Societa’/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Popolo potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento – Einaudi (2020)

Uno dei modi piu’ detestabili con cui viene esercitata l’influenza del denaro e’ quello delle «porte girevoli», per via delle quali i politici ricevono una tangente, non nel presente ma per il futuro, sotto forma di un buon lavoro nel settore privato al termine della loro carica.
Il sistema delle porte girevoli e’ pervasivo e corrosivo.
Il fatto che chi lavora al Tesoro degli Stati Uniti o in altri dipartimenti governativi possa passare velocemente dal servire il paese al lavorare a Wall Street induce a chiedersi se non abbia servito Wall Street fin dall’inizio.
Ma il sistema e’ diffuso anche nel settore della difesa, dove i generali e altri alti ufficiali sembrano spostarsi senza soluzione di continuita’ dal servizio al paese al lavorare per i fornitori dell’esercito.

Info:
https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/capitalismo-progressista-un-ossimoro
https://www.italypost.it/popolo-potere-profitti-joseph-stiglitz/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/15/neoliberismo-stiglitz-per-superarlo-serve-un-capitalismo-progressista-che-recida-legami-tra-potere-economico-e-politica/5257897/

Geoeconomia/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Leregole per il futuro dell’unione- il Saggiatore (2020)

Con l’ascesa, nel 2012, del presidente Xi Jinping e, ancor piu’ con l’eliminazione, nel 2018, del limite massimo di durata del mandato, sono cambiate due cose: si e’ infranta la speranza che la Cina diventasse rapidamente, se non una democrazia liberale, almeno un po’ piu’ liberale; seconda cosa, la Cina fino allora concentratasi soprattutto sulla crescita economica, ha cominciato ad agire in modo da riconquistare il posto che le spetta sulla scena globale, come mostra per esempio l’iniziativa della Nuova via della seta (One Belt, One Road).
Queste novita’ hanno gettato nuova luce sul drastico trasferimento di potere geopolitico in corso.
All’inizio della trasformazione economica della Cina, i suoi livelli di reddito erano talmente bassi che nessuno a occidente riusciva a immaginare che cio’ potesse tradursi in una minaccia economica o strategica. Ma le cose sono cambiate, e in alcune aree d’importanza cruciale, come l’intelligenza artificiale o la guerra informatica, la Cina e’ ormai all’avanguardia.
Il sistema cinese di capitalismo di Stato ha buone possibilita’ di assicurare nei prossimi anni all’economia del paese una crescita nettamente superiore a quella degli Stati Uniti e dell’Unione europea, e di ridurre il divario di tecnologia e conoscenza rispetto all’occidente

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Da decenni l’Europa discute delle migliori prassi per il governo d’impresa.
Le aziende europee devono semplicemente massimizzare il valore dell’azienda per i loro azionisti o devono tenere conto degli interessi (spesso divergenti) di altri stakeholders?
Anche all’interno dello shareholder capitalism, il capitalismo dell’azionista (come viene spesso chiamato il primo approccio), c’e’ un dibattito: bisogna preoccuparsi del valore del mercato azionario odierno o del valore a piu’ lungo termine?
Nella pratica, il capitalismo dell’azionista negli Stati Uniti ha portato all’ossessione per il breve termine (short-termism). Ci si focalizza sul qui e ora, o per dirla in altri termini si cercano modi per far salire il prezzo delle azioni oggi senza curarsi della fattibilita’ a lungo termine dell’impresa.
Adottando questo approccio, le 
aziende spesso si caricano di debiti, tanto che finiscono per andare in bancarotta.
Gli stakeholders, invece, i portatori di interesse, sono un gruppo piu’ ampio che include i dipendenti, i clienti, le comunita’ locali e la societa’ in generale. Lo stakeholder capitalism, per sua stessa natura, deve tenere in considerazione il lungo termine.
Per buona parte degli ultimi due decenni, questi due gruppi hanno simboleggiato approcci opposti.
La Germania e’ il prototipo dello stakeholder capitalism, che caratterizza soprattutto le medie imprese tedesche (le Mittelstand), ma non solo.

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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Le norme su debito e disavanzo previste dai criteri di convergenza e dal Patto di stabilita’ e di crescita poggiavano su un equivoco di fondo: sull’idea che la gestione delle finanze pubbliche fosse simile a quella di una famiglia, e dunque implicasse restrizioni ferree e conseguenze terribili per chi spendeva al di sopra dei propri mezzi.
Per rampognare i paesi indisciplinati, la cancelliera tedesca Angela Merkel si e’ spinta a evocare il proverbiale personaggio della «massaia sveva», la mitica e gretta matriarca della Germania sudoccidentale.
All’inizio degli anni 2000 l’esperienza secondo cui, quando l’economia si contrae, i prestiti possono trainare la domanda aggregata e aiutare l’economia a tornare alla piena occupazionepareva del tutto dimenticata almeno in Germania e ai piani alti dell’Unione.
I criteri di convergenza e il Patto di stabilita’ erano semplici dichiarazioni di fede, non certo i risultati di un’analisi seria. L’abbandono delle lezioni apprese dagli economisti nel corso del Novecento si e’ ulteriormente aggravato all’arrivo della crisi. Il Patto di stabilita’ (e di crescita, ma di questa ormai non si parlava quasi piu’) ha partorito una creatura orribile: l’austerità […]
In caso di brusca frenata della domanda aggregata, intervenire con la spesa pubblica appariva ormai inconcepibile a un’Unione europea votata anima e corpo alla regola del «tre e sessanta» […]
Il Patto di stabilita’ non ha funzionato ne’ in teoria ne’ in pratica.
A distanza di vent’anni possiamo dire che il Patto di stabilita’ e crescita concordato dai leader europei e’ stato un fallimento dal suo stesso punto di vista: non ha portato ne’ crescita, ne’ stabilita’, ne’ gli altri ingredienti del benessere di una societa’.
Quel patto ha semmai favorito un forte aumento della disoccupazione.
L’osservanza o meno delle regole del «tre e sessanta» si e’ rivelata un pessimo predittore dei risultati economici di un paese.

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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Uno degli errori di fondo commessi dall’Unione europea al momento dell’introduzione del mercato unico, che ha liberalizzato la migrazione delle persone e la mobilita’ dei capitali, e’ stato l’insufficiente attenzione dedicata all’armonizzazione fiscale.
Sul piano teorico, l’idea alla base del mercato unico era che avrebbe consentito alle imprese di spostarsi dove i costi erano minori e da li’ spedire le proprie merci verso tutta Europa: cio’ avrebbe provocato un aumento della domanda di lavoro nei paesi a bassi salari, accelerando cosi’ la convergenza delle economie in Europa.
Le imposte possono pero’ distorcere questo processo apparentemente armonico. Per le imprese cio’ che conta sono i rendimenti al netto delle imposte: percio’ esse sono sensibili – oltre che ai salari, all’efficienza del lavoro, al contesto economico generale, ai costi di trasporto e agli altri fattori di produzione – anche alle imposte da pagare. E nel brevissimo termine l’unica variabile che i paesi possono modificare, per attrarre le imprese, e’ proprio l’aliquota sul reddito d’impresa […]
Le prove di questa gara fiscale al ribasso sono davanti ai nostri occhi.
Tra il 1995 e il 2018 l’aliquota media sul reddito delle societa’ in Europa e’ scesa dal 35 al 22 per cento. Ed e’ prevedibile che la discesa prosegua, visto che Francia, Grecia, Olanda e Svezia hanno gia’ annunciato ulteriori riduzioni delle aliquote.
Riducendo le aliquote, un paese punta a guadagnare posti di lavoro e gettito fiscale, sperando che l’incremento della base imponibile compensi ampiamente la perdita di gettito immediata dovuta alla riduzione di aliquote.
Tuttavia, questi guadagni avvengono in gran parte a scapito di altri paesi, soprattutto altri membri dell’Unione europea.
Naturalmente, questa strategia di rob-thy-neighbour [rapina il tuo vicino] e’ del tutto incompatibile con lo spirito di solidarieta’ europeo.

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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Per aiutare le banche a superare la fase calda della crisi finanziaria, sono state elargite alle banche commerciali centinaia di miliardi di euro: e’ stato il piu’ gigantesco programma di aiuti di Stato al settore privato mai attuato in Europa.
Gran parte di questo denaro e’ stata erogata proprio dalla Bce, sotto forma di prestiti a tassi inferiori a quelli di mercato, erogati senza alcuna decisione dei governi eletti, e nemmeno dei leader Ue.
Nessun programma di assistenza sociale mai realizzato per alleviare le sofferenze dei comuni cittadini puo’ reggere anche solo lontanamente il confronto, per dimensioni, con questo programma.
La Bce e’ arrivata addirittura ad acquistare titoli di grandi aziende, tedesche e non solo, penalizzando in tal modo le piccole e medie imprese, che hanno un ruolo cruciale in paesi periferici come la Grecia e il Portogallo.
Forse gli esempi piu’ inquietanti dell’operato della Bce durante la crisi sono quelli in cui la banca si e’ avvalsa della propria posizione (di potere) per imporre cambiamenti di politiche che esulavano totalmente dal suo mandato di politica monetaria.
Essendo la Bce isolata per legge dal controllo politico democratico, sarebbe stato lecito attendersi che essa, nell’esercitare la propria influenza, restasse rigorosamente nell’ambito della politica monetaria: ma i suoi responsabili non si sono minimamente sognati di attenersi a questo vincolo. Per esempio, la Bce ha fatto pressione sull’Irlanda affinche’ la ristrutturazione finanziaria varata nel 2010 non comportasse perdite per gli obbligazionisti delle banche: lo Stato irlandese ha addossato cosi’ ai propri contribuenti costi che avrebbero dovuto essere sopportati da debitori e obbligazionisti delle banche. Analogamente, nel 2011 la Bce ha preteso dalla Spagna, in cambio dell’aiuto finanziario fornito, un elenco dettagliato di misure di riduzione salariale e liberalizzazione. E nel 2015 ha insistito con la Grecia affinche’ si impegnasse a perseguire un forte avanzo di bilancio, sebbene il Fmi dichiarasse urgentemente necessaria una ristrutturazione del debito greco.
Durante la crisi la Bce, come si e’ visto bene nel caso della Grecia, ha esercitato un potere enorme per imporre le richieste della cosiddetta troika di cui essa stessa faceva parte (insieme alla Commissione europea e al Fmi). Nell’ambito dei suoi poteri, la Bce era in grado di paralizzare il sistema finanziario, e non ha esitato a farlo, costringendo la Grecia nell’estate del 2015 (al culmine dello scontro tra la troika e il governo Tsipras) a limitare fortemente i prelievi di contante dalle banche.
Particolarmente preoccupante e’ che ad avvalersi di queste forme di pressione sia stata un’istituzione soggetta a scarso controllo politico, culturalmente vicina al settore finanziario e con un mandato e una governance su cui gia’ da piu’ parti erano stati sollevati dubbi.

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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Il Patto di stabilita’ e crescita non solo impediva ai paesi in crisi di spendere in disavanzo per stimolare la propria economia, ma li costringeva addirittura a varare provvedimenti recessivi.
La frenata dell’economia di questi paesi provocava a sua volta una riduzione del gettito fiscale e un aumento della spesa pubblica (per sussidi di disoccupazione e assistenza sociale). E il limite del 3 per cento di disavanzo rispetto al Pil costringeva quei governi ad aumentare le tasse o ridurre la spesa, aggravando ulteriormente la recessione.
Questi errori macroeconomici hanno finito per compromettere anche il progetto europeo, nel momento in cui i cittadini hanno iniziato a dubitare della bonta’ di politiche e strutture che non avevano portato la promessa prosperita’.
Si puo’ dire che le politiche e le strutture europee abbiano accentuato la frenata dell’economia […]
L’incapacita’ di reagire efficacemente alla crisi, inoltre, ha reso piu’ difficile affrontare alcuni problemi che potrebbero presentarsi in futuro. Per esempio, ha indebolito la solidarieta’ europea. Le continue reprimende ai paesi in crisi, accusati dagli altri, Germania in prima fila, di essere pigri e spendaccioni, hanno alimentato risentimenti e divisioni […]
La realta’ e’ che l’Europa, prima o poi, si trovera’ a dover affrontare un altro forte shock, e non c’e’ ragione di credere che sapra’ affrontarlo meglio.

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Economia di mercato/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Eccoci in un mondo nuovo in cui le grandi multinazionali hanno una potenza paragonabile, per molti versi, a quella degli Stati-nazione: influiscono sulle leggi, contribuiscono a distruggere l’ambiente e indeboliscono addirittura il senso di autodeterminazione.
Le tendenze nazionaliste oggi presenti in tanti movimenti si spiegano, in parte, come reazione a questo stato di cose.
Le multinazionali sono riuscite a far passare politiche
che permettono loro maggiori profitti e un maggior potere di mercato, a danno dell’interesse generale della societa’, come si vede a proposito del diritto alla privacy, della proprieta’ dei dati o dei cibi privi di Ogm […]
La globalizzazione avrebbe dovuto creare posti di lavoro e accelerare e consolidare la crescita economica, ma in realta’ non ha fatto ne’ l’una ne’ l’altra cosa: semmai, spesso ha fatto il contrario. Inoltre, ha ridotto il potere negoziale dei lavoratori e innescato una concorrenza regolatoria al ribasso tra i paesi.
Non era affatto inevitabile che la globalizzazione avesse tutte queste conseguenze negative: l’integrazione dei mercati globali e’ potenzialmente in grado di creare ricchezza e benessere.
La globalizzazione, pur essendo stata presentata al pubblico come impegno a creare una effettiva parita’ di condizioni sul mercato, in realta’ e’ stata gestita per conto e nell’interesse dei grandi gruppi multinazionali.
Il risultato e’ un sistema che offre spazi enormi all’elusione e all’evasione fiscale, tende a creare concentrazioni di potere di mercato e incanala verso l’alto i benefici della globalizzazione.
Per le grandi multinazionali e per la ristretta minoranza mondiale di superricchi, la globalizzazione ha funzionato benissimo. Gli elettori europei e americani, a vari livelli, lo hanno capito. E quando guardano verso figure come Trump esprimono,
sia pure in modo sbagliato, un rifiuto dello status quo.

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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Dal 1999 al 2008, in Germania, il costo unitario del lavoro nel settore manifatturiero (trainato dalle esportazioni) e’ diminuito del 9 per cento.
Tra il 2000 e il 2005 la domanda interna tedesca e’ addirittura diminuita in termini reali. Com’era prevedibile, nello stesso periodo il tasso medio annuo di crescita nominale dei ricavi delle importazioni tedesche dagli altri paesi dell’Eurozona e’ a sua volta bruscamente diminuito.
L’approccio tedesco si e’ tradotto in una vera e propria svalutazione interna, effettuata nell’arco di un decennio e resa possibile da un ampio consenso sociale. I sindacati dei lavoratori hanno scelto la moderazione salariale per salvaguardare il numero assoluto dei posti lavoro, accettando un calo delle retribuzioni. E le imprese ne hanno raccolto i risultati, in termini di aumento dei ricavi.
L’opinione pubblica tedesca si e’ pavoneggiata per i successi della propria macchina dell’export, ammirata in tutto il mondo.
E le leggi dell’Unione europea, che vietano l’erogazione di sussidi a singole aziende, non proibivano questa strategia di assistenza su larga scala a chi e’ in situazioni di bisogno.
E’ stato questo sostegno a spianare la strada alle riduzioni di salari e redditi. Ma queste ultime hanno avuto ripercussioni anche fuori della Germania. Il fatto che il governo offrisse alla societa’ un cuscinetto per attutire le conseguenze peggiori dovute ai salari e ai redditi bassi produceva effetti non molto lontani da quelli che sarebbero risultati dall’erogazione di puri e semplici sussidi alle imprese, che sarebbero stati tacciati di concorrenza sleale e forse perfino vietati dalle regole europee sugli aiuti di Stato.
Le profonde spaccature nell’Eurozona erano praticamente preordinate. L’atteggiamento tedesco era una riedizione delle politiche di beggar-thy-neighbor [impoverisci il tuo vicino] che avevano afflitto il sistema delle valute in Europa negli anni novanta (e il mondo dopo lo scoppio della Grande depressione).
Anziche’ deprezzare la propria moneta per promuovere le esportazioni, la Germania ora svalutava una variabile che, nonostante l’euro, poteva ancora controllare direttamente: il prezzo del proprio lavoro.

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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Nel 2008 una crisi finanziaria, inizialmente quasi impercettibile e poi inarrestabile, ha innescato in Europa quella che e’ diventata una crisi prima economica e poi sociale.
Tutte le crisi prima o poi passano: ma, nel valutare un sistema economico, cio’ che conta non e’ che la crisi sia finita, ma il tempo che ci vuole per arrivare a una completa ripresa, le sofferenze inflitte tanto a lungo ai cittadini e la vulnerabilita’ del sistema a un’altra crisi.
In Europa le conseguenze della crisi finanziaria e della recessione sono state inutilmente gravi, lunghe e dolorose. Il divario tra la condizione attuale dell’economia e quella in cui si sarebbe trovata in assenza di crisi si misura ormai in trilioni di euro. E ancor oggi, un decennio dopo lo scoppio della crisi, la crescita rimane anemica e fragile.
Il fenomeno che meglio di ogni altro compendia gli effetti della crisi finanziaria del 2008 e’ la disoccupazione, che e’ aumentata in quasi tutti i paesi, e in alcuni di essi ha raggiunto livelli vertiginosi.
Dieci anni dopo, in gran parte dell’Unione la disoccupazione rimane inaccettabilmente alta, ma i leader europei continuano a preoccuparsi degli eventuali costi futuri dell’aumento del debito e del disavanzo in molti paesi, e a disinteressarsi delle conseguenze devastanti della crisi per tanti europei […]
Oggi un gran numero di giovani non ha alcuna possibilita’ di trovare un lavoro sicuro o gratificante in linea con le proprie capacita’ e aspirazioni: tra coloro che hanno meno di 25 anni, e quelli che non hanno completato gli studi secondari superiori, il tasso di disoccupazione medio europeo e’ il doppio di quello complessivo: rispettivamente 18,5 e 17 per cento.
E’ stato un decennio di occasioni perdute, nel corso del quale la disoccupazione di massa e’ diventata causa e al tempo stesso effetto della disuguaglianza. Molti lavoratori anziani che avrebbero potuto continuare a dare un contributo alla societa’ non ne hanno avuto la possibilita’; i giovani hanno dovuto fare a meno di quella prima fase di sviluppo delle competenze che e’ essenziale per la loro formazione e che incidera’ sulla loro crescita.

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