Lavoro/Saraceno

Francesco Saraceno – La riconquista. Perche’ abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela – Luiss (2020)

Secondo uno slogan che e’ a lungo andato di moda, con la flexicurity si dovrebbe passare dalla protezione del lavoro a quella del lavoratore.
Se sulla carta sembra una strategia vincente (si aumenta la competitivita’ dell’impresa senza nuocere al lavoratore), l’efficacia della flexicurity e’ in realta’ oggetto di dibattito tra gli economisti.
Essa riposa infatti su di una nozione molto restrittiva del rapporto di lavoro, trattato come qualunque altra merce, e ridotto a un contratto che puo’ essere sciolto a piacimento senza incorrere in costi eccessivi.
In realta’, l’esperienza di Paesi come la Germania e il Giappone mostra che rapporti di lavoro stabili consentono di annodare un insieme di relazioni, di creare competenze specifiche, che hanno un ruolo di primo piano nello spiegare la crescita della produttivita’.
Quindi, non e’ affatto detto che spezzettare e accorciare i rapporti di lavoro sia uno stimolo alla crescita e alla competitivita’. Ma anche prescindendo da considerazioni di ordine generale, nel contesto europeo la flexicurity ha rapidamente perso un pezzo, il “-curity”.
Nella gran parte dei Paesi europei le riforme dei mercati del lavoro si sono limitate ad aumentare la flessibilita’.
In un contesto di stagnazione della spesa sociale, la protezione del lavoratore licenziato e’ stata spesso trascurata, come anche l’investimento nelle politiche attive del lavoro.
Queste o erano assenti nelle riforme, o quando erano presenti sono state sottofinanziate, vittime di tagli e austerita’. Quasi ovunque, a partire dalla Germania, la precarieta’ del lavoro e’ aumentata e la protezione dei lavoratori diminuita.

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https://www.rivistailmulino.it/a/la-riconquista
https://www.europainmovimento.eu/europa/perche-abbiamo-perso-l-europa-e-come-possiamo-riprendercela.html
https://www.micromega.net/leuropa-vista-da-un-riformista/

Europa/Saraceno

Francesco Saraceno – La riconquista. Perche’ abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela – Luiss (2020)

La convinzione che l’euro e l’Europa siano intrinsecamente liberisti, e quindi irriformabili, rimane ben presente nel dibattito politico italiano, cristallizzato tra i sostenitori dello status quo e sovranisti piu’ o meno dichiarati.
Tuttavia, la contrapposizione esiste, sia pure sottotraccia, anche a livello europeo nonostante le spinte verso la dissoluzione siano oggi piu’ deboli che in passato.
Gli europeisti stanno perdendo la battaglia delle idee contro i sostenitori dei vari “exit”, perche’ ne accettano la premessa fondamentale secondo cui un’unione monetaria non puo’ funzionare senza unione politica.
Essendo quest’ultima poco piu’ che una chimera, la difesa del processo di integrazione risulta fortemente indebolita e puo’ solo appellarsi alla paura: uscire costerebbe troppo, lascerebbe i piccoli Paesi indifesi, e cosi’ via. L’argomento europeista viene ciclicamente proposto come “il meno peggio”, a fronte dell’instabilita’ delle esperienze di governo sovraniste.
Si tratta di argomenti validi in se’, che pero’ evidenziano solo i costi dell’abbandono del progetto europeo, ammettendo quindi implicitamente che esso non porti benefici (o che ne porti esclusivamente ai soliti noti).
La debole, debolissima linea del Piave (sperando che non diventi la linea Maginot) diventa allora l’affermazione, purtroppo molto comune, per cui “l’euro non si doveva fare, ma ora tornare indietro sarebbe una catastrofe”.

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Europa/Saraceno

Francesco Saraceno – La riconquista. Perche’ abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela – Luiss (2020)

E’ certamente vero, come sostengono molti euroscettici, che la moneta unica in Europa si e’ costruita mettendo l’accento quasi esclusivamente sugli aggiustamenti di mercato e su vincoli stringenti all’azione delle politiche monetarie e di bilancio.
Non e’ vero pero’ che questo e’ il corollario inevitabile dell’adozione di una valuta comune. Deve essere piuttosto fatto risalire all’ambiente intellettuale che dominava negli anni Novanta, quando furono scritte le “regole del gioco” dell’euro.
Il testo fondante della moneta unica, il trattato di Maastricht del 1992, fu discusso e approvato nel momento in cui nell’accademia si consolidava un “Nuovo Consenso” che emergeva dalla turbolenza teorica degli anni Settanta e Ottanta, recuperando e attualizzando il sistema di pensiero neoclassico sviluppatosi a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo […]
L’ortodossia del Nuovo Consenso ha dominato la politica economica e l’accademia fino alla crisi del 2008, arrivando (sia pure un po’ ammaccata) ai nostri giorni. Quindi, le scelte di politica economica e le istituzioni create dai Paesi avanzati, tra cui quelli europei, nell’ultimo trentennio, vanno collocate in questo contesto.
E’ interessante notare come la pressione per una riduzione del ruolo dello Stato nell’economia sia particolarmente forte in Europa, perche’ e’ proprio nei Paesi del vecchio continente che nel dopoguerra era stato abbracciato in modo piu’ convinto il modello dello Stato regolatore.
A partire dagli anni Ottanta il perimetro dello stato sociale e’ stato lentamente ma pervasivamente ridotto, il ruolo degli stabilizzatori automatici menomato, la regolazione congiunturale dell’economia sacrificata sull’altare della flessibilita’.

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Europa/Saraceno

Francesco Saraceno – La riconquista. Perche’ abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela – Luiss (2020)

Il secondo fattore che spiega la divergenza e la crisi di competitività della periferia della zona euro e’ un lungo processo di ristrutturazione dell’economia tedesca, fortemente influenzato dall’allargamento a Est dell’Unione europea.
Le imprese tedesche hanno riorientato le proprie catene del valore verso i Paesi dell’ex blocco sovietico, per beneficiare di costi del lavoro inferiori e dell’euro forte (che rendeva economiche le importazioni di beni intermedi consentendo di contenere i costi di produzione).
I grandi perdenti di questo riorientamento a Est della catena del valore sono i Paesi del Sud Europa (in particolare l’Italia) che sono stati rimpiazzati dai nuovi Stati membri come fornitori delle grandi imprese tedesche. Questo spiega perche’, contrariamente a quanto avveniva in passato, il rimbalzo dell’economia tedesca dopo la crisi finanziaria globale non ha trascinato con se’ i Paesi della cosiddetta periferia dell’Eurozona. Essendo la ripresa tedesca trainata dalle esportazioni, ne hanno beneficiato i Paesi che fornivano alla Germania i beni intermedi; quindi non piu’ l’Italia o la Spagna, che oggi vi esportano principalmente beni di consumo e sono state al contrario penalizzate dalla stagnazione della domanda interna d’Oltralpe

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