Capitalismo/Harvey

David Harvey – L’eniga del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Cosa si intende per neoliberismo.
Per come la vedo io, il termine si riferisce a un progetto di classe che ha preso corpo durante la crisi degli anni settanta.
Mascherato da una buona dose di retorica sulle liberta’ individuali, la responsabilita’ personale e le virtu’ della privatizzazione, del libero mercato e del libero scambio, questo progetto ha legittimato una serie di politiche draconiane mirate a ristabilire e a consolidare il potere della classe capitalista.
A giudicare dall’incredibile concentrazione della ricchezza e del potere osservabile in tutti i paesi che hanno preso la strada neoliberista, questo progetto ha avuto successo, e non c’è prova che sia morto.
Per esempio, uno dei principi pragmatici fondamentali emersi negli anni ottanta e’ che il potere statale dovrebbe proteggere gli istituti finanziari a qualsiasi costo […], principio, che e’ in aperta contraddizione con il non interventismo propugnato dalla teoria neoliberista […]
Detto grossolanamente, il principio consiste nel
privatizzare i profitti e socializzare i rischi, nel salvare le banche e spremere la gente.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Finanziarizzazione/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

[La] deregolamentazione consenti’ alle banche di finanziare investimenti molto superiori al loro patrimonio.
Cio’ permise loro di rischiare sui mercati secondari somme sempre maggiori, accelerando la spirale al rialzo delle quotazioni. Le banche correvano sempre piu’ rischi, ma ogni volta un investitore (persona o azienda) rivendeva i titoli a un numero maggiore di ulteriori investitori, riducendo cosi’ i propri rischi attraverso la condivisione con una platea sempre piu’ vasta di attori.
L’espansione del sistema e l’entrata in gioco dei ricchi della Cina, della Russia e di molti altri paesi fino a quel momento estranei al sistema di mercato capitalistico, estese i rischi a un numero sempre maggiore di investitori. La condivisione – e dunque la riduzione dei rischi – sembrava poter proseguire all’infinito, o quasi.
La ricchezza non veniva creata attraverso la produzione di beni e servizi reali, ma attraverso la rivalutazione costante di titoli finanziari acquistati e rivenduti all’infinito.
In tal modo, le attivita’ finanziarie sono diventate la forma di gran lunga piu’ redditizia di attivita’ economica: per fare denaro bastava muovere denaro, tagliando cosi’ fuori le attivita’ intermedie necessarie per realizzare beni o fornire i servizi venduti a scopo di profitto.
Le imprese operanti in altri settori dell’economia sono state cosi’ incentivate prima a crearsi un proprio braccio finanziario, e poi a concentrare su di esso le proprie competenze e i propri sforzi strategici, demandando qualsiasi ulteriore attivita’ ad
altri, ivi comprese le funzioni legate a quello che fino a quel momento era stato il loro core business e ai rapporti con la clientela di massa […]
Ci sono fondati motivi per affermare che la previsione che in caso di necessita’ i governi sarebbero intervenuti a salvare le banche – “troppo grandi per fallire” – abbia incoraggiato queste ultime a correre rischi irresponsabili, e che i salvataggi
post-2008 non abbiano fatto altro che incentivare le stesse banche a correre rischi ancora maggiori in futuro.
Quando si e’ capito chiaramente che tutti i responsabili della catastrofe l’avrebbero fatta franca, qualcuno ha osservato che i banchieri sono “troppo grandi” non solo “per fallire” (to fail), ma anche “per finire in carcere” (to jail).
D’altra parte, a fronte dei danni provocati dai salvataggi, occorre considerare anche il rischio di un crollo totale dell’economia globale se non si fosse fatto nulla per bloccare l’emorragia delle quotazioni azionarie.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/

Economia di mercato/Giacche’

Vladimiro Giacche’ – Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato – Aliberti (2012)

Dal 2002 al 2010 il mercato del debito a livello mondiale e’ cresciuto a un tasso di crescita annuo dell’11%, dagli 80 mila miliardi di dollari a circa 200 mila.
Nello stesso periodo il prodotto interno lordo mondiale e’ cresciuto del 4% annuo (quello italiano, come e’ noto, praticamente non e’ cresciuto).
Il debito complessivo oggi e’ pari al 310% del prodotto interno lordo mondiale. Si tratta della maggiore accumulazione di debito della storia in tempo di pace. E’ chiaro che si tratta di una situazione insostenibile […]
I governi abbassano la tassazione e poi prendono in prestito da coloro che decidono di non tassare.
Gli interessi sul debito rendono possibile un trasferimento di ricchezza a vantaggio dei detentori dei titoli di debito.
Ovviamente, quanto sopra vale sia per le riduzioni formalizzate delle tasse, sia per quanto riguarda la tolleranza di fatto verso l’evasione fiscale che caratterizza, guarda caso, precisamente i due Paesi che oggi in Europa hanno il piu’ alto rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo: ossia Grecia e Italia.
Anche in questo caso si ha un trasferimento di ricchezza dalla collettivita’ a una parte del settore privato.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/2034-vladimiro-giacche-titanic-europa.html
https://www.uninfonews.it/il-titanic-europa-affonda-e-lorchestra-suona-ancora/

Capitalismo/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

Tra il 1981 e il 2010, nell’insieme dei paesi dell’Ocse, l’aliquota piu’ alta dell’imposta sul reddito e’ scesa dal 66 al 42 per cento […].
Il 90 per cento della popolazione con reddito piu’ basso guadagna tra il 70 e l’85 per cento del proprio reddito sotto forma di salari e stipendi, mentre lo 0,01 per cento della popolazione in cima alla piramide della distribuzione del reddito percepisce appena il 40 per cento del proprio reddito sotto forma salariale, e la maggior parte di esso sotto forma di reddito d’impresa, dividendi e capital gain.
La tassazione di questi ultimi tipi di reddito si e’ sempre piu’ alleggerita rispetto alle imposte che gravano su salari e stipendi.
Sempre tra il 1981 e il 2010, nei paesi dell’Ocse, la tassazione media dei redditi societari e’ scesa dal 47 al 25 per cento e quella dei dividendi dal 75 al 42 per cento […]
Le riforme fiscali hanno ulteriormente rafforzato la disuguaglianza crescente generata dal mercato. Cio’ fa pensare che gli interessi dei ricchi abbiano saputo esercitare sui governi pressioni molto piu’ forti rispetto agli interessi della democrazia […]
Il denaro puo’ essere usato anche per influenzare le opinioni della gente comune.
Negli ultimi anni, l’ascesa dei social media ha aperto nuove possibilita’. Internet puo’ servire a inviare messaggi mirati apparentemente provenienti da movimenti civici di massa, ma in realta’ controllati da alcuni tra i personaggi piu’ ricchi del pianeta. Queste attivita’ si basano su tecnologie costose, alla portata solo dei miliardari o degli Stati.
Esse richiedono innanzitutto l’estrazione (spesso illegale) dalle piattaforme di social media di dati sulle preferenze individuali, ricavati dalle ricerche effettuate sul web o dai comportamenti d’acquisto. Su questa base si confezionano messaggi individuali tagliati a misura di quelle preferenze, che vengono poi inviati da un gran numero di fonti apparentemente indipendenti. Paradossalmente, gran parte di questa propaganda si presenta come sfida populista alle elites. […]
I social media, che a un certo punto avevano dato l’impressione di poter creare un nuovo bene comune, uno spazio pubblico aperto a tutti, in realta’, nel momento in cui se ne sono impossessati i superricchi, hanno condotto a una privatizzazione della societa’ civile.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/

Lavoro/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Popolo, potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento – Einaudi (2020)

E’ grande l’apprensione con cui si guarda al mercato del lavoro.
Nel XX secolo abbiamo creato macchine piu’ forti degli esseri umani. Oggi possiamo fabbricarne anche di piu’ efficienti, per quanto riguarda i lavori di routine. Ma l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida superiore.
Possiamo fabbricare macchine che non soltanto portano a termine meglio degli esseri umani i compiti per cui sono state programmate, ma imparano anche meglio, per lo meno in certi ambiti.
Le macchine possono conseguire risultati migliori di noi in diversi impieghi cruciali per il mondo di oggi […]
Naturalmente, in via di principio, l’avanzare della tecnologia dovrebbe riuscire a far vivere meglio tutti i cittadini, cosi’ come dovrebbe farlo la globalizzazione. Con l’avanzare della tecnologia, infatti, la dimensione della torta nazionale cresce e, se la torta da distribuire e’ piu’ grande, tutti in teoria potrebbero riceverne una fetta piu’ grossa.
Ma, con le macchine che sostituiscono il lavoro, cio’ non
accade automaticamente: la diminuzione della domanda di personale, e soprattutto di manodopera non qualificata, fara’ scendere i salari, e dunque il reddito dei lavoratori, anche se il reddito nazionale aumentera’ […]
L’economia del trickle down (economia della percolazione dall’alto verso il basso o effetto cascata) in questo caso non funzionera’, proprio come non ha funzionato con la globalizzazione.
Il governo, tuttavia, puo’ fare in modo che tutti, o per lo meno la maggior parte delle persone, possano prosperare.
Esistono almeno quattro insiemi di politiche necessarie allo scopo.
1) Garantire che le regole del gioco economico siano piú eque […]. Rafforzare il potere di mercato dei lavoratori e indebolire il potere monopolistico delle imprese puo’ creare un’economia piu’ efficiente e piu’ equa.
2) I diritti di proprieta’ intellettuale possono essere definiti in modo che i frutti dei passi in avanti della tecnologia, gran parte dei quali avviene grazie alle fondazioni finanziate dal governo che sostengono la ricerca pura, siano condivisi a piu’ ampio raggio.
3) Politiche fiscali progressive e politiche di spesa pubblica possono contribuire a ridistribuire il reddito.
Infine,
4) si deve riconoscere il ruolo del governo nel facilitare il passaggio dell’economia dalla manifattura al settore dei servizi

Info:
https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/capitalismo-progressista-un-ossimoro
https://www.italypost.it/popolo-potere-profitti-joseph-stiglitz/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/15/neoliberismo-stiglitz-per-superarlo-serve-un-capitalismo-progressista-che-recida-legami-tra-potere-economico-e-politica/5257897/

Economia di mercato/Tuccari

Francesco Tuccari – La rivolta della societa’.L’italia dal 1989 a oggi – Laterza (2020)

Apprendiamo che oggi in Italia, su una popolazione di 60 milioni e mezzo di persone, sono attive quasi 86 milioni di utenze di telefonia mobile; che il 92% delle persone (poco meno di 55 milioni) si connette a internet e lo fa per circa sei ore al giorno; e che il 59% (grosso modo 35 milioni) e’ attiva sui social media e vi trascorre quasi due ore al giorno.
Si tratta di dati che oggi non destano particolare sorpresa, ma che appaiono a dir poco fantascientifici rispetto alle condizioni dell’Italia di trent’anni fa.[…]
Attraverso personal computer, tablet e soprattutto smartphone, diventati ormai veri e propri prolungamenti del corpo umano, la Rete e i social si sono trasformati in vettori essenziali – e per molti versi esclusivi – di nuovi modelli di informazione, conoscenza, comunicazione, socialita’ e partecipazione.
Dopo la carta stampata, la radio e poi la televisione, essi hanno conquistato con la loro pervasivita’ un posto di primo piano nei processi di costruzione della personalita’, di socializzazione e di formazione dell’opinione pubblica.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139844
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-rivolta-della-societa-di-francesco-tuccari/
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quale-societa-si-rivoltadavvero

Capitalismo/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Popolo, potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento – Einaudi (2020)

L’economia: si pensava che mercati lasciati a se stessi – con tasse ridotte e deregolamentazione – fossero la soluzione a ogni problema economico;
si pensava che la finanza e la globalizzazione e il progresso tecnologico avrebbero, da soli, portato prosperita’ a tutti.
Si pensava che i mercati fossero sempre concorrenziali di per se’, senza comprendere i pericoli del potere di mercato.
Si pensava che il cieco perseguimento dei profitti avrebbe portato al benessere collettivo.
La politica: troppi ritenevano che democrazia significasse semplicemente poter votare alle elezioni.
Non si sono compresi i pericoli del denaro in politica, i pericoli del suo potere; non si è compreso il modo in cui la concentrazione di denaro possa corrompere la democrazia e come le elite possano usare il denaro per influenzare l’economia e la politica al fine di generare una concentrazione di potere economico e politico ancora piu’ grande.
Ne’ si e’ compreso quanto sia facile scivolare in un sistema del tipo «un dollaro un voto», o quanto sia facile che prenda piede la delusione nei confronti della democrazia, con cosi’ tante persone convinte che il sistema sia truccato […]
Cosi’, un’economia e una politica distorte sono state sostenute ed esasperate da valori distorti. La societa’ americana e’ diventata piu’ egoista, nel senso presupposto dai modelli economici ma non nel senso del miglioramento di se’ a cui tutti aspiriamo.
Si e’ permesso a modelli fondati su un’erronea concezione della natura umana di trasformare gli americani, che sono diventati piu’ materialisti, meno aperti agli altri, meno altruisti, in questi
stessi modelli. Sono diventati amorali (ritenendo che la morale fosse riservata ai leader religiosi e alla domenica) e poi immorali, quando l’indegnita’ e’ diventata il segno distintivo della finanza.

Info:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/15/neoliberismo-stiglitz-per-superarlo-serve-un-capitalismo-progressista-che-recida-legami-tra-potere-economico-e-politica/5257897/
https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/capitalismo-progressista-un-ossimoro
https://www.italypost.it/popolo-potere-profitti-joseph-stiglitz/

 

Finanziarizzazione/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Oggi la disponibilita’ di manodopera non rappresenta piu’ un problema per il capitale, come non lo e’ stato negli ultimi venticinque anni.
Ma se la forza lavoro non ha potere, i salari ristagnano e
i lavoratori privi di mezzi non danno vita a un mercato vivace.
La persistente compressione dei salari pone dunque il problema di una domanda insufficiente per i beni e i servizi prodotti in quantita’ sempre maggiori dalle imprese capitalistiche.
Un ostacolo all’accumulazione di capitale, ovvero la questione del lavoro, viene superato soltanto creandone un altro, cioe’ l’assenza di un mercato.
Come fare ad aggirare questo secondo ostacolo?
Il divario tra i guadagni dei lavoratori e la loro capacita’ di spesa e’ stato colmato dall’avvento delle carte di credito e dalla crescita dell’indebitamento. Negli anni ottanta il debito delle famiglie statunitensi si attestava in media a circa 40.000 dollari (in termini reali); oggi e’ salito a 130.000 dollari a famiglia, mutuo compreso.
L’esplosione del debito e’ stata favorita dall’azione di istituti finanziari che hanno sostenuto e promosso l’indebitamento dei
lavoratori, i cui redditi non accennavano ad aumentare. Inizialmente il fenomeno ha interessato la popolazione con un impiego stabile, ma alla fine degli anni novanta si e’ reso necessario spingersi oltre, perche’ il mercato era esausto; bisognava percio’ estenderlo alle fasce di reddito piu’ basse.
Societa’ di credito immobiliare come Fannie Mae e Freddie Mac, sottoposte a pressioni politiche, hanno allentato i cordoni della borsa per tutti; gli istituti finanziari, inondati di credito, hanno cominciato a concedere prestiti anche a chi non aveva un reddito stabile. Se cio’ non fosse accaduto, chi avrebbe comprato tutte le nuove case e i nuovi appartamenti costruiti dalle imprese edilizie mediante il ricorso all’indebitamento?
Il problema della domanda nel settore immobiliare e’ stato temporaneamente risolto finanziando sia i costruttori sia i compratori. Gli istituti finanziari, nel loro insieme, hanno finito per controllare sia l’offerta sia la domanda di immobili residenziali.
Una dinamica analoga si e’ verificata con tutte le forme di credito al consumo erogato per l’acquisto di ogni sorta di beni, dalle auto alle macchine tosaerba ai regali di Natale, comprati a piene mani nelle grandi catene come Toys “R” Us e WalMart.
Tutto questo indebitamento era ovviamente rischioso, ma il problema poteva essere superato grazie a mirabolanti innovazioni finanziarie come la cartolarizzazione, che apparentemente spalmava il rischio su un gran numero di investitori, creando persino l’illusione di farlo scomparire.
Il capitale finanziario fittizio ha preso il comando, ma nessuno ha voluto fermarlo, perché tutti quelli che contavano sembravano guadagnare un sacco di soldi.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Economia di mercato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano. Saggi 1995-2010 – Laterza (2020)

L’esempio più significativo del tipo di problema con cui ci confrontiamo oggi si presenta in una forma che molti potrebbero considerare un semplice tecnicismo: il processo di privatizzazione.
Negli ultimi trent’anni, il culto della privatizzazione ha estasiato i governi occidentali (e molti governi non occidentali).
Perché? La risposta piu’ breve e’ che, in un periodo di vincoli di bilancio, la privatizzazione apparentemente permette di risparmiare denaro.
Se lo Stato possiede e gestisce un programma pubblico inefficiente o un servizio pubblico costoso (un acquedotto, una fabbrica automobilistica o una ferrovia), cerca di scaricarlo su acquirenti privati. La cessione permette allo Stato di incassare denaro e, al contempo, il servizio o l’attività in questione, entrando a far parte del settore privato, diventa piu’ efficiente grazie all’incentivo del profitto. Tutti ci guadagnano: il servizio migliora,lo Stato si libera di una responsabilita’ inopportuna e mal gestita, gli investitori realizzano profitti e il settore pubblico ricava un guadagno una tantum dalla vendita.
Questa e’ la teoria.
La pratica e’ ben diversa […] Quasi tutte le cose che i governi hanno ritenuto opportuno trasferire al settore privato operavano in perdita: che siano compagnie ferroviarie, miniere di carbone, servizi postali o societa’ elettriche, i costi di esercizio e di manutenzione sono superiori agli introiti che possano mai sperare di ottenere.
Proprio per questo motivo, tali beni pubblici risultavano poco interessanti per gli acquirenti privati, a meno di offrirli a prezzi fortemente scontati. Ma quando lo Stato svende i propri beni, e’ la collettivita’ a subire una perdita […]
In secondo luogo, si presenta il problema dell’azzardo morale. L’unico motivo per cui gli investitori privati sono disposti ad acquistare beni pubblici chiaramente inefficienti e’ che lo Stato riduce o elimina la loro esposizione al rischio […] facendo cosi’ venire meno la giustificazione economica classica della privatizzazione, cioe’ che l’incentivo del profitto favorisce l’efficienza.
L’«azzardo» in questione e’ che il settore privato, in queste condizioni privilegiate, si dimostri almeno altrettanto inefficiente della sua controparte pubblica e intanto intaschi gli eventuali profitti realizzati e addebiti le perdite allo Stato.
Il terzo argomento, e forse il piu’ efficace, contro la privatizzazione e’ il seguente.
Non ci sono dubbi sul fatto che molti beni e servizi che lo Stato cerca di dismettere siano stati gestiti male: in maniera incompetente, senza investimenti adeguati e cosi’ via. Ciononostante, per quanto mal gestiti, i servizi postali, le reti ferroviarie, le case di riposo, le carceri e altre attivita’ destinate alla privatizzazione restano sotto la responsabilita’ delle autorità pubbliche. Anche dopo essere state cedute, non possono essere totalmente abbandonate ai capricci del mercato. Sono, per loro stessa natura, un tipo di attivita’ che qualcuno deve regolamentare. […] Con ogni probabilita’ la verifica vera e propria sara’ eseguita da una societa’ privata, che ha vinto l’appalto per svolgere il servizio per conto dello Stato […]
I governi, in breve, affidano le loro responsabilita’ ad aziende private che promettono di amministrarle meglio dello Stato e a costi inferiori […]
Svuotando lo Stato delle sue responsabilita’ e capacita’, ne abbiamo indebolito l’immagine pubblica […]
Se operiamo esclusivamente o in misura preponderante con organismi privati, nel corso del tempo allentiamo i nostri rapporti con un settore pubblico del quale apparentemente non sappiamo cosa farcene.
Non e’ molto importante che il settore privato faccia le stesse cose meglio o peggio, a un costo maggiore o minore. In ogni caso, la nostra lealta’ verso lo Stato si attenua e perdiamo qualcosa di vitale che dovremmo condividere – e che in molti casi un tempo condividevamo – con i nostri concittadini.
Questo processo e’ stato ben descritto da una grande esperta moderna in materia: Margaret Thatcher, la quale, stando a quel che si dice, avrebbe affermato che «non esiste una cosa chiamata societa’. Esistono solo singoli uomini e donne e le famiglie». Ma se non esiste una cosa chiamata societa’, soltanto gli individui e lo Stato in veste di «custode notturno», che controlla a distanza attivita’ nelle quali non svolge alcun ruolo, che cosa ci legherà gli uni agli altri?

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Capitalismo/Canfora

Luciano Canfora – La schiavitu’ del capitale – Il Mulino (2017)

Errore fu credere che quella manche terribile che si e’ giocata per tutto il Novecento, messa in moto dalla “Grande guerra”, fosse l’ultimo atto della storia.
Il brusco risveglio fu determinato dal crollo del lungo, ostinato, alla fine insostenibile, esperimento di “socialismo” […]
Esso ci ha insegnato molte cose:
1) che la partita e’ solo agli inizi;
2) che il modello capitalistico (in tutte le sue proteiformi manifestazioni) ha conquistato, alla fine del Novecento, la gran parte del pianeta espugnando e pervadendo di se’ Russia e Cina;
3) che solo ora il capitalismo e’ davvero un sistema di dominio mondiale ma non ha di fronte che spezzoni di organizzazioni per lo piu’ sindacali e inevitabilmente settoriali giacche’ il capitale e’ davvero “internazionalista” avendo dalla sua la cultura ed ogni possibile risorsa,mentre gli sfruttati sono “dispersi e divisi” (dalle religioni, dal razzismo istintuale etc.);
4) che, per funzionare, secondo la sua logica del sempre maggior profitto e della lotta spietata per la conquista dei mercati, il capitale ha ripristinato ormai forme di dipendenza di tipo schiavile: non solo in vaste aree dei mondi dipendenti ma creando sacche di lavoro schiavile anche all’interno delle aree piu’ avanzate;
5) che questo fa ovviamente regredire su un piano piu’ generale i “diritti del lavoro” conquistati, in Occidente, grazie alla novecentesca contrapposizione di sistema;
6) che, per gestire questa impressionante mescolanza tra varie forme di dipendenza incluse quelle schiavili e semi-schiavili,
il contributo della grande malavita organizzata e’ fondamentale.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-schiavitu-del-capitale-canfora/
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-schiavitu-del-capitale