Lavoro/Allievi

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

Lavoriamo poco. Lavoriamo in pochi. La produttivita’ e’ bassa. I salari sono bassi. Siamo assenti da molti settori innovativi.
Non c’è una politica industriale, un orientamento generale, almeno, se non proprio una visione, cui riferirci (quand’anche c’e’, e non e’ il caso piu’ frequente, cambia a ogni cambio di governo).
Non abbiamo chiaro quali saranno in futuro i settori fondamentali in cui sara’ utile impegnarci. Il sistema dell’istruzione e quello della formazione sono sottofinanziati e scollegati dal mondo del lavoro. Non ci rendiamo nemmeno conto di chi lavora per noi (in certa misura consentendoci di fare altro) e quanto […]
La produttivita’ e’ bassissima. L’Italia e’ l’unico paese del mondo sviluppato in cui e’ ferma dagli anni Novanta: un quarto di secolo senza alcun progresso. L’innovazione c’e’, in alcuni ambiti, e lo prova l’andamento positivo dell’export in settori fortemente concorrenziali. Ma e’ largamente insufficiente al bisogno. Un mercato ingessato e poco esposto alla concorrenza e lo scarso rendimento del capitale umano […] sono parte del problema.
Come lo e’ la scarsa alfabetizzazione digitale e la lenta e difficile introduzione delle tecnologie ICT (information and communication technologies) nella vita quotidiana dei cittadini (Eurostat2019) e nell’impresa, a sua volta causata dalla dimensione familiare di troppe piccole aziende e dalla modesta capacita’ del management (Pellegrino e Zingales 2019) – o, detto altrimenti, dalla scarsita’ di meritocrazia nella selezione del management stesso e dalla sua eta’ elevata, dato che la gerontocrazia che caratterizza il paese impregna anche l’impresa […]
Il livello di istruzione degli occupati classificati come manager (imprenditori e alta dirigenza) nel nostro paese e’ aumentato negli ultimi anni, ma il differenziale rispetto agli altri paesi europei e’ ancora oggi enorme. Le classifiche Eurostat sono istruttive: nel 2018, il 26,5% dei manager italiani e’ in possesso di un titolo di istruzione terziario (nel 2006 era il 14,5%), mentre il 26,7% e’ in possesso di un titolo di scuola dell’obbligo (nel 2006 era il 39,2%). La media europea (UE 28) ci restituisce un quadro molto diverso: ben il 58,2% dei manager risulta laureato (piu’ del doppio che in Italia!) e solo l’8,9% ha un titolo di istruzione obbligatoria (un terzo rispetto all’Italia!). Differenze impressionanti, che il primo a non voler vedere e’ il mondo stesso dell’impresa, perche’ significherebbe mettere in discussione se’ stesso e le proprie capacita’. Sempre dimostrate dall’esistenza stessa delle imprese: se ci sono e producono utili, l’imprenditore tende comprensibilmente a considerarsi bravo. Piu’ raramente e’ capace di ammettere che potrebbe essere piu’ bravo, se migliorasse, tra le altre cose, la dotazione di capitale umano dell’impresa, a cominciare dal proprio, per continuare con quello dei propri dipendenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Il vero problema dellʼintroduzione del reddito di cittadinanza e’ che rischia di disincentivare la ricerca di unʼoccupazione pagata con salari da fame.
Un modo neanche troppo velato per affermare la piena subalternita’ dei salari alla dinamica dei profitti, che tradotto significa piena disponibilita’ dei lavoratori e delle lavoratrici ad accettare salari sotto la soglia di sussistenza.
Non stupisce, allora, che a questo coro si sia aggiunta la Lega che propose – la scorsa estate – di arrivare a una legge
che fissi in 9 euro lʼora lordi (comprensivi di Tfr, ferie, tredicesima mensilità) il nuovo minimo orario.
Per non farsi mancare nulla la Lega aggiunse la volonta’ di garantire le imprese con un taglio del cuneo fiscale per compensare “lʼaggravio” del salario minimo.
Lo schema e’ quello classico. Si fissa un minimo salariale basso e al contempo le imprese vengono aiutate con un imponente taglio di tasse, finanziato immancabilmente dalla fiscalita’ generale: meno scuola, meno sanita’, meno asili nido.
Un vero e proprio furto di reddito dai salari ai profitti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
https://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Lavoro/Ottaviano

Gianmarco Ottaviano – Geografia economica dell’Europa sovranista – Laterza (2019)

All’interno di ogni paese, soprattutto se di grande dimensione, ci sono regioni piu’ o meno sviluppate e le regioni piu’ ricche di un paese meno sviluppato non sono tutte necessariamente piu’ povere di tutte quelle piu’ ricche di un paese piu’ sviluppato.
La regione di Bolzano ha un reddito pro capite piu’ alto di quella di Vienna, sebbene l’Austria abbia a sua volta un reddito pro capite piu’ alto dell’Italia; la regione di Bucarest ha un reddito pro capite piu’ alto di quella di Milano, sebbene l’Italia abbia un reddito pro capite piu’ alto della Romania. Detto diversamente, da un punto di vista della geografia economica sembra esserci piu’ una «Europa delle regioni» che una «Europa delle nazioni», nel senso che molte regioni condividono le stesse sfide e le stesse opportunita’ indipendentemente dai confini nazionali che li separano.
Analogamente, molte regioni si trovano su traiettorie di sviluppo molto diverse anche se appartengono allo stesso paese […]
Ci sono tre ragioni principali per cui imprese e lavoratori tendono a concentrarsi in uno stesso luogo al di la’ delle sue condizioni naturali vantaggiose.
Una prima ragione e’ che la concentrazione geografica facilita l’incontro nel mercato del lavoro. Dove ci sono molte imprese i lavoratori sanno di avere maggiori possibilita’ di trovare lavoro e dove ci sono piu’ lavoratori le imprese sanno di avere maggiori possibilita’ di trovare le competenze di cui hanno bisogno […]
Una seconda ragione che spiega la concentrazione geografica delle attivita’ economiche e’ legata alla presenza di indivisibilita’ nei processi di produzione e nell’economicita’ degli investimenti in infrastrutture. In moltissimi casi i piu’ importanti fornitori di un’impresa e i suoi migliori clienti sono altre imprese […]
Una terza ragione di attrazione tra imprese e lavoratori riguarda l’essenza di tutte le attivita’ umane, non solo di quelle economiche, e cioe’ la definizione di obiettivi e mezzi per raggiungerli attraverso la «soluzione di problemi» […]
Solo dall’incontro tra problema e soluzione si puo’ generare valore aggiunto. Da questo punto di vista, la concentrazione geografica aumenta la produttivita’ di imprese e lavoratori perche’ ne aumenta la capacita’ creativa attraverso una piu’ agevole interazione diretta […]
La concentrazione geografica non ha solo vantaggi ma anche alcuni importanti svantaggi.
Il principale svantaggio della concentrazione e’ che imprese e lavoratori occupano spazio e lo spazio costa.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135303
https://www.letture.org/geografia-economica-dell-europa-sovranista-gianmarco-ottaviano/
https://www.pandorarivista.it/articoli/europa-sovranista-di-gianmarco-ottaviano/

Lavoro/Mason

Paul Mason – Postcapitalismo. Una guida al nostro futuro – il Saggiatore (2016)

Eppure, perfino adesso, molte persone non riescono a cogliere il significato autentico della parola «austerita’».
Austerita’ non vuol dire sette anni di tagli alla spesa, come in Gran Bretagna, e nemmeno la catastrofe sociale inflitta alla Grecia.
Tidjane Thiam, l’amministratore delegato della Prudential, ha esposto chiaramente il vero significato della parola austerita’ al forum di Davos del 
2012.
I sindacati sono il «nemico dei giovani», ha detto, e il salario minimo e’ «una macchina per distruggere posti di lavoro».
I diritti dei lavoratori e salari decorosi sono d’ostacolo al rilancio del capitalismo e – dice senza imbarazzo questo finanziere milionario – devono sparire.
E’ questo il vero progetto dell’austerita’: spingere i salari e il tenore di vita dell’Occidente verso il basso per decenni, finche’ non arriveranno a coincidere con quelli in ascesa dei ceti medi di Cina e India.

Info:
https://www.eunews.it/2017/05/13/il-postcapitalismo-secondo-paul-mason/85281
https://ilmanifesto.it/paul-mason-nelle-spire-del-postcapitalismo/
https://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2015/09/postcapitalismo/
https://www.pandorarivista.it/pandora-piu/postcapitalismo-di-paul-mason/

Lavoro/Bauman

Zygmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

Il lavoro non venne piu’ visto come la via verso l’elevazione morale, bensi’ come un mezzo per “guadagnare di piu’”.
E questa era la sola cosa che contava […]
La capacita’ di accaparrarsi una quantita’ maggiore di ricchezza fini’ per essere considerata come l’unico mezzo per riconquistare quella dignita’ umana perduta in seguito alla trasformazione degli artigiani in operai dell’industria. Col risultato di far cadere nel vuoto qualsiasi appello alla nobilta’ del lavoro. Il prestigio e la posizione sociale dipendevano ormai dal livello di reddito, non gia’ dall’operosita’ e dalla dedizione al proprio mestiere.
Questa metamorfosi del conflitto di potere per la qualita’ della vita sociale in mera competizione per una quantita’ maggiore di ricchezza, considerata come l’unica espressione del desiderio di autonomia e di autoaffermazione individuale, ha influenzato profondamente lo sviluppo della moderna societa’ industriale. […]
Ha inculcato nei lavoratori non tanto lo «spirito del capitalismo» quanto, piuttosto, la tendenza a considerare il valore e la dignita’ dell’uomo in termini puramente monetari. E ha proiettato irreversibilmente l’aspirazione alla liberta’ nella sfera del consumo, determinando in larga misura il passaggio a una societa’ imperniata su quest’ultima anziche’ su quella della produzione.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html
https://sociologia.tesionline.it/sociologia/libro.jsp?id=1714

Lavoro/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Bisogna riconoscere che i capitalisti impiegano abilmente un’ampia gamma di tattiche nel processo lavorativo; e’ in questo ambito, in modo particolare, che fanno leva sul potere delle differenze sociali a proprio esclusivo vantaggio.
Le questioni di genere spesso assumono un ruolo di primo piano nei luoghi di produzione, al pari di quelle di etnia, religione, colore della pelle e persino di orientamento sessuale.
Negli sweatshop dei cosiddetti paesi in via di sviluppo l’onere dello sfruttamento capitalistico ricade sulle spalle delle donne; i loro talenti e le loro capacita’ vengono utilizzati fino allo stremo, in condizioni spesso assimilabili a una dominazione patriarcale.
Se cio’ accade e’ perche’, nel tentativo disperato di esercitare e mantenere il controllo sul processo lavorativo, il capitalista deve approfittare di ogni relazione di differenza sociale, di ogni distinzione all’interno della divisione sociale del lavoro, di
ogni consuetudine o preferenza culturale particolare, sia per impedire che i lavoratori, trovandosi inevitabilmente in una posizione comune nel luogo di lavoro, si aggreghino in un movimento di solidarieta’ sociale, sia per mantenere una forza-lavoro frammentata e divisa […]
Recatevi in un qualsiasi luogo di lavoro – come un ospedale o un ristorante – e osservate il genere, il colore e l’etnia di coloro che svolgono le diverse mansioni; vedrete cosi’ come le relazioni di potere nel processo lavorativo collettivo sono
distribuite tra i diversi gruppi sociali. La resistenza al cambiamento di questi rapporti sociali e’ ascrivibile tanto alle tattiche del capitale quanto al carattere conservatore dei rapporti sociali stessi e al desiderio dei diversi gruppi di difendere i loro piccoli privilegi (incluso persino l’accesso ai lavori mal pagati.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Lavoro/Pilling

David Pilling – L’illusione della crescita. Perche’ le nazioni possono essere ricche senza rinunciare alla felicita’ – il Saggiatore (2019)

L’Ufficio per le statistiche nazionali del Regno Unito sta conducendo un esercizio analogo dal 2002, da quando cioe’ ha pubblicato il suo primo conto satellite per le attivita’ domestiche.
Ha scelto un approccio diverso rispetto a quello adottato dai ricercatori americani: invece di contare le ore di attivita’ e applicare un salario standard, ha cercato di attribuire un valore monetario alla «produzione» delle famiglie, come il numero di pasti preparati e il numero di bambini accuditi.
Alcuni studi hanno rilevato che le famiglie sono in grado di indicare con facilita’ la frequenza con cui utilizzano la lavatrice, il tipo e la quantita’ dei pasti preparati e cosi’ via […]
Il documento divide i lavori domestici in sei categorie: alloggio, compresi i lavori di manutenzione fai da te; trasporto (tutte quelle corse in auto alle lezioni di danza classica); nutrimento (i famosi spaghetti in scatola tiepidi); servizi di lavanderia; cura dei figli; assistenza a familiari anziani o disabili e attivita’ di volontariato […]
Dopo aver effettuato tutti questi calcoli complessi per il 2000, gli statistici britannici scoprirono che tutto il lavoro domestico non retribuito valeva 877 miliardi di sterline, cioe’ il 45 per cento circa dell’intera attivita’ economica di quell’anno.

Info:
https://www.ilsaggiatore.com/libro/lillusione-della-crescita/
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/03/16/ecco-perche-il-pil-e-stupido-e-obsoleto-lo-ha-capito-pure-la-cina/41437/
https://www.che-fare.com/illusione-crescita-felicita-pilling/

Lavoro/Fagan

Pierluigi Fagan – Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

Il primo modo di rivedere l’allineamento tra ben-avere e ben-essere sara’ l’orario di lavoro.
L’attuale convenzione sulle otto ore di lavoro al giorno risale ai primi del XX secolo; aggiornarla sara’ il primo segno di revisione del nostro adattamento a nuove condizioni generali.  Due forze, tra le altre, concorrono all’urgenza di questa revisione.
La prima e’ la scarsita’ di lavoro in Occidente, dettata da molti fattori, tra cui i costanti incrementi di produttivita’ e la sostituzione del lavoro umano con quello meccanico-informatico, oltreche’ dalla necessita’ di liberare ore lavoro da trasferire alle giovani generazioni per dotarle di reddito e considerando il fattore dell’allungamento delle stime di vita generali che impone un’eta’ pensionistica sempre piu’ avanzata.
La seconda spinta consiste nella stima che entro il 2030 l’Africa e l’Asia meridionale perderanno fino al 30 per cento dell’orario di lavoro per via delle proibitive condizioni climatiche che l’innalzamento delle temperature e’ destinato a provocare […]
Nei prossimi quindici anni, almeno due ore al giorno debbono essere tolte dallo standard internazionale, il lavoro va redistribuito […]
Il tempo guadagnato andra’ reinvestito anche in partecipazione politica e sociale per convenire a una redistribuzione della ricchezza piu’ proporzionata.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump

Lavoro/Fana

MartaFana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Le innovazioni possono essere “di processo” quando tendono a modificare i processi produttivi e la loro organizzazione attraverso l’adozione di nuove tecniche o di nuove macchine prodotte in altri settori.
Si tratta di un tipo d’innovazione che riguarda principalmente la possibilita’ di competere abbattendo i costi del lavoro e non a caso gli effetti principali comportano non soltanto l’emergere di disoccupazione, ma anche salari piu’ bassi attraverso le riorganizzazioni interne e il processo di svalutazione della professionalita’ dei lavoratori.
Si parla invece di “innovazione di prodotto” quando nuovi prodotti (beni o servizi) vengono introdotti nel mercato.
Puo’ anche essere il caso che i nuovi prodotti generino un mercato fino ad allora inesistente: l’introduzione dei cellulari portatili, ad esempio.
Non significa che le innovazioni di prodotto non estraggano conoscenze umane a netto vantaggio dei profitti, ma esiste qualcosa oltre questo aspetto.
Generalmente le due strategie si intersecano e non necessariamente si escludono: molto spesso convivono nelle politiche aziendali […]
In generale, le innovazioni di processo sono quelle piu’ largamente diffuse e la loro gestione politica non ha nulla di realmente innovativo. Essa infatti risponde a un principio sviluppato e diventato egemonico agli inizi del Novecento: l’organizzazione scientifica del lavoro, detta “taylorismo”
dal nome del suo storico esponente, Frederick W. Taylor. Secondo questo principio il lavoro deve essere organizzato nel modo piu’ efficiente possibile e questo, nella visione di Taylor, significa esplicitamente controllarlo e dirigerlo, sostenendo laddove necessario anche i costi relativi all’introduzione di tecniche e metodi produttivi nuovi.
Le sue applicazioni sono infinite e non si limitano al vecchio sistema di fabbrica. L’esempio forse piu’ attuale o sicuramente piu’ discusso negli ultimi anni e’ quello della gia’ citata gig economy, in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa attraverso tecnologie digitali non fa altro che migliorare le funzioni di supervisione e controllo dell’azione lavorativa.
Ma la capacita’ di sfruttare una nuova tecnica, quella digitale, per svolgere un’attivita’ per nulla nuova ne’ innovativa dal punto di vista del prodotto scambiato sul mercato produce non una novita’ tecnologica in se’ bensi’ una nuova organizzazione del lavoro in cui la maggior parte dei costi fissi sono a capo del lavoratore e non rappresentano piu’ costi di produzione per l’impresa. Quest’ultima impone ai lavoratori lo status di fornitori di servizi piuttosto che di dipendenti. Non sono questioni che attengono a singoli luoghi di lavoro e di produzione.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Lavoro/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Uno dei maggiori ostacoli all’accumulazione sostenuta del capitale e al consolidamento della classe capitalista negli anni sessanta e’ stato il lavoro.
In Europa come negli Stati Uniti c’era penuria di manodopera; i lavoratori erano ben organizzati, ragionevolmente ben retribuiti e avevano peso politico. Il capitale aveva bisogno di attingere a bacini di manodopera meno cara e piu’ docile, e c’erano vari espedienti per farlo.
Uno era incoraggiare l’immigrazione […]
Alla fine degli anni sessanta il governo francese sovvenzionava l’importazione di manodopera dal Nord Africa, i tedeschi accoglievano i turchi, gli svedesi incoraggiavano l’immigrazione degli iugoslavi e i britannici attingevano agli abitanti del loro antico impero.
Un altro modo per accedere a bacini di manodopera a basso costo era quello di sviluppare tecnologie a bassa intensita’ di lavoro, come la robotizzazione nella fabbricazione di automobili, che creavano disoccupazione […]
Se tutto cio’ non avesse sortito gli effetti desiderati, c’erano comunque persone come Ronald Reagan, Margaret Thatcher e il generale Augusto Pinochet pronte a intervenire, armate della dottrina neoliberista, determinate a ricorrere al potere dello Stato per schiacciare le organizzazioni dei lavoratori.
Pinochet e i generali argentini lo fecero con la forza militare; Reagan e la Thatcher ingaggiarono uno scontro frontale con i grandi sindacati, sia direttamente – come quando Reagan mise in atto una prova di forza con i controllori del traffico aereo e la Thatcher si scontro’ violentemente con i sindacati dei minatori e dei lavoratori editoriali –, sia indirettamente, attraverso la creazione di disoccupazione […]
Il capitale aveva anche la possibilita’ di recarsi direttamente la’ dove si trovava l’eccedenza di manodopera […]
Inondate di un’eccedenza di capitale, le grandi imprese statunitensi avevano cominciato a trasferire la produzione all’estero gia’ alla meta’ degli anni sessanta, ma questo movimento ha preso slancio soltanto un decennio piu’ tardi […]
Il capitale aveva ormai accesso ai bacini di manodopera a basso costo del mondo intero. Quel che e’ peggio, il crollo del comunismo, avvenuto bruscamente nell’ex blocco sovietico e gradualmente in Cina, ha poi aggiunto circa due miliardi di persone alla forza lavoro salariata globale.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza