Capitalismo/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

L’obiettivo della teoria economica divenne l’allargamento delle opportunita’ di impiego e la promozione della crescita poiche’ si desiderava ingrandire la torta piuttosto che distribuire fette piu’ uguali per tutti, nella convinzione che con una torta piu’ grande a tutti sarebbero toccate fette piu’ grandi, e che fosse la dimensione assoluta delle fette a contare piuttosto che quella relativa.
Oggi, questa visione e’ messa fortemente in dubbio.
La ricerca economica si e’ interessata solo di recente alla distribuzione personale dei redditi, e uno dei motivi, se non il principale, e’ che i paesi economicamente sviluppati stanno attualmente vivendo un allarmante grado di disuguaglianza.
La disoccupazione prolungata, la riduzione dei salari, un crescente accumulo di ricchezza da parte di pochi individui associata ad una stagnazione dei redditi del resto della popolazione, una scala sociale piu’ ripida e un accesso all’istruzione ostacolato dalle piu’ difficili condizioni finanziarie sono tra i fattori principali che nel XXI secolo hanno portato la distribuzione del reddito al centro della scena.
Inoltre, la globalizzazione non ha prodotto cio’ che prometteva in termini di crescita e uguaglianza tra paesi, e sta influenzando in modo deciso – e non sempre positivo – i processi economici e distributivi all’interno delle singole nazioni. Dunque, la disuguaglianza economica e’ in prima linea nel dibattito politico odierno, probabilmente perche’ i movimenti sociali emersi hanno costretto gli economisti a rivolgervi lo sguardo.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

Stato/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame! – Laterza (2019)

Il teorema secondo cui il taglio del cuneo fiscale delle imprese favorirebbe la crescita dell’economia italiana e i salari dei lavoratori e’ falso.
Cosi’ come falsa e’ la relazione tra meno tasse alle imprese e maggiori investimenti.
I fatti presentati nell’ultimo rapporto Ocse sulle imposte sul lavoro raccontano una realta’ molto diversa da quella in auge nel dibattito pubblico nostrano. In primo luogo, non e’ vero che l’Italia e’ il paese con il cuneo fiscale piu’ alto tra i paesi Ocse.
Prima dell’Italia si posizionano, infatti, il Belgio con un cuneo fiscale del 53,3%, la Germania con un valore che si attesta al 49,7% e solo al terzo posto c’e’ l’Italia, dove esso raggiunge quota 47,7%, molto simile a quello registrato in Francia (47,6 %) e in Austria (47,4 %).
Insomma, l’Italia e’ in buona compagnia per quanto riguarda le imposte sul lavoro; peccato che il ritmo con cui crescono redditi e salari dei lavoratori francesi, austriaci, tedeschi
e belgi sia da due decenni ormai ben al di sopra di quelli registrati in Italia.
Inoltre, sempre l’Ocse afferma che in Italia dal 2016 al 2017 la componente non salariale del costo del lavoro e’ continuata a diminuire. Un trend che e’ iniziato proprio nel primo decennio del secolo con le manovre di taglio al costo del lavoro, portate avanti dai governi di diverso colore politico.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Economia di mercato/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa – Fazi (2016)

Il “miracolo” delle esportazioni tedesche non e’ tanto da imputare a una maggiore produttivita’ o efficienza del sistema tedesco, quanto piuttosto alla politica di compressione dei salari e della domanda interna perseguita dall’establishment politico-economico tedesco nei primi anni Duemila, nonche’ al fatto che gli altri paesi del continente non hanno seguito la stessa politica salariale, ma hanno invece mantenuto un livello di domanda tale da poter assorbire le esportazioni tedesche, accumulando cosi’ ampi disavanzi commerciali (anche in virtu’ di bolle speculative alimentate proprio dal settore finanziario tedesco, che hanno permesso ai consumatori di questi paesi di continuare a importare prodotti della Germania).
Da cui si evince quanto sia fallace l’idea che il “modello tedesco”, nel medio-lungo termine, possa rappresentare un modello per l’eurozona o per l’Europa nel loro complesso, poiche’ risulta evidente che esso puo’ funzionare solo se c’e’ qualcuno che si fa carico di trainare le esportazioni, stimolando la domanda interna e tollerando ampi deficit commerciali.
Eppure uno degli scopi, piu’ o meno espliciti, delle misure di austerita’ imposte ai paesi della periferia in questi anni – che non hanno agito solo sul fronte della domanda pubblica per mezzo di tagli alla spesa statale, ma anche sul fronte della domanda privata per mezzo di politiche di flessibilizzazione del lavoro e compressione/riduzione dei salari reali (-23 per cento in Grecia, -7 per cento in Spagna ecc.) –e’ stato proprio quello di imporre a tutta l’Unione, in particolare all’eurozona, un modello strettamente export-led in cui la crescita e’ trainata in primo luogo dalle esportazioni (imitando appunto il modello tedesco).

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/