ dei beni e dei servizi, per evitare sostituzioni artificiose e forme di spreco.
Il secondo punto sarebbe dovuto essere costituito dalla destinazione dei redditi: i ceti bassi e medio-bassi devono essere sostenuti adeguatamente con redditi consistenti, innanzitutto per non deprimere la domanda, il che provocherebbe una fase di ristagno dell’economia […]
Ma occorre andare piu’ in profondita’ e rendersi conto che solo un’adeguata soddisfazione delle ragioni dei lavoratori puo’ portare un clima di affezione e di legame intorno all’impresa in modo da rendere questa soggetto attivo sul mercato, dotato di consistenza obiettiva e non piu’ riconducibile solo all’imprenditore e alle sue volubili convenienze […]
Infine, il terzo punto sarebbe dovuto essere costituito dall’assetto di mercato: le liberalizzazioni e la maggior concorrenza sono un fatto positivo di dinamismo e di eliminazione o comunque di riduzione di forme di assistenza e di posizioni di forza non giustificate: ma occorre tener conto dei limiti di tali misure […]
Pertanto occorre introdurre una forma rigorosa e capillare di economia di piano in grado di fornire indirizzi e di apporre limiti all’economia privata, senza sostituirsi ai singoli centri di produzione ma coordinandoli armonicamente, il che non e’ in alcun modo possibile stando all’interno della logica del capitale.
In tale ottica, la corsa verso le privatizzazioni, dai risultati spesso nefasti, puo’ esser messa in discussione e si puo’ ammettere la proprieta’ collettiva per i beni comuni e in caso di beni e servizi strategici, senza in alcun modo inficiare l’iniziativa economica.

Info:
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/marchesi-libero-arricchirsi-impoverendo-galli-bochicchio.pdf
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/quotidiano-sud-arricchirsi-impoverendo-galli-bochicchio.pdf

Societa’/Stiglitz

La strada per la libertà. L’economia e la societa’ giusta – Joseph E. Stiglitz – Einaudi (2024)


Quando il governo interviene e impone tasse, prendendosi parte dei nostri sudati guadagni, spesso lo percepiamo come una liberta’ che ci viene sottratta.
Capiamo come questi interventi pubblici possano apparire coercitivi, perche’ riducono le nostre possibilita’ di scelta diminuendo il nostro reddito.
I libertarians in particolare fanno della costrizione a pagare le tasse un grosso problema. Lo considerano un furto della loro liberta’. Credono di avere il diritto fondamentale di spendere il loro denaro come preferiscono, dato che sostengono che i loro redditi elevati sono il risultato del loro duro e onesto lavoro, dell’energia creativa e dell’abilita’ negli investimenti (e, si potrebbe aggiungere per molti, della loro bravura nello scegliersi i genitori giusti) […]
Nella maggior parte dei casi non c’e’ legittimita’ morale nei redditi di mercato.
Risulta evidente quando tali redditi derivano dallo sfruttamento, che si tratti dello schiavismo del XVII e XVIII secolo, del colonialismo e della tratta dell’oppio del XIX secolo, o del potere di mercato e della pubblicita’ seducente e ingannevole del XX […]
Non c’e’ giustificazione morale nel permettere ai ricchi di conservare i redditi ottenuti da guadagni illeciti invece di distribuirli alle persone a basso reddito, soprattutto quando i redditi di queste ultime sarebbero potuti essere piu’ alti se i diritti di proprieta’ fossero stati definiti e assegnati in modo diverso e forse piu’ appropriato.

Info:
https://sbilanciamoci.info/stiglitz-il-neoliberalismo-e-un-fallimento/
https://ilpontedem.it/2024/06/22/joseph-e-stiglitz-la-strada-per-la-liberta-economia-e-buona-societa/

https://www.milanofinanza.it/news/la-lezione-del-nobel-joseph-e-stiglitz-un-capitalismo-progressivo-per-una-societa-giusta-202309152206147720
https://www.open.online/2024/11/22/il-premio-nobel-stiglitz-per-litalia-conseguenze-pessime-dalla-firma-del-patto-di-stabilita/

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/11/22/il-nobel-per-leconomia-stiglitz-la-ue-e-tornata-allausterita-con-donald-paghera-due-volte/7776961/

Capitalismo/Marcon

Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – Giulio Marcon – People (2023)

Delle questioni che rimangono sempre nell’ombra – per quanto riguarda le diseguaglianze – e’ quella del fisco. Se ne parla solo per dire che si pagano troppe tasse, mai che i ricchi pagano poche tasse […]
«Nel 1970 gli americani piu’ ricchi versavano al fisco oltre il 50% del proprio reddito, cioe’ il doppio di quanto versavano i lavoratori. Nel 2018, dopo la riforma di Trump, i miliardari hanno versato meno tasse di metalmeccanici, insegnanti, pensionati».
Nel corso di alcuni decenni, le aliquote sui redditi piu’ alti (in quasi tutto il mondo, anche negli Stati Uniti) sono passate da oltre il 90% a mediamente il 40%; le imposte di successione in molti Paesi sono state abolite o ridotte al minimo (negli Stati Uniti il gettito fiscale dell’imposta di successione si e’ ridotto di quattro volte); l’imposta patrimoniale e’ un tabu’: tutti favori ai privilegiati e ai ricchi, tutta benzina sul fuoco delle diseguaglianze […]
Il tema delle diseguaglianze e’ strettamente collegato a quello della mobilita’ sociale.
I ricchi che abbiamo intervistato raramente individuano nella distorsione del modello dello sviluppo economico liberista di questi trent’anni la ragione principale della crescita delle disuguaglianze.
Molti danno la colpa all’assenza di crescita economica, alla globalizzazione, al mancato riconoscimento delle competenze e del merito, all’istruzione di bassa qualita’, alla scarsa propensione dei nostri giovani a studiare le materie tecnologiche e scientifiche, all’inveterata abitudine italica di privilegiare la cooptazione, l’affiliazione politica, lo sfruttamento delle reti di relazioni acquisite.
L’ascensore sociale si sarebbe fermato per questi motivi, e non per il carattere strutturale di politiche economiche che rendono le diseguaglianze crescenti e croniche […]
Pochissimi (tra questi: Farinetti, con l’imposta di successione, e Profumo, con la proposta di patri- moniale) citano lo strumento fiscale, la possibilita’ di una tassazione piu’ progressiva e la redistribuzione della ricchezza come strumenti decisivi per ridurre le disuguaglianze.
Molti pensano che i soldi delle tasse vengano spesi male, e che quindi valga la pena ridurle. 

Economia di mercato/Palermo

Il mito del mercato globale. Critica della teorie neoliberiste – Giulio Palermo – Manifestolibri (2004)

La “crescita senza inflazione” in presenza di salari stagnanti e’ solo un successo del capitale.
La ripresa dell’occupazione a condizioni di lavoro piu’ dure, piu’ precarie e meno protette (con produttività comunque in crescita) esprime solo un aumento del tasso di sfruttamento: se in famiglia prima lavorava solo il capofamiglia, ora lavorano in due, in tre e il tenore di vita e’ lo stesso perche’, oltre a diminuire i salari reali, con la riduzione della spesa pubblica, i servizi un tempo offerti dallo stato devono ora essere pagati in moneta sonante.
Il pareggio dei conti pubblici e’ poi quanto di piu’ assurdo. Come si puo’ pensare che la salute di una persona possa essere subordinata alla logica del profitto di un’azienda ospedaliera?
Il funzionamento dei servizi pubblici, sia di quelli privatizzati, sia di quelli ancora in mano alle amministrazioni dello stato, e’ diventato tutto di tipo aziendalistico: aziende sanitarie locali, ospedali, scuole, ferrovie, televisione tutto deve rispettare il principio del bilancio in pareggio (o, preferibilmente, in surplus), come in ogni azienda efficiente.
L’abbattimento dell’inflazione fa bene alle banche che ottengono tassi d’interesse reali piu’ elevati, non ai lavoratori i quali non riescono nemmeno a conservare il loro salario reale (visto che il contenimento dell’inflazione e’ ottenuto proprio tramite la cosiddetta “moderazione salariale”, vero perno della politica economica dell’ultimo decennio, e
vista l’impossibilita’ di legare la retribuzione agli aumenti dei prezzi per via dei danni che cio’ produrrebbe sull’efficienza complessiva del sistema); per non parlare poi del fatto che, con i rapporti di forza esistenti, i lavoratori hanno persino smesso di ambire alla spartizione dei proventi della crescente produttivita’ del loro stesso lavoro. 

Capitalismo/Marcon

Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – Giulio Marcon – People (2023)

I «quattro motori della diseguaglianza» […]
Il primo motore e’ il potere del capitale sul lavoro: nell’epoca neoliberista si sono rovesciati i rapporti di forza, soprattutto grazie all’ascesa della finanza e all’indebolimento dei sindacati […]
La seconda ragione sta nella crescita del capitalismo oligarchico, nella creazione cioe’ di una nuova aristocrazia del denaro, con una concentrazione della ricchezza mai vista. La concentrazione di questa ricchezza ha avuto la priorita’ sulla crescita dei flussi di reddito […]
A queste due prime ragioni [si aggiungono] altri due motivi piu’ profondi e che riguardano innanzitutto i processi di individualizzazione sociale, ovvero l’indebolimento delle identita’ collettive, dei corpi intermedi e dei sindacati a favore di processi di precarizzazione e frammentazione del mercato del lavoro. Anche questo e’ un segno del potere del capitale sul lavoro. Non solo individualizzazione, ma privatizzazione di ogni dimensione sociale […]
Infine c’è l’arretramento della politica […], la riduzione del ruolo dello Stato che ha dato ancora piu’ spazio al mercato e alla dinamica del profitto privato a scapito dell’interesse generale. Questo arretramento ha significato non solo una ritirata dall’esercizio della funzione di governo e delle politiche pubbliche, ma anche la loro subalternita’ – e, in alcuni casi, l’appalto – al potere economico e finanziario nelle decisioni assunte […]
Se non si mette mano a misure di limitazione della trasmissione dei privilegi, le diseguaglianze si trasmettono da una generazione all’altra.
Attraverso un coefficiente di trasmissione intergenerazionale di diseguaglianza, con una metodologia statistica elaborata negli ultimi trent’anni, e’ stata stimata la situazione in Europa. La scala va da 0 a 1. Se e’ 0, significa che la trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza non esiste; se e’ 1, invece, e’ totale.
Mentre nei Paesi nordici come Svezia e Danimarca il coefficiente e’ pari a 0,13/0,14%, in Gran Bretagna e in Italia arriva allo 0,50%. E’ evidente che chi nasce in una famiglia di ricchi avra’ – rispetto al figlio di un povero – la possibilità di ottenere un’istruzione di qualità (magari in una scuola privata o in un’universita’ all’estero) e di godere di relazioni sociali elevate (con famiglie influenti, potenti, ecc.) che gli permetteranno di avere una corsia preferenziale per un buon lavoro e una carriera gia’ instradata.

Info:
https://altreconomia.it/se-la-classe-inferiore-sapesse-chi-sono-i-ricchi-e-perche-continuano-a-essere-ammirati/
https://www.lafionda.org/2024/01/09/se-la-classe-inferiore-sapesse/
https://www.ossigeno.net/post/se-la-classe-inferiore-sapesse
https://altreconomia.it/perche-sappiamo-cosi-poco-dei-ricchi/

Lavoro/Gorz

l filo rosso dell’ecologia – André Gorz – Mimesis (2017)

In tutti i paesi sviluppati, e’ il capitale che tende ad abolire il lavoro salariato perche’ questo si era nel frattempo trasformato, durante il periodo fordista, in una relazione sociale regolamentata, protetta dai diritti sociali.
Al suo posto, il capitale reintroduce relazioni di lavoro e di retribuzione individualizzate, precarie, che abbandonano il lavoratore di fronte al potere arbitrario del suo datore di lavoro.
Il capitalismo denuncia il contratto sociale che era alla base del regime fordista, il lavoro diventa un’attivita’ sempre piu’ discontinua. Periodi di iperattivita’ si alternano a periodi di disoccupazione, il tempo di lavoro e il livello di retribuzione diventa flessibile, imprevedibile.
Chiunque e’ un disoccupato in potenza.
E’ una rivoluzione irreversibile. La rivoluzione microelettronica economizza delle quantita’ di lavoro fino ad oggi inimmaginabili, ma e’ gestita in un modo tale che condanna gli uni all’inattivita’, mentre obbliga gli altri ad un’intensita’ di lavoro difficilmente sopportabile […]
Inoltre, sotto la pressione dei fondi pensione, le imprese riducono i salari e il personale, investono sempre meno sul lungo periodo e cercano ovunque di ottenere i mezzi di esenzione d’imposta.
E cosi’ il rendimento del capitale non smette di accrescersi, mentre la remunerazione del lavoro, la protezione sociale e gli investimenti in opere pubbliche non fanno che diminuire […]
Sarebbe necessario garantire a chiunque un reddito continuo per un lavoro discontinuo. Garantire, detto altrimenti, che la discontinuita’ del lavoro retribuito non sia imposta alle persone a seconda della convenienza dei datori di lavoro, e che questa discontinuita’ si trasformi in diritto di tutti a vivere le proprie attivita’ e a scegliere, senza perdere il proprio reddito, dei periodi in cui si possano fare cose che non abbiano valore mercantile.
Questa sarebbe la base della societa’ della multiattivita’.
Credo che questa idea sia piu’ che mai attuale.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ecologia-politica-di-andre-gorz/
https://it.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9_Gorz

 

Lavoro/Feltri

10 Rivoluzioni nell’economia globale (che in Italia ci stiamo perdendo) – Stefano Feltri – Utet (2024)

Il lato oscuro del mondo del lavoro […]
Nel 2022 su 8,1 milioni di assunzioni, soltanto il diciassette per cento e’ stato a tempo indeterminato. Vuol dire che il restante ottantatre per cento e’ fatto di precari che non sanno se saranno mai stabilizzati.
Secondo i dati dell’Istat, soltanto un quinto dei 3,2 milioni di lavoratori a termine ha una speranza di vedere il proprio contratto convertito in un tempo indeterminato.
Se sommiamo 2,5 milioni di lavoratori atipici non stabilizzati, due milioni di disoccupati e gli inattivi disponibili al lavoro, che sono 2,4 milioni di persone ormai sfiduciate, arriviamo a una cifra considerevole: sette milioni di persone che dal lavoro non possono ottenere altro che un reddito, spesso basso, ma non certo una dignita’ sociale o una qualche forma di protezione dalle incertezze della vita […]
Il problema e’ che il mercato del lavoro e’ diventato sempre piu’ difficile e i lavori sempre meno pagati, e quindi molte famiglie restano a rischio poverta’ anche se non sono composte soltanto da disoccupati.
Sempre secondo l’Istat, poi, i redditi delle famiglie italiane al netto dell’inflazione sono molto piu’ bassi rispetto a prima della grande crisi finanziaria del 2008.
In quindici anni l’Italia non si e’ mai del tutto ripresa e poi e’ arrivato il Covid.
I redditi familiari da lavoro autonomo sono piu’ bassi del 20,9 per cento in termini reali rispetto al 2007, quelli da lavoro dipendente del nove per cento. Se queste sono le prospettive, non c’e’ da stupirsi che in Italia ormai ben poche persone si considerino rassicurate dal proclama contenuto nel primo articolo della Costituzione, in base al quale l’Italia e’ una repubblica fondata sul lavoro.
Quella che sembrava una posizione di principio, una promessa di diritti, oggi – vista la qualita’ del lavoro disponibile – suona quasi come una minaccia.