Stato/Keen

L’economia nuova. Moneta,ambiente, complessita’.Pensare l’alternativa al collasso ecologico e sociale – Steve Keen – Meltemi (2023)

Ancor prima che iniziasse la crisi del Covid-19, l’economia mondiale non era in buona salute, ne’ lo era la teoria economica.
La piu’ grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, infatti, era gia’ iniziata alla fine del primo decennio dei duemila. Battezzata come “Crisi Finanziaria Globale” (CFG) nella maggior parte del mondo e “La Grande Recessione” negli Stati Uniti, fu segnata dall’esplosione del tasso di disoccupazione, che negli USA passo’ dal 4,6% del 2007 al 10% del tardo 2009. L’indice di borsa Standard&Poors500, che da poco meno di 800 punti base nel 2002 aveva raggiunto gli oltre 1500 punti nel 2007, crollo’ fino a 750 punti a inizio 2009. L’inflazione, pari al 5,6% ancora a meta’ 2008, muto’ di segno, in una deflazione pari al 2% per meta’ 2009.
L’economia americana si riprese solo lentamente e solo grazie a un novero di interventi pubblici senza precedenti, dai sussidi alla rottamazione per incentivare i consumatori a liberarsi delle loro vecchie auto e comprarne di nuove, alle politiche di quantitative easing messe in campo dalla Federal Reserve, che acquisto’ dal sistema finanziario migliaia di miliardi di dollari in obbligazioni ogni anno, nel tentativo di far riprendere l’economia – e rendendo i ricchi ancora piu’ ricchi.
La crisi, cosi’ come la fiacca ripresa che ne segui’, fu una sorpresa per gli economisti, sia che fossero consiglieri di governo o teorici puri, accademici dediti alle loro nuove teorie e a preparare manuali di testo per formare le nuove generazioni. Erano tutti convinti non solo che la crescita economica che aveva preceduto la crisi dovesse continuare, ma, soprattutto, che le crisi economiche non potessero piu’ verificarsi […]
Appena due mesi prima che la crisi esplodesse, il capo economista dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), uno dei piu’ importanti attori al mondo nella definizione delle politiche economiche, aveva dichiarato che “le attuali condizioni economiche sono in molti rispetti migliori di quelle che abbiamo visto in molti anni”, predicendo un 2008 di “significativa crescita economica nei Paesi OCSE, sostenuta da un forte aumento dei posti di lavoro e da una caduta tendenziale del tasso di disoccupazione.

Info:
https://kriticaeconomica.com/letture-kritiche/economia-nuova-steve-keen/
https://che-fare.com/almanacco/politiche/declino-italiano-e-cambiamento-climatico/
https://jacobinitalia.it/salvare-leconomia-da-se-stessa/
https://www.carmillaonline.com/2023/10/18/il-morbo-neoclassico/
https://www.micromega.net/baruffe-tra-economisti-la-questione-climate-change/
https://generazioneliberale.com/2023/03/05/keen-galbraith-ha-portato-la-realta-nelleconomia-e-per-questo-e-stato-dimenticato/

Lavoro/Wolf

La crisi del capitalismo democratico – Martin Wolf – Einaudi (2024)


La capacita’ e la volonta’ delle multinazionali di spostare risorse economiche e know-how da un paese all’altro, e soprattutto la loro capacita’ di integrare le catene di produzione travalicando i confini nazionali sono state un fattore determinante della globalizzazione.
Come e’ evidente, tutto cio’ rappresenta un vantaggio decisivo per le imprese (e il capitale) e uno svantaggio per i lavoratori dei paesi a reddito alto. Questi ultimi, come abbiamo visto, hanno perso l’accesso privilegiato al know-how e al capitale integrati in quelle aziende che un tempo consideravano le loro. Giocoforza hanno perduto non solo potere contrattuale ma anche il posto di lavoro.
In realta’, il movimento dei capitali delle imprese e’ stato solo un aspetto di un fenomeno di proporzioni assai piu’ grandi, cioe’ la liberalizzazione della finanza.
Negli ultimi quarant’anni il settore finanziario e’ cresciuto enormemente. Ha anche causato molte crisi, in particolare la crisi asiatica del 1997-98 e la crisi transatlantica del 2007-12.
Oltre a costringere numerosi paesi ad abbandonare i tassi di cambio fissi, la liberalizzazione della finanza ha sollevato tutta una serie di problemi che prescindono dall’instabilita’ finanziaria e riguardano piuttosto la concorrenza fiscale, l’elusione e l’evasione delle imposte e la corruzione […]
La globalizzazione, insomma, e’ figlia del progresso tecnologico, e lo sara’ sempre. Al contempo, la tecnologia sta avendo sull’occupazione industriale gli stessi effetti che ha avuto sull’agricoltura: da una parte, sta facendo impennare la produttivita’, dall’altra sta distruggendo posti di lavoro.
Per esempio, nella Francia del 1800 i lavoratori occupati in agricoltura erano il 59 per cento; nel 2012 il dato era al di sotto del 3 per cento. La stessa dinamica si e’ osservata in altri paesi.
E’ quasi certo che, man mano che robot e macchine sostituiscono i lavoratori, l’occupazione industriale continuera’ a scendere tanto nei paesi a reddito alto quanto in numerosi paesi emergenti e in via di sviluppo. Da qui a cinquant’anni, probabilmente la percentuale di occupati nell’industria si attestera’ a pochi punti percentuali, se non al di sotto.

Info:
https://www.ilfoglio.it/cultura/2024/08/05/news/il-mondo-di-oggi-si-e-rotto-a-margine-del-libro-di-martin-wolf-6818502/
https://www.ilmonocolo.com/post/la-crisi-del-capitalismo-democratico

https://www.editorialedomani.it/economia/libro-martin-wolf-bh9jht73

Capitalismo/Marcon

Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – Giulio Marcon – People (2023)

I «quattro motori della diseguaglianza» […]
Il primo motore e’ il potere del capitale sul lavoro: nell’epoca neoliberista si sono rovesciati i rapporti di forza, soprattutto grazie all’ascesa della finanza e all’indebolimento dei sindacati […]
La seconda ragione sta nella crescita del capitalismo oligarchico, nella creazione cioe’ di una nuova aristocrazia del denaro, con una concentrazione della ricchezza mai vista. La concentrazione di questa ricchezza ha avuto la priorita’ sulla crescita dei flussi di reddito […]
A queste due prime ragioni [si aggiungono] altri due motivi piu’ profondi e che riguardano innanzitutto i processi di individualizzazione sociale, ovvero l’indebolimento delle identita’ collettive, dei corpi intermedi e dei sindacati a favore di processi di precarizzazione e frammentazione del mercato del lavoro. Anche questo e’ un segno del potere del capitale sul lavoro. Non solo individualizzazione, ma privatizzazione di ogni dimensione sociale […]
Infine c’è l’arretramento della politica […], la riduzione del ruolo dello Stato che ha dato ancora piu’ spazio al mercato e alla dinamica del profitto privato a scapito dell’interesse generale. Questo arretramento ha significato non solo una ritirata dall’esercizio della funzione di governo e delle politiche pubbliche, ma anche la loro subalternita’ – e, in alcuni casi, l’appalto – al potere economico e finanziario nelle decisioni assunte […]
Se non si mette mano a misure di limitazione della trasmissione dei privilegi, le diseguaglianze si trasmettono da una generazione all’altra.
Attraverso un coefficiente di trasmissione intergenerazionale di diseguaglianza, con una metodologia statistica elaborata negli ultimi trent’anni, e’ stata stimata la situazione in Europa. La scala va da 0 a 1. Se e’ 0, significa che la trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza non esiste; se e’ 1, invece, e’ totale.
Mentre nei Paesi nordici come Svezia e Danimarca il coefficiente e’ pari a 0,13/0,14%, in Gran Bretagna e in Italia arriva allo 0,50%. E’ evidente che chi nasce in una famiglia di ricchi avra’ – rispetto al figlio di un povero – la possibilità di ottenere un’istruzione di qualità (magari in una scuola privata o in un’universita’ all’estero) e di godere di relazioni sociali elevate (con famiglie influenti, potenti, ecc.) che gli permetteranno di avere una corsia preferenziale per un buon lavoro e una carriera gia’ instradata.

Info:
https://altreconomia.it/se-la-classe-inferiore-sapesse-chi-sono-i-ricchi-e-perche-continuano-a-essere-ammirati/
https://www.lafionda.org/2024/01/09/se-la-classe-inferiore-sapesse/
https://www.ossigeno.net/post/se-la-classe-inferiore-sapesse
https://altreconomia.it/perche-sappiamo-cosi-poco-dei-ricchi/

Stato/Dardot

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista. Nuova edizione – Pierre Dardot, Christian Laval – Derive Approdi (2019)

La buona governance e’ quella che rispetta le condizioni di gestione stabilite dai Programmi di aggiustamento strutturale, e in primo luogo l’apertura ai flussi commerciali e finanziari, ed e’ dunque strettamente legata ad una politica di integrazione nel mercato mondiale.
Cosi’ si sostituisce gradualmente alla categoria desueta e svalutata di «sovranita’». Uno Stato non dovra’ piu’ essere giudicato in base alla capacita’ di assicurare la sua sovranita’ su un territorio (come nella concezione occidentale classica), ma in base al rispetto delle norme giuridiche e della «buona prassi» economica della governance.
La governance degli Stati modella su quella dell’impresa una sua caratteristica fondamentale. Come i manager delle imprese sono stati sottoposti alla sorveglianza degli azionisti nel quadro della corporate governance a dominante finanziaria, cosi’ i dirigenti degli Stati sono sottoposti al controllo della comunita’ finanziaria internazionale, di organismi specializzati, di agenzie di rating […]
Sono i creditori del paese e gli investitori esteri che giudicano la qualita’ dell’azione pubblica, ovvero della conformita’ ai loro interessi finanziari.
Se gli investitori stranieri rispettano le regole della corporate governance, si aspettano che i dirigenti locali adottino da parte loro le regole della state governance.
Quest’ultima consiste nel mettere gli Stati sotto il controllo di una serie di organismi sovragovernativi e privati, i quali determinano gli obiettivi e i mezzi della politica da portare avanti. Sotto questo aspetto, gli Stati sono considerati «unita’ produttive» come le altre, in una vasta rete di poteri politico-economici sottoposti a norme simili.
La governance e’ stata spesso descritta come la nuova modalita’ di esercizio del potere, che coinvolge istituzioni pubbliche e giuridiche internazionali e nazionali, associazioni, Chiese, imprese, think thanks, universita’ […]
L’impresa, con l’appoggio degli Stati locali, diviene uno dei fondamenti dell’organizzazione della governance dell’economia mondiale. A governare l’agenda dello Stato sono ormai gli imperativi, le urgenze e le logiche delle aziende private.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-nuova-ragione-del-mondo-di-pierre-dardot-e-christian-laval/
https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-capitale-umano
https://www.dianoia.it/public/rcs/rcs_21_34.pdf
htps://www.leparoleelecose.it/?p=13014

Finanziarizzazione/Chomsky

Noam Chomsky – Così va il mondo. – Piemme (2018)

Nel 1970 circa il 90% del capitale internazionale era destinato al commercio e a investimenti a lungo termine, mentre il restante 10% veniva investito in speculazioni.
Entro il 1990 questi dati si erano completamente invertiti: il 90% era destinato alla speculazione e il 10% al commercio e agli investimenti a lungo termine.
Non solo questo cambiamento radicale ha influenzato la natura del capitale finanziario, privo di ogni controllo, ma anche il volume di questo tipo di transazioni si e’ accresciuto a dismisura. Secondo una recente stima della Banca Mondiale, circa 14 trilioni di dollari vengono spostati nel mondo, e di questi un trilione si muove ogni giorno.
Questo enorme volume di capitali di natura principalmente speculativa crea pressioni che si traducono in politiche economiche deflazionistiche, perche’ quel che il capitale speculativo vuole e’ una crescita bassa e una bassa inflazione.
Questo sta spingendo gran parte del mondo verso un nuovo equilibrio economico fatto di bassa crescita e bassi salari. Cio’ rappresenta un attacco micidiale agli sforzi dei governi di stimolare l’economia.

Info:
https://www.lapoesiaelospirito.it/2017/09/15/noam-chomsky-cosi-va-il-mondo/
https://www.ibs.it/cosi-va-mondo-libro-vari/e/9788856626674

Finanziarizzazione/Marcon

Giulio Marcon – Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – People (2023)

«La classe dirigente che ha fatto l’Italia era una classe dirigente che viveva molto del prestigio locale. Aveva rapporti con le casse di risparmio locali, con i dirigenti dell’economia della comunita’, o la chiesa, la politica locale […]
Questo da’ il senso che sei classe dirigente e che ti legittimi nella comunita’ locale di riferimento.
Oggi tutto questo non c’e’ piu’. In un’epoca in cui si fa impresa facendo produrre gli abiti in Cina, si usano gli ingegneri dell’India (in India) per la gestione di un centro di calcolo e si fa gestire il proprio portafoglio finanziario da una societa’ di Londra, i Marzotto e gli Olivetti non sarebbero piu’ possibili».
I ricchi globali, senza rapporto con il territorio e la societa’, si sentono in qualche modo deresponsabilizzati […]
La seconda novita’ e’ che la finanza ha sopravanzato l’economia reale. Si diventa sempre di piu’ ricchi con la finanza che, giorno dopo giorno, ha invaso anche il territorio dell’impresa tradizionale. La finanza è globalizzazione in se’ […]
«Non c’e’ piu’ lavoro, non c’e’ piu’ industria, c’e’ solo finanza. Anche dove c’e’, i manager, i presidenti, i membri dei Consigli di amministrazione badano a portare a casa utili e non a creare posti di occupazione.
E’ molto piu’ facile fare soldi con la finanza che con un’azienda dove, su 100 milioni di fatturato, maturo 5, al massimo 10 di utile: con la finanza, se ne metto 100 in Borsa, ne porto a casa 6-7 senza battere ciglio, senza fare niente […]
La terza trasformazione – la distruzione dei valori pubblici, della collettivita’ – e’ stata causata dal modello neoliberista impostosi nelle nostre societa’ dagli anni Ottanta a oggi.
Con la riduzione del ruolo dello Stato, la svalorizzazione del lavoro (precario e senza diritti) e la privatizzazione di tutto quello che puo’ essere privatizzato, il modello neoliberista ha distrutto l’idea di pubblico, di bene comune, di istituzione, di fiscalita’, di collettivita’ in nome di un’ideologia che ha declinato nel modo piu’ efficace l’assunto di Margaret Thatcher: «Non esiste la societa’, esistono gli individui», con i loro interessi e i loro egoismi […]
Accanto a queste trasformazioni di carattere strutturale (globalizzazione e finanziarizzazione della ricchezza, distruzione dei beni pubblici), vi sono altre cause di cui tener conto e che hanno colpito in pieno anche la classe imprenditoriale: la degenerazione dell’etica, dello spirito civile e della politica come bene comune; la decadenza dell’istruzione e della formazione; l’imbarbarimento della comunicazione pubblica, prima con la tv e oggi – ancora peggio – con il web e i social; la mutazione antropologica delle societa’ del consumo (da economia di mercato a societa’ di mercato), in cui “cittadino” e’ diventato sinonimo di consumatore e “persona” sinonimo di cliente, nel trionfo di un narcisismo di massa, che da malattia individuale e’ diventata patologia sociale […]
L’eredita’ e’ sempre di piu’ la motivazione principale non solo dell’accumulazione e della conservazione della ricchezza, ma anche della crescita delle diseguaglianze. Il rendimento del capitale accumulato (ed ereditato) sale a un tasso sensibilmente superiore a quello della bassissima crescita degli ultimi decenni […]
Il che significa che chi ha ingenti patrimoni vedra’ crescere la propria ricchezza molto di piu’ non solo di chi ha unicamente redditi (che difficilmente crescono oltre il tasso di crescita dell’economia), ma anche di quella diffusa classe media proprietaria che possiede solo la casa (spesso, di modesto valore) in cui vive.
Questo implica una «gravissima diseguaglianza nella distribuzione a lungo termine…

Info:
https://altreconomia.it/se-la-classe-inferiore-sapesse-chi-sono-i-ricchi-e-perche-continuano-a-essere-ammirati/
https://www.lafionda.org/2024/01/09/se-la-classe-inferiore-sapesse/
https://www.ossigeno.net/post/se-la-classe-inferiore-sapesse
https://altreconomia.it/perche-sappiamo-cosi-poco-dei-ricchi/