Lavoro/Coin

Francesca Coin – Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita – Einaudi (2023)

Quando si parla di lavoro, tuttavia, il punto di vista dell’offerta non viene mai preso in considerazione.
L’idea di fondo, infatti, e’ che il lavoro vada accettato con entusiasmo e gratitudine, a prescindere da tutto il resto.
Il fatto che in molti casi sia pagato poco, sia solo parzialmente in regola, o non consenta una vera indipendenza economica o abitativa e’ irrilevante, perche’ la semplificazione politica vuole che ci sia, da un lato, un imprenditore a cui «nessuno ha mai regalato nulla» – che si e’ «spaccato la schiena» con sacrifici e abnegazione e che si e’ guadagnato da vivere con tanta voglia di lavorare – e, dall’altro, dei perdigiorno che non hanno voglia di fare nulla nonostante il buon cuore di chi offre loro un’opportunità […]
L’idea di fondo era che il lavoro e’ sempre una fortuna, anche quando e’ privo di retribuzione.
Per anni, del resto, la creazione di un modello produttivo fondato sulla precarieta’ e lo smantellamento dei diritti ha sedotto la politica piu’ di quanto l’abbia preoccupata […]
In generale, dagli anni Ottanta in poi, la priorita’ in Italia non e’ stata quella di risolvere problemi come l’assenza di tutele, le paghe basse, i turni massacranti o l’elevato lavoro nero, ma la necessita’ di creare un mondo del lavoro flessibile, in grado di permettere alle aziende di attrarre personale all’occorrenza per dismetterlo quando non serve piu’, allontanando il ricordo del «posto fisso» che per le imprese rimanda a un’inutile rigidita’ del mercato del lavoro.
Il lavoro non era dunque presentato come un diritto ne’ come un dovere: era un dono, un favore che le aziende facevano a chi lavorava, e un’occasione per fare nuovi amici e nuove conoscenze.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/teoria/26004-vincenzo-di-mino-ritorno-al-futuro-anteriore.html
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/26033-gianluca-de-angelis-torniamo-a-parlare-di-lavoro-facciamolo-collettivamente.html

https://jacobinitalia.it/autore/coin-francesca/
https://nuvola.corriere.it/2023/08/18/che-cosa-ce-dietro-le-grandi-dimissioni-il-saggio-francesca-coin/

Lavoro/Allievi

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

Senza immigrati il sistema economico italiano avrebbe un’implosione e saremmo, tutti, enormemente piu’ poveri […] se, educatamente, facessero quanto, meno educatamente, vorrebbero alcuni: e tornassero davvero a casa loro.
Quanto PIL in meno ci sarebbe.
Quante aziende e famiglie senza lavoratori.
Gli immigrati, come abbiamo visto, fanno lavori non qualificati nel 35,6% dei casi, mentre gli italiani nell’8,2% (Fondazione Leone Moressa 2017). Quindi, se sparissero, sono questi i posti che lascerebbero liberi. Quanti disoccupati o NEET italiani li sostituirebbero volentieri? Anche ipotizzando una qualche crescita dei salari nei rispettivi settori? Quanti farebbero i domestici o le badanti, i braccianti o i manovali, i lavapiatti o gli addetti alle pulizie […]
Secondo una simulazione della Banca d’Italia (Ruffolo 2019), tra il 2001 e il 2011 c’e’ stato un aumento del PIL del 2,3%. Senza immigrati la crescita sarebbe stata negativa, o meglio avremmo fatto grandi passi all’indietro: −4,4%.
Proiettandoci nel futuro, il crollo del PIL nel 2041, rispetto al
2021, sarebbe del 15% […]
La presenza di personale domestico straniero ha, per esempio, consentito a molte donne italiane di rientrare nel mercato del lavoro, con effetti positivi sulla presenza femminile nel mercato del lavoro stesso, sul reddito familiare, sulla posizione lavorativa e sui livelli retributivi […]
Quello che in Italia e’ stato visto e percepito come un inutile costo – l’accoglienza – e’ stato invece correttamente percepito dai tedeschi come un investimento, peraltro ripagato a breve termine. Quanto speso, se serve a inserire persone nel mercato del lavoro, significa individui che lavoreranno in regola, e quindi pagheranno tasse, con le quali finiranno per restituire in pochi anni quanto investito.
In Italia, invece, l’accoglienza (purtroppo slegata dall’integrazione) e’ stata percepita come un fastidio e un costo: si e’ fatto quasi nulla su conoscenza della lingua e della cultura e formazione professionale, e quel poco che si e’ fatto lo si e’ cancellato con i Decreti sicurezza del 2018 e del 2019, precisamente tagliando queste voci nei CAS e diminuendo l’investimento negli SPRAR gestiti dai comuni, dove questo lavoro lo si faceva con maggiore attenzione (Allievi 2018a).
Piu’ che di miopia, e’ il caso di parlare di cecita’ assoluta, non disinteressata e anzi voluta da una certa politica per dare in pasto alla pubblica opinione un facile capro espiatorio, e nemmeno percepita dal resto della politica, che di tutto cio’ – nella sua totale mancanza di capacita’ di lettura dei processi
in atto – non si e’ nemmeno accorta […]
Quando parliamo di lavoro immigrato pensiamo quasi sempre, di default, al lavoro dipendente. Ma non va dimenticato il ruolo dell’imprenditoria immigrata. I titolari di impresa nati all’estero che esercitano la loro attivita’ in Italia erano, al primo semestre del 2019, 452.204: il 14,9% dei titolari d’impresa presenti in Italia. Le citta’ con il piu’ alto numero di titolari di impresa sono Roma, Milano, Napoli e Torino, che da sole racchiudono piu’ di un quarto, il 27,5%, del totale degli imprenditori stranieri (il che significa che la realta’ dell’imprenditoria straniera e’ importante anche nel reticolo delle citta’ medie e piccole […]
Si tratta di aziende che, pur quasi sempre di piccole e piccolissime dimensioni, assumono, svolgono servizi (alcuni in nicchie di mercato prima di loro inesistenti), fanno da ponte con i paesi d’origine, creano o implementano filiere di import/export, aiutano quindi l’internazionalizzazione dell’economia italiana.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Finanziarizzazione/Gila

Paolo Gila – Capitalesimo. Il ritorno del feudalesimo nell’economia mondiale – Bollati Boringhieri (2013)

L’idea della microfinanza non ha in se’ alcuna colpa. Anzi. Piuttosto e’ l’uso distorto e irresponsabile che alcuni operatori hanno fatto di questo strumento a gettare un’ombra sulla sua diffusione e sull’aumento della poverta’ e dell’indebitamento tra le famiglie nullatenenti delle aree più povere del pianeta. […] A battere le mani all’idea di Yunus, in prima fila, c’erano soprattutto i neoliberisti della comunita’ di sviluppo internazionale, perche’, […] celebrando l’auto-aiuto e l’imprenditoria individuale […] si vengono a screditare implicitamente tutte le forme di iniziativa collettiva come i sindacati, le associazioni di categoria, i movimenti sociali, le cooperative, la spesa sociale, le visioni politiche di sviluppo a favore dei poveri e, soprattutto, i movimenti collettivi tesi ad assicurare una piu’ equa redistribuzione della ricchezza e del potere. […] La microfinanza sarebbe cosi’ diventata il business per gli utenti di basso profilo.
Potremmo dire il modello low cost dei prestiti. […]
[Ma] la vera ricchezza si crea dalla terra, dal lavoro e dalla produzione. La pretesa che possa essere ancora una volta la finanza, pur sotto la veste del microprestito, a creare la ricchezza e’ un mito da sfatare.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2013/04/recensione-paolo-gila-capitalesimo-bollati-boringhieri/
https://www.sololibri.net/Capitalesimo-Paolo-Gila.html