Capitalismo/Stiglitz

Joseph Eugene Stiglitz – Il prezzo della disuguaglianza: Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro – Einaudi (2014)

Gli apologeti della disuguaglianza – e sono molti – sostengono al contrario che lasciare piu’ denaro a chi sta in cima alla scala sociale avvantaggerebbe tutti, in parte perche’ porterebbe a una maggiore crescita.
Questa teoria (in inglese trickle-down) ha un lungo pedigree, ma e’ da tempo screditata. Come abbiamo visto, un livello di disuguaglianza piu’ elevato non ha portato affatto a una crescita superiore […]
Si puo’ pensare a quanto e’ accaduto in termini di fette di torta. Se la torta fosse equamente divisa, tutti ne avrebbero una porzione della stessa grandezza, quindi il primo 1 per cento ne riceverebbe l’1 per cento. Di fatto, oggi ne riceve una fetta molto grande, circa un quinto dell’intera torta. Ma cio’ significa che chiunque altro ne ottiene una porzione piu’ piccola.
Ora, chi crede nella teoria delle ricadute favorevoli afferma che questa metafora risponde alla politica dell’invidia. Non si dovrebbe guardare alle dimensioni relative delle fette, ma alla loro dimensione assoluta.
Dare di piu’ ai ricchi porta a una torta piu’ grande, quindi, anche se gli strati poveri e medi della popolazione ricevono una parte piu’ piccola della torta, il pezzo che ottengono e’ in assoluto piu’ grande.
Vorrei che fosse cosi’, ma non lo e’.
In realta’ accade l’opposto: come abbiamo osservato, nel periodo in cui la disuguaglianza aumentava, la crescita e’ stata piu’ lenta e la dimensione della fetta distribuita alla maggioranza degli americani e’ andata diminuendo […]
Dal momento che viviamo una disuguaglianza tanto elevata, e poiche’ tale disuguaglianza sta aumentando, cio’ che accade al reddito (o Pil) pro capite non ci dice molto di quel che l’americano tipico sta vivendo. Se infatti i redditi di Bill Gates e Warren Buffett salgono, anche il reddito americano medio cresce.
Piu’ significativo e’ cio’ che sta accadendo al reddito mediano, il reddito della famiglia che si trova a meta’ della scala dei redditi, il quale negli ultimi anni, come abbiamo visto, quando non e’ sceso e’ rimasto stagnante.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-prezzo-della-disuguaglianza/
https://www.ocst.ch/il-lavoro/425-approfondimenti/2181-la-disuguaglianza-il-suo-prezzo-e-cio-che-si-puo-fare-per-eliminarla
https://tempofertile.blogspot.com/2013/06/joseph-stiglitz-il-prezzo-della.html
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/15721-joseph-stiglitz-per-combattere-le-disuguaglianze-bisogna-abbandonare-subito-le-idee-di-milton-friedman.html

Economia di mercato/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

Disuguaglianza e democrazia […]
La filosofia di fondo per sostenere una distribuzione squilibrata delle risorse economiche era (e in parte e’ ancora) la solita argomentazione «a cascata» (una percolazione verso il basso di cio’ che di positivo avviene nelle zone di vertice di una economia) e la preoccupazione principale e’ ancora una volta la dimensione della torta dei guadagni.
La visione tradizionale sosteneva che la disuguaglianza aumentasse il risparmio aggregato, il che a sua volta avrebbe prodotto un aumento degli investimenti e la crescita del PIL.
Questa catena causale teorica, tuttavia, non e’ cosi’ solida come potrebbe sembrare.
Il legame diretto tra risparmio e accumulazione di capitale e’ stato messo in discussione fin dagli anni Trenta, in particolare da John Maynard Keynes, che ha sottolineato il ruolo cruciale delle aspettative – piu’ che del risparmio – nel determinare la domanda di capitale reale. Inoltre, anche all’interno di un quadro di aspettative ottimistiche, il comportamento inerziale del settore bancario e finanziario – spesso piu’ incline alla speculazione finanziaria che a sostenere l’attivita’ delle imprese (almeno quelle prive di garanzie cospicue) – puo’ diventare un ostacolo imponente per il processo di accumulazione del capitale.
Il risparmio, in altre parole, non e’ di per se’ una condizione sufficiente per gli investimenti […]
Profitti elevati, uniti alla diminuzione dei salari, portano a una domanda di beni di consumo debole (a meno che il credito al consumo non sostenga la domanda). Quest’ultima circostanza porta ad aspettative al ribasso da parte delle imprese, scoraggiando il loro interesse per gli investimenti reali e aumentando la spinta alla speculazione finanziaria […]
Il ruolo crescente del sistema bancario e del settore finanziario in generale nonche’ la loro influenza sempre piu’ forte sul processo decisionale porta inevitabilmente alla deregolamentazione e a politiche fiscali meno progressive.
Questa spaccatura tra l’arricchimento dei pochi e l’interesse dei molti finisce per sabotare la crescita stessa: dagli anni Ottanta, il rallentamento della crescita economica e della produttivita’ nelle principali economie mondiali e’ diventato pressoche’ costante, contribuendo all’instaurarsi di un regime di instabilita’.
La torta e’ cresciuta meno del previsto, o si e’ decisamente ridotta […]
Gli studi degli anni Novanta hanno messo in luce che la risposta alla domanda se la disuguaglianza interna rallenti la crescita di una nazione e’ probabile che sia affermativa, anche se la direzione di causalita’ non e’ facile da accertare. Piu’ importante ancora, a nostro parere, e’ che l’argomentazione «a cascata» risulta contraddetta, dato che i ricchi esercitano pressione per l’approvazione di politiche per loro vantaggiose, ma che potrebbero danneggiare il resto dell’economia come nel caso della formazione di capitale umano […]
Dunque, il legame tra disuguaglianza e democrazia e’ di nuovo un processo che si autoalimenta: se la disuguaglianza ostacola o rallenta lo sviluppo economico, si indeboliscono alcuni dei puntelli della democrazia, e cio’ non giova allo sviluppo stesso.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

Europa/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

Come spiegare questo forte divario che separa le classi popolari (nel senso piu’ ampio) dal progetto di costruzione europea?
Mi sembra che la spiegazione piu’ plausibile risieda nella percezione (in gran parte giustificata) che il grande mercato unico europeo avvantaggi soprattutto gli attori economici piu’ potenti e i gruppi sociali piu’ favoriti.
Di fatto, e’ poco contestabile che la concorrenza fiscale induca i paesi europei a modificare il proprio sistema di tassazione a vantaggio degli operatori piu’ dinamici, a scapito dei piu’ umili. L’idea che i gruppi sociali piu’ modesti sarebbero per natura irrazionalmente nazionalisti (o addirittura razzisti) – ipotesi molto comoda, che permette alle elite “progressiste” di giustificare la propria missione civilizzatrice – non regge a un’analisi approfondita […]
Fino a quando l’Unione Europea non sara’ al servizio di una politica chiara e tangibile di giustizia sociale e fiscale (per esempio, con un’imposta europea sui redditi e sui patrimoni piu’ elevati), non si vede quale altro fattore potrebbe riuscire a ricomporre il profondo divario che si e’ venuto a creare tra classi popolari e progetto di costruzione europea […]
Gli sviluppi osservati in questi ultimi anni non fanno che accrescere il divario tra l’UE e le classi popolari.
In Francia, chi e’ arrivato al potere con le elezioni del 2017 dice di essere a favore dell’Europa, mettendo ancora una volta, e in modo particolarmente grossolano la costruzione europea al servizio di una politica a favore delle classi agiate. Le due principali misure fiscali votate nell’autunno 2017 [imposta sul patrimonio immobiliare e l’introduzione di un’aliquota d’imposta proporzionale sui redditi da capitale …] sono state adottate in larga misura in nome della “concorrenza europea”. Provvedimenti che sono stati giustificati anche in ossequio all’ideologia dei “primi della cordata” (secondo la definizione data da Macron), per cui l’intera popolazione trarrebbe beneficio dagli sgravi fiscali accordati ai piu’ ricchi (considerati, in questo caso, i piu’ meritevoli e i piu’ utili). Una prospettiva che ricorda la teoria del trickle-down (“gocciolamento”) propagandata da Ronald Reagan negli anni ottanta del secolo scorso, o quella dei job creators sviluppata da Donald Trump e dai repubblicani statunitensi negli anni dieci del Duemila.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Economia di mercato/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa. Come un’eilite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

E’ altrettanto vero che in molti paesi europei, tra cui l’Italia (e in generale in tutti i paesi avanzati), negli ultimi trent’anni il debito pubblico e’ effettivamente aumentato in maniera molto significativa. Ma questo non e’ dovuto a un aumento della spesa pubblica in questo periodo – come sostengono i fautori dell’austerita’ – quanto all’erosione delle entrate pubbliche, dovuta a una debole crescita economica, alla stagnazione dei salari e soprattutto alla controrivoluzione fiscale degli ultimi trent’anni.
In base alla convinzione – del tutto smentita dai fatti – che tasse piu’ basse stimolino la crescita e finiscano per aumentare le entrate dello Stato, secondo la dottrina della trickle-down economics [teoria del gocciolamento dall’alto], gli Stati europei come del resto tutti i paesi avanzati, hanno iniziato dal 1980 a imitare la politica fiscale americana. Sono cosi’ proliferati i tagli alle tasse e ai contributi sui profitti delle societa’, sui redditi dei piu’ ricchi, sui grandi patrimoni, sui contributi degli imprenditori ecc. […]
Tali politiche fiscali hanno costretto i governi a prendere a prestito denaro dalle famiglie piu’ ricche e dai mercati per finanziare i deficit cosi’ creati. Si potrebbe a questo proposito parlare di effetto “jack-pot”: con i soldi risparmiati sulle tasse, i ricchi hanno potuto acquistare i titoli del debito pubblico emessi per finanziare il deficit causato dalla riduzione delle tasse.
E’ sorprendente come i leader politici siano riusciti a convincere i cittadini che i lavoratori, i pensionati e i malati siano i responsabili del debito pubblico.
L’incremento del debito pubblico in Europa o negli USA non e’ dunque il risultato di politiche keynesiane espansive o di costose politiche sociali, ma e’ piuttosto il risultato di politiche in favore di pochi fortunati: tasse e contributi piu’ bassi hanno aumentato il reddito disponibile di coloro che ne hanno meno bisogno.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Economia di mercato/Jacobs

Michael Jacobs, Mariana Mazzucato – Ripensare il capitalismo – Laterza (2017)

Sia Bush che Obama hanno cercato di applicare una strategia di trickle down, elargendo ingenti somme di denaro a banche e banchieri.
L’idea era semplice: salvando le banche e i banchieri, ne avrebbero beneficiato tutti. Le banche avrebbero ricominciato a prestare soldi e i ricchi avrebbero creato piu’ posti di lavoro. Questa strategia, era la tesi, sarebbe stata molto piu’ efficace che aiutare direttamente i proprietari di case, le aziende o i lavoratori.
Di solito, quando si presta denaro a un paese in via di sviluppo, il dipartimento del Tesoro statunitense chiede che vengano imposte delle condizioni, per garantire non solo che il denaro sia speso bene, ma anche che il paese adotti politiche economiche capaci di favorire la crescita in futuro (almeno secondo le teorie economiche del dipartimento del Tesoro).
Ma alle banche non e’ stata imposta nessuna condizione, nemmeno, per fare un esempio, l’obbligo di erogare piu’ prestiti o mettere fine alle pratiche abusive.
Il salvataggio e’ servito ad arricchire quelli piu’ in alto, ma i benefici non sono filtrati al resto dell’economia.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ripensare-capitalismo-mazzucato-jacobs/
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/12017-lorenzo-cattani-note-su-ripensare-il-capitalismo-di-m-mazzucato-e-m-jacobs.html
https://www.anobii.com/books/Ripensare_il_capitalismo/9788858127445/0151bee1e81a684e52
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858127445

Capitalismo/Jacobs

Michael Jacobs, Mariana Mazzucato – Ripensare il capitalismo – Laterza (2017)

A meta’ del XX secolo si affermo’ la convinzione che «l’alta marea solleva tutte le barche», cioe’ che la crescita economica avrebbe portato maggiore ricchezza e un tenore di vita piu’ alto per tutte le classi sociali.
All’epoca questa opinione era supportata dai dati: nei paesi industrializzati degli anni Cinquanta e Sessanta tutti i gruppi sociali progredivano, e quelli con i redditi piu’ bassi progredivano piu’ in fretta.
Nel dibattito politico ed economico che ne segui’, questa «teoria dell’alta marea» si sviluppo’ in un’idea molto piu’ specifica, che sosteneva che una politica economica regressiva (a favore delle classi piu’ ricche) alla fine avrebbe favorito tutti: le risorse date ai ricchi sarebbero inevitabilmente «filtrate» (trickle down) al resto della popolazione.
E’ importante chiarire che questa versione della vecchia «teoria del trickle down» non derivava dall’esperienza concreta del dopoguerra […] Diversamente da quello che ipotizzava la teoria, l’alta marea ha fatto salire solo i grandi yacht, lasciando molte delle barche piu’ piccole a infrangersi contro gli scogli, in parte perche’ la straordinaria crescita dei redditi piu’ alti ha coinciso con un rallentamento dell’economia.
Il concetto del trickle down (insieme alla sua giustificazione economica, la teoria della produttivita’ marginale) va ripensato al più presto.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ripensare-capitalismo-mazzucato-jacobs/
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/12017-lorenzo-cattani-note-su-ripensare-il-capitalismo-di-m-mazzucato-e-m-jacobs.html
https://www.anobii.com/books/Ripensare_il_capitalismo/9788858127445/0151bee1e81a684e52
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858127445

Economia di mercato/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – La grande frattura. La disuguaglianza e i modi di sconfiggerla – Einaudi (2016)

Vi sono, in realta’, importanti differenze in termini di strategie di crescita, che rendono altamente probabili esiti del tutto diversi.
La prima riguarda il modo stesso di concepire la crescita, che non vuol dire semplicemente innalzare il Pil.
La crescita deve essere sostenibile: se si basa sul degrado ambientale, su consumi sfrenati finanziati attraverso il debito, sullo sfruttamento di risorse naturali sempre piu’ esigue, senza reinvestirne i proventi, non e’ sostenibile.
La crescita deve essere anche inclusiva e deve poterne beneficiare quanto meno la maggioranza della popolazione.
La cosiddetta teoria del trickle down, quella dell’effetto a cascata, non funziona: un aumento del Pil, in realta’, puo’ comportare un peggioramento della situazione economica per la maggior parte dei cittadini.

Info:
https://www.anobii.com/books/La_grande_frattura/9788806226855/01612546eb4c023d52
https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-05-30/la-disuguaglianza-divide-mondo-103340.shtml?uuid=ABnHMRpD
https://palomarblog.wordpress.com/2016/03/06/stiglitz-la-grande-frattura/