Una constatazione forse scontata, ma che e’ bene ribadire a scanso di equivoci.
Malgrado i guasti sociali, ecologici e politici del capitalismo industriale e malgrado si moltiplichino, specie in Occidente, gli appelli a concepire e perseguire modelli di sviluppo alternativi, e’ sin qui risultato impossibile sollevare un paese dalla poverta’ senza ricorrere a un intenso sviluppo industriale.
Il senso stesso del termine «sviluppo», in ambito economico e sociale, ha finito per coincidere con l’iter di industrializzazione e con i cambiamenti culturali, materiali e psicologici che l’organizzazione di una societa’ industriale comporta […]
Ma perche’ l’industria ha questa ineguagliata capacita’ di incidere sullo sviluppo di un paese?
Perche’ la meccanizzazione delle attivita’ economiche mediante il vapore, i motori a combustione interna e l’elettrificazione alimentata da varie fonti energetiche moltiplica la forza umana. La moltiplica al punto da consentire al lavoro di sfidare le nefaste profezie malthusiane e di assorbire, specie all’inizio del processo, schiere di lavoratori poco specializzati in settori ad alta produttivita’.
Ampie fasce di popolazione con impieghi produttivi: nessun’altra forma di economia e’ finora riuscita a coniugare i due elementi. Non l’agricoltura e l’artigianato preindustriali, che impiegavano molti individui ma con bassi livelli di produttivita’, non i servizi avanzati (come la finanza o le dot.com), che viceversa di norma sacrificano la quantita’ d’impiego alla produttivita’.
Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/deglobalizzazione-intervista-a-fabrizio-maronta/
https://www.letture.org/deglobalizzazione-fabrizio-maronta
