Lavoro/Fana

Marta Fana, Simine Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

L’assunto incontrastato che domina il dibattito pubblico e’ che ogni provvedimento del governo deve fungere da stimolo alla produttivita’ del lavoro per rendere le imprese piu’ competitive.
Parlare solo di produttivita’ del lavoro, pero’, e non dell’intera struttura produttiva o dei costi totali per ciascuna impresa, e’ un atto deliberato.
Significa porre al centro della questione solo una sua parte, evitando di far accendere i riflettori sugli altri fattori produttivi che dipendono unilateralmente dalle scelte aziendali, come ad esempio il tipo di macchinari impiegati e quindi gli investimenti.
Puntano sempre il dito contro il costo del lavoro.
Tutti gli sforzi del governo, qualsiasi esso sia, devono necessariamente essere orientati alla compressione del costo del lavoro: salari, contributi sociali e previdenziali.
Come detto, in Italia questo ritornello va avanti da diversi decenni e la scarsa dinamica dei salari e’ fatta dipendere proprio dagli scarsi livelli di produttivita’ del nostro sistema economico […]
La cattiva fede dei sostenitori del taglio ai salari come volano della produttivita’ finisce per occultare la realta’ di un tessuto produttivo che nell’ultimo decennio ha vissuto un progressivo impoverimento, per cause non certo misteriose, ma tutte interne al processo di accumulazione capitalistico, sia in ambito nazionale che internazionale, Europa compresa.
Di nuovo: dalla crisi del 2008, infatti, l’industria manifatturiera italiana ha perso circa il 15% del suo apparato produttivo, mentre il volume in termini di valore aggiunto nel 2017 e’ di
10 miliardi in meno rispetto a quello registrato nel 2007, secondo quanto emerge dai dati del Rapporto annuale 2018 dell’Istat. Per non parlare dello slittamento dell’occupazione dai settori industriali a quelli dei servizi a basso valore aggiunto (alloggi, ristorazione, magazzinaggio).
Queste dinamiche dovrebbero spingere le forze di governo ad avviare una seria politica di investimenti, capaci di colmare nel medio periodo il gap tecnologico e di specializzazione che attanaglia l’economia italiana, unitamente a una politica salariale che sia almeno dignitosa […]
Un sistema produttivo che puo’ continuare ad accaparrarsi quote di profitto, aumentando il saggio di sfruttamento della forza lavoro, non ha alcuna urgenza a investire per migliorare la propria dotazione di capitale.
Quello che e’ avvenuto in Italia dagli anni Novanta sino al secondo decennio degli anni Duemila e’ esattamente questo: i profitti accumulati dalle imprese non sono stati reinvestiti nell’economia, generando un aumento della rendita tra il 1990 e il 2013 dell’84%, mentre la quota degli investimenti in rapporto ai profitti e’ caduta del 47%

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Lavoro/De Biase

Luca De Biase – Il lavoro del futuro – Codice (2018)

Si delineano alcune evidenze:
1. C’è un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Ma se chi non innova perde occupazione, chi innova puo’ crearne.
2. Per ora, l’intelligenza artificiale non riduce il lavoro, anzi ne crea. Ma alcune tecnologie eliminano posti in fretta e creano occupazione lentamente.
3. La lentezza e’ dovuta al fatto che per usare bene il digitale occorre una cultura nuova.
4. Per adattare il modo di pensare alla grande trasformazione non occorre tanto “flessibilita’”, quanto “strategia” progettuale.
5. Un’azienda che coinvolge i collaboratori nel progetto di migliorare la produttivita’ e creare prodotti straordinari puo’ crescere, automatizzare la produzione e aumentare l’occupazione.
6. Le aziende innovative tendono sempre meno a comprare il tempo delle persone e sempre piu’ a comprare la loro capacita’ di realizzare progetti.
7. Esiste una tendenza alla polarizzazione: da una parte, persone con elevate conoscenze e ottimi risultati economici; dall’altra, lavoratori con capacita’ e reddito limitati.
8. Mentre le grandi aziende tendono a espellere manodopera alle dirette dipendenze, possono candidarsi come abilitatori di ecosistemi capaci di sviluppare piu’ posti di lavoro.
9. Due scenari si consolidano: a) le piattaforme parcellizzano il lavoro in microattivita’ sottopagate e b) servono alla cooperazione necessaria per generare beni comuni.
10. Occorre una formazione che specializzi e nello stesso tempo apra la mente alla consapevolezza del cambiamento.
11. L’ambito nel quale si progettano e realizzano le soluzioni piu’ concrete e’ quello territoriale. Con la partecipazione di imprese, universita’, enti locali.
12. Per affrontare il futuro occorre saper cambiare, mantenendo pero’ una direzione di fondo: ci si prepara ibridando i saperi e assorbendo in profondita’ le materie fondamentali.
13. Anche i direttori delle risorse umane si modernizzano, e lo fanno guardando al lungo termine: come si investe nelle macchine, si deve investire nelle persone.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/lavoro-del-futuro-luca-de-biase/
https://opentalk.iit.it/rubrica-book-review-il-lavoro-del-futuro/

Lavoro/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Uno dei maggiori ostacoli all’accumulazione sostenuta del capitale e al consolidamento della classe capitalista negli anni sessanta e’ stato il lavoro.
In Europa come negli Stati Uniti c’era penuria di manodopera; i lavoratori erano ben organizzati, ragionevolmente ben retribuiti e avevano peso politico.
Il capitale aveva bisogno di attingere a bacini di manodopera meno cara e piu’ docile, e c’erano vari espedienti per farlo. Uno era incoraggiare l’immigrazione […]
Alla fine degli anni sessanta il governo francese sovvenzionava l’importazione di manodopera dal Nord Africa, i tedeschi accoglievano i turchi, gli svedesi incoraggiavano l’immigrazione degli iugoslavi e i britannici attingevano agli abitanti del loro antico impero.
Un altro modo per accedere a bacini di manodopera a basso costo era quello di sviluppare tecnologie a bassa intensita’ di lavoro, come la robotizzazione nella fabbricazione di automobili, che creavano disoccupazione […]
Se tutto cio’ non avesse sortito gli effetti desiderati, c’erano comunque persone come Ronald Reagan, Margaret Thatcher e il generale Augusto Pinochet pronte a intervenire, armate della dottrina neoliberista, determinate a ricorrere al potere dello Stato per schiacciare le organizzazioni dei lavoratori. Pinochet e i generali argentini lo fecero con la forza militare; Reagan e la Thatcher ingaggiarono uno scontro frontale con i grandi sindacati, sia direttamente – come quando Reagan mise in atto una prova di forza con i controllori del traffico aereo e la Thatcher si scontro’ violentemente con i sindacati dei minatori e dei lavoratori editoriali –, sia indirettamente, attraverso la creazione di disoccupazione […]
Il capitale aveva anche la possibilita’ di recarsi direttamente la’ dove si trovava l’eccedenza di manodopera […] Inondate di un’eccedenza di capitale, le grandi imprese statunitensi avevano cominciato a trasferire la produzione all’estero gia’ alla meta’ degli anni sessanta, ma questo movimento ha preso slancio soltanto un decennio piu’ tardi […]
Il capitale aveva ormai accesso ai bacini di manodopera a basso costo del mondo intero. Quel che e’ peggio, il crollo del comunismo, avvenuto bruscamente nell’ex blocco sovietico e gradualmente in Cina, ha poi aggiunto circa due miliardi di persone alla forza lavoro salariata global.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Lavoro/Bauman

Zygmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

La flessibilita’ e’ diventata la nuova parola d’ordine, che sta a significare vivere nell’incertezza con poche regole, che possono per giunta essere cambiate unilateralmente durante il gioco.
Su queste sabbie mobili non si puo’ certo costruire nulla di duraturo. E la prospettiva di fondare sul lavoro un’identita’ permanente e’ semplicemente esclusa per la stragrande maggioranza delle persone (salvo forse, almeno per il momento, nel caso di quei pochi che svolgono attivita’ altamente qualificate e privilegiate).
Cio’ non di meno, questo grande cambiamento non e’ stato vissuto come uno sconquasso o una minaccia proprio perche’ comporta una ridefinizione dell’identita’ individuale sganciata ormai da ogni ancoraggio alle vecchie attivita’ professionali[…]
Le tendenze oggi in atto in tutto il mondo spingono le economie verso la produzione di beni e servizi effimeri, destinati a breve vita, in un quadro generale di precarieta’ dove prevale il lavoro interinale, flessibile e a tempo parziale.
Al pari dell’attuale mercato del lavoro, qualunque modello di vita prescelto non deve essere duraturo, bensi’ variabile in breve tempo o senza preavviso e aperto a tutte le opzioni o quasi.
Il futuro e’ destinato a riservarci molte sorprese.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Analizzando la struttura occupazionale italiana, tra il 1993 e il 2016, cosi’ come emerge dai dati dell’Indagine sui redditi e la ricchezza delle famiglie (Shiw, acronimo di Survey on Household Income and Wealth) a cura della Banca d’Italia, sono evidenti alcuni cambiamenti di fondo che aiutano a comprendere tanto la divisione del lavoro quanto l’evoluzione dei redditi da lavoro.
La prima, importante conferma e’ che la classe lavoratrice non e’ affatto scomparsa in questi decenni, ma anzi il numero di lavoratori inquadrati come operai o affini, ovvero con basse qualifiche professionali, che riflettono anche il livello dei salari, e’ cresciuto.
Sul totale dei lavoratori, gli operai aumentano dal 36,32 al 39,8% […]
In termini quantitativi e’ come se gli operai del settore manifatturiero si fossero spostati nei comparti del commercio, del magazzinaggio, del turismo e della ristorazione.
Modifiche che interessano notevolmente dal punto di vista qualitativo il tessuto produttivo del nostro paese: da un settore traino dello sviluppo economico, la manifattura – sebbene mai maggioritaria in termini occupazionali –, a settori del terziario a scarsissimo valore aggiunto.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Lavoro/Deneault

Alain Deneault – La mediocrazia – Neri Pozza (2017)

Il sindacalismo e’ e rimane un soggetto politico, oppure ormai si confonde con le regole flessibili e strettamente manageriali di quel che e’ racchiuso oggi nella parola «governance»?
La politica definisce la capacita’ di deliberare sui principi che regolano la vita in societa’, capacita’ che i membri di una comunita’ istituita si riconoscono.
Agire politicamente implica dunque il fatto di sostenere la propria posizione e la propria azione al di la’ delle coordinate sociali entro le quali ci restringono alcune forme del potere costituito, per deliberare sull’insieme delle disposizioni che fanno si’ che ci si trovi a questo punto. Dunque, piu’ che stare al gioco della logica manageriale, borsistica, capitalista e ultraliberale che prevale storicamente, nella speranza di trarne un tornaconto, si dovrebbe agire per instaurare nuove regole formali.
Quanto alla governance, essa include i rappresentanti sindacali in una partnership che mette l’uno accanto all’altro attori dei quali si prevede apertamente la disparita’.
Sottomessi all’imperativo del «consenso », i sindacati sono invitati a questi processi piu’ per portare il concorso del movimento dei lavoratori verso prospettive di sviluppo industriale e progetti motivati dall’alta finanza, che per definire davvero alla base le regole che riguardano la vita nella societa’.
Pertanto, per il movimento dei lavoratori, come per la rappresentanza ecologista, autoctona e locale, si tratta di provare a inserire nel progetto piu’ ampio del capitalismo degli interessi minori che possano apparire ai suoi membri come una serie di «passi nella giusta direzione», «concessioni ottenute», «vittorie morali», «partenariati strategici» e altre simili arguzie. La «governance» si presenta ancora una volta come un’arte della gestione privata innalzata al rango della politica; di conseguenza, non puo’ che puntare a impadronirsi della politica stessa.[…]
La questione poggia sulla scelta tra la politica e la governance, ovvero se il movimento sindacale deve continuare a integrarsi nel capitalismo partecipandovi in modo fattivo  – per esempio costituendo dei fondi sindacali messi a disposizione di aziende quotate in Borsa – e rendendolo dunque accettabile da parte dei membri delle sue organizzazioni, o se invece deve portare avanti una lotta concertata contro i suoi effetti iniqui deleteri e fatalmente distruttivi.
Questa problematica, che ha drammaticamente segnato l’inizio del XX secolo. […] e’ tuttora molto presente.

Info:
https://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2017/01/25/news/il_trionfo_della_mediocrazia_spiegato_dal_filosofo_canadese_alain_deneault-156837500/
http://blog.ilgiornale.it/franza/2018/05/27/la-mediocrazia-un-libro-magistrale-del-canadese-alain-deneault-ne-traccia-il-pensiero-e-spiega-come-i-mediocri-hanno-preso-il-potere/

Lavoro/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa – Fazi (2016)

Recentemente e’ stato il Fondo Monetario Internazionale, nel World Economic Outlook dell’aprile 2015, a sostenere che non vi e’ alcuna evidenza circa un effetto positivo della flessibilita’ sul potenziale produttivo […]
L’analisi dell’FMI identifica nell’invecchiamento della popolazione e nella carenza di investimenti i principali fattori che spiegano il rallentamento della crescita, tanto nelle economie emergenti che in quelle avanzate.
Secondo l’FMI gli effetti delle riforme strutturali sulla produttivita’ totale dei fattori sono importanti nei casi di deregolamentazione del mercato dei beni e dei servizi, di utilizzo di nuove tecnologie e di forza lavoro piu’ qualificata, di maggiore spesa per le attivita’ di ricerca e sviluppo. Al contrario la deregolamentazione del mercato del lavoro non sembra avere effetti statisticamente significativi sulla produttivita’.
Per questo il Fondo suggerisce che nelle economie avanzate, vi e’ la necessita’ di un costante sostegno alla domanda per incoraggiare gli investimenti e la crescita del capitale e quindi l’adozione di politiche e di riforme che possono aumentare in modo permanente il livello del prodotto potenziale […].
Queste politiche dovrebbero coinvolgere le riforme del mercato dei prodotti, maggiore sostegno alla ricerca e sviluppo […] e un uso piu’ intensivo di manodopera altamente qualificata e di beni capitali derivanti dalle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni […], più investimenti in infrastrutture per aumentare il capitale fisico e politiche fiscali e di spesa progettate per aumentare la partecipazione della forza lavoro. Insomma, l’idea che la deregolamentazione del mercato del lavoro abbia effetti espansivi non e’ meglio fondata dell’ipotesi – dimostratasi ampiamente fallimentare – che il consolidamento fiscale produca maggiore crescita del PIL.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Lavoro/Crouch

Colin Crouch – Identita’ perdute. Globalizzazione e nazionalismo – Laterza (2019)

Uno scontro epico tra globalizzazione e un risuscitato nazionalismo sta trasformando le identita’ e i conflitti politici in tutto il mondo […]
Mentre in un primo momento la globalizzazione sembrava destinata semplicemente a offrire piu’ a buon mercato prodotti dall’estero e nuove opportunita’ per le esportazioni, la globalizzazione ha significato per molti la perdita non solo del proprio lavoro individuale ma di intere fabbriche di lunga tradizione e delle comunita’ e degli stili di vita a esse associati, con un’ulteriore spirale di disorientamento dovuta alle tradizioni straniere e al gran numero di persone provenienti da altre culture, che hanno invaso e oscurato gli abituali punti di riferimento.
L’inquietudine e la preoccupazione che ne conseguono sono avvertite parimenti
– dagli italiani, arrabbiati con l’Unione Europea (UE) che non fa abbastanza per convincere gli Stati dell’Europa centrale ad accogliere una parte dei rifugiati arrivati sulle coste del paese, e allo stesso tempo dai cittadini dell’Europa centrale, furiosi con l’UE perche’ chiede loro di farlo;
– dagli ex operai dell’industria siderurgica americana e francese, che hanno visto dissolvere le loro fabbriche e le comunita’ locali;
– dai tedeschi, che parlano della loro Heimat e hanno la sensazione che sia qualcosa che ormai hanno perduto;
– da russi, britannici e austriaci, presi dalla nostalgia per i loro imperi del passato e infastiditi dal fatto che in un mondo globalizzato la «sovranita’» debba essere condivisa;
– da appartenenti alle societa’ islamiche, che si sentono invasi tanto dagli aerei militari americani e britannici quanto dalla cultura e dai costumi sessuali occidentali;
– e da persone di tutta Europa e Nord America, sconvolte e inorridite dal terrorismo islamico e che non gradiscono la presenza tra le loro strade di donne che indossano l’hijab.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/politica/14268-alessandro-visalli-colin-crouch-identita-perdute-globalizzazione-e-nazionalismo.html
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858134061

Lavoro/Crouch

Colin Crouch – Identita’ perdute. Globalizzazione e nazionalismo – Laterza (2019)

Se ridurre l’offerta di lavoro fosse davvero una mossa positiva, allora le citta’ e le regioni che subiscono improvvise perdite di popolazione dovrebbero avere le economie locali piu’ vivaci.
In realta’ assistiamo alla situazione opposta.
La riduzione della forza lavoro comporta un calo dei consumi, dunque un calo della domanda, dunque salari piu’ bassi, una maggiore perdita di popolazione man mano che le persone emigrano e cosi’ via in una spirale ininterrotta.
L’immigrazione e’ solo una parte della questione complessiva del libero scambio in libero mercato: l’economia di mercato
e’ un gioco a somma positiva, ma crea problemi, momenti difficili in cui la velocita’ e le dimensioni del cambiamento generano insicurezza nella vita delle persone.
Questi problemi devono essere affrontati da politiche specifiche, non da un rifiuto complessivo del modello del libero scambio. Nel caso dell’immigrazione, le minacce ai livelli salariali (se esistono) possono essere affrontate mediante politiche che garantiscano un salario minimo.
Le inadeguatezze nella formazione possono essere risolte attraverso politiche di formazione pubblica.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/politica/14268-alessandro-visalli-colin-crouch-identita-perdute-globalizzazione-e-nazionalismo.html
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858134061

Lavoro/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa. Come un’elite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

Due strumenti intesi a contrastare il crescente impoverimento della societa’ sono il reddito di cittadinanza e il reddito minimo garantito.
Il primo consiste nel garantire un reddito incondizionato, universale e illimitato nel tempo a tutti i residenti, indipendentemente dalla condizione lavorativa del soggetto; il secondo – gia’ diffuso, in forme diverse, in vari Stati europei – verrebbe invece devoluto solo a chi dispone di un reddito inferiore a una determinata soglia ritenuta di poverta’, dunque ai working poor (coloro che pur disponendo di un lavoro retribuito vivono in ristrettezze economiche) e ai disoccupati, per un periodo temporale definito e condizionato dall’effettiva attivita’ di ricerca lavorativa. Inoltre, il reddito minimo non e’ solitamente garantito su base individuale ma assegnato sulla base dei redditi dell’intero nucleo familiare […]
I due strumenti, a prima vista simili, sono in realta’ radicalmente diversi, e per questo al centro di un acceso dibattito in ambito politico e accademico: la differenza fondamentale del reddito di cittadinanza rispetto al reddito minimo garantito consiste nel fatto che, laddove quest’ultimo si inserisce nella logica dei sistemi di welfare oggi esistenti (generalmente finalizzati a ridurre la poverta’ nei periodi di disoccupazione), il reddito di cittadinanza si inserisce in un paradigma radicalmente diverso, in cui il reddito viene di fatto sganciato dal lavoro.
Secondo i fautori della proposta, questo avrebbe il beneficio, tra le altre cose, di favorire lo sviluppo di tutti quei “lavori” che sono svincolati dalla logica del mercato, tra cui quello degli artisti, dei genitori e dei volontari; secondo i critici, invece, il reddito di cittadinanza, oltre ad andare a beneficio di una larga fetta della popolazione che non ne ha bisogno, avrebbe l’effetto di “depotenziare” la battaglia per una piu’ equa ripartizione dei profitti in ambito lavorativo, prefigurandosi dunque come una forma di “elemosina sociale” finalizzata a portare avanti il processo di svalutazione del lavoro in corso.
Entrambe le posizioni hanno le loro ragioni e i loro torti e meritano di essere approfondite.

Info;
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/