Stato/Undiemi

Lidia Undiemi – La lotta di classe nel XXI secolo. La nuova offensiva del capitale contro i lavoratori: il quadro mondiale del conflitto e la possibile reazione democratica – Ponte alle Grazie (2021)

Con molta probabilita’ il tramonto del neoliberismo trascinera’ con se’ l’uso strumentale della scienza – o piu’ concretamente delle cariche universitarie – per far accettare agli elettori scelte impopolari, spesso difficilmente e volontariamente incomprensibili per via degli astrusi tecnicismi utilizzati per proporle alle masse.
Come tutte le ideologie delle classi dominanti, anche quella neoliberista si nutre del culto dell’uomo superiore: l’intellettuale, il professore, lo scienziato.
La scienza come mezzo giustificativo dell’esercizio del potere politico in una data direzione ha trovato una sua precisa collocazione nei cosiddetti «governi tecnici», ossia governi i cui ministri vengono scelti in base alle competenze professionali – in genere, appunto, docenti universitari – e non appartengono esplicitamente ad alcuno schieramento politico.
Nessun partito e’ dunque responsabile dell’operato del governo tecnico, pur essendo questo legittimato dalla maggioranza. Ecco perche’ il governo tecnico e’ congeniale alle larghe intese […]
Cio’ che invero passa per la mente dell’elettorato dinanzi all’uso sbandierato di tecnici e’ la necessita’ di sopperire all’incapacita’ della classe politica di governare in momenti difficili.
Questo e’ il pensiero sincero, ma inconfessabile, compiuto da chi vota per digerire il fatto di essere guidati da personalita’ che magari sino al giorno prima della nomina erano perfetti sconosciuti

Info:
https://www.lidiaundiemi.it/libri/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.sinistrainrete.info/politica/23735-lidia-undiemi-reagire-e-non-aspettare-il-manifesto-della-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo.html
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lidia_undiemi__reagire_e_non_aspettare_il_manifesto_della_lotta_di_classe_nel_xxi_secolo/39130_47187/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/05/undiemi-la-pace-sociale-e-una-trappola-per-i-lavoratori-serve-una-ripresa-della-conflittualita-dal-governo-mi-attendo-nuova-riforma-lavoro/6120731/

Societa’/Capussela

Andrea Capussela – Declino Italia – Einaudi (2021)

Un’analisi pubblicata nel 2010 dimostra che rispetto ai primi decenni dopo la guerra la qualita’ media dei parlamentari e’ ora «drasticamente» piu’ bassa.
Il salto maggiore coincide con la cesura del 1992-94: rispetto ai loro predecessori, i parlamentari dell’ultimo quarto di secolo sono nettamente meno istruiti, meno rispettosi della legge, meno capaci nelle loro professioni.
Solo partiti che non temono la critica pubblica possono permettersi di presentare candidati sistematicamente peggiori dei precedenti.
La ragione puo’ anche essere che essi hanno smesso di competere tra loro, quantomeno su questo terreno: come i fornai di una citta’, che per arricchirsi a danno dei clienti decidessero di ridurre tutti la qualita’ delle farine mantenendo fermo il prezzo del pane.

Info:
https://www.letture.org/declino-italia-andrea-capussela
https://www.linkiesta.it/2020/11/lento-declino-italia-poverta-crisi/
https://open.luiss.it/2019/06/07/il-resistibile-declino-italiano-tra-debolezze-secolari-e-quattro-grandi-traumi/
https://www.pandorarivista.it/articoli/declino-italia-di-andrea-capussela/

Societa’/Urbinati

Nadia Urbinati – Pochi contro molti. Il conflitto politico nel XXI secolo – Laterza (2020)

La democrazia e’ un ordine politico aperto e, in teoria, inclusivo di tutti coloro che sono chiamati ad ubbidire alle leggi.
Per restare un gioco aperto, la democrazia non deve solo proteggere l’eguaglianza per legge, deve in aggiunta impedire che questa eguaglianza venga corrotta dalla formazione di una classe separata, ovvero che la scelta di chi deve svolgere le funzioni pubbliche finisca per restringere la partecipazione congelandola in un gruppo specifico.
La democrazia non rifiuta la leadership ne’ esclude la verticalita’ delle funzioni di governo – non e’ anarchia.
Tuttavia, si autodifende e si riproduce nel tempo pluralizzando la leadership (la liberta’ di parola serve a far crescere molti retori e politici) e facendo circolare le funzioni di governo tra il maggior numero possibile di cittadini […]
La storia degli ultimi decenni ha dimostrato che questa battaglia e’ stata persa: i partiti sono macchine elettorali, molto spesso addirittura prive di tesserati e iscritti, partiti rigidamente incentrati sui leader e sui loro strettissimi collaboratori o partiti internet con discussioni tra iscritti a un blog senza effettivo potere di controllo e di voce, la quale e’ uno strumento nelle mani dei leader per legittimare quel che vogliono o non vogliono.
A questo punto, la distinzione tra “noi” e “loro” e’ un fatto difficilmente camuffabile. Oggi, questa distinzione si impone nella forma piu’ cruda e diretta, quella che da’ ossigeno a leader demagogici e governi populisti: voi establishment/noi popolo; voi “i pochi”/noi “i molti”.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/pochi-contro-molti-il-conflitto-politico-nel-xxi-secolo-di-nadia-urbinati/
https://www.cattolicanews.it/pochi-contro-molti-la-democrazia-ha-bisogno-del-conflitto
https://www.nuovatlantide.org/pochi-contro-molti-il-conflitto-politico-nel-xxi-secolo/

Societa’/Capussela

Andrea Capussela – Declino Italia – Einaudi (2021)

“i partiti” “sono organizzazioni vaste e con fini generali.
La loro visione del bene comune e’ il risultato di un doppio lavoro di aggregazione e coordinamento: devono prima decidere quale posizione prendere sui singoli temi aperti, e poi ordinarle in una gerarchia di priorita’.
Su questo in ogni partito le minoranze organizzate – correnti, fazioni – possono esercitare un’influenza molto superiore al loro peso numerico, e si puo’ immaginare che dall’esterno altre minoranze organizzate – le «lobby» – finanzino e promettano voti a correnti e fazioni per spingerle a persuadere il partito a proteggere i propri interessi. Simile peso possono avere anche sulla selezione dei dirigenti e candidati del partito, che organizzano il lavoro di selezione delle priorita’ e poi le attuano.
Per descrivere questi fenomeni conviene usare una seconda definizione di «potere», piu’ generale: la capacita’ di indurre altri a fare cio’ che altrimenti essi non farebbero, o a non fare cio’ che altrimenti farebbero.
Tre principali elementi possono contenere il potere delle minoranze organizzate, e incanalarlo nella dialettica aperta e pluralistica menzionata sopra: la forza della cultura politica del partito, che esclude posizioni contrarie ai suoi indirizzi ideali di fondo; l’apertura della discussione pubblica interna, che favorisce scelte fondate piu’ sul merito delle proposte concorrenti che sull’equilibrio di potere tra i contendenti; e la qualita’ della democrazia interna e del meccanismo di selezione di dirigenti e candidati, che concede voce anche a chi non e’ parte di minoranze organizzate […]
La sfiducia nei partiti e’ diffusa, infatti, e al loro interno spiccano correnti e fazioni organizzate, talvolta di natura clientelare.
Le analisi piu’ convincenti descrivono partiti ormai distanti dalla societa’: non solo poco capaci, ma anche poco interessati a raccogliere le domande e le conoscenze dei cittadini, e ad agire quali loro fiduciari nei confronti delle autorita’ pubbliche.
Essi paiono invece aggrapparsi allo Stato, per ricavarne sia sostegno finanziario sia poteri grazie ai quali negoziare accordi reciprocamente vantaggiosi con le elite piu’ influenti e le minoranze organizzate piu’ forti.
Ne’ sorprende che simili partiti, legati da cosi’ forti interessi comuni, siano poco inclini a competere vigorosamente tra loro sul piano delle idee e dei programmi: la loro retorica pubblica e’ talvolta addirittura violenta, ma i loro interessi materiali li inducono piuttosto a colludere. Cio’ contribuisce, per chiudere il cerchio, a spiegare la bassa e calante qualita’ dei loro eletti. Le stesse riforme elettorali dell’ultimo quindicennio – le leggi dette «Porcellum» (2005), «Italicum» (2015), e «Rosatellum» (2017) – avevano lo scopo di eliminare o fortemente ridurre il potere degli elettori di scegliere i parlamentari, affidando invece la loro selezione a liste redatte dai partiti, spesso in esito a negoziati tra correnti, fazioni, reti clientelari e minoranze organizzate esterne. Queste leggi avevano anche altri obiettivi, naturalmente, ma tutte somigliano al gesto del feudatario che, sfidato dalla gente delle sue terre, si ritira nelle proprie mura e tira su il ponte levatoio

Info:
https://www.letture.org/declino-italia-andrea-capussela
https://www.linkiesta.it/2020/11/lento-declino-italia-poverta-crisi/
https://open.luiss.it/2019/06/07/il-resistibile-declino-italiano-tra-debolezze-secolari-e-quattro-grandi-traumi/

Populismo/Urbinati

Nadia Urbinati – Pochi contro molti. Il conflitto politico del XXI secolo – Laterza (2020)

L’elezione forma sempre un’elite.
I partiti di massa cercavano di tenere questa elite sotto controllo, in diretto contatto con i militanti, gli iscritti e gli elettori.
Con l’erosione dei partiti, “i molti” che restano fuori a guardare hanno in effetti solo uno strumento per far sentire la loro presenza: la forza visiva della pubblicita’.
Il pubblico che staziona fuori e’ un attore reattivo che partecipa essenzialmente giudicando i pochi protagonisti, pollice verso/pollice alto; e’ la riserva di energia del quale si alimenta il plebiscitarismo.
I click e i like sono il segno del gradimento e di un controllo labile e fittizio.
I progetti politici inclusivi e orientati al futuro propri della democrazia dei partiti hanno lasciato il posto a pratiche di monitoraggio e di misurazione sondaggistica, che suppongono un generico “dentro” e “fuori”; che presumono “i pochi” osservati, blanditi, amati, odiati e “i molti” che osservano, blandiscono, amano o odiano.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/pochi-contro-molti-il-conflitto-politico-nel-xxi-secolo-di-nadia-urbinati/
https://www.cattolicanews.it/pochi-contro-molti-la-democrazia-ha-bisogno-del-conflitto
https://www.nuovatlantide.org/pochi-contro-molti-il-conflitto-politico-nel-xxi-secolo/

Societa’/Pallante

Francesco Pallante – Contro la democrazia diretta – Einaudi (2020)

L’avvento, con la democrazia rappresentativa, del suffragio universale reca con se’ una complicazione, legata alla nascita dei partiti di massa che organizzano la partecipazione politica di un corpo elettorale divenuto amplissimo.
I partiti […] si trasformano in forze politiche strutturate su relazioni impersonali tra funzionari e iscritti, in cui gli eletti sono piu’ agevolmente in rapporto con i dirigenti di partito che con gli elettori.
Di qui, fin dalla prima meta’ del Novecento, la polemica contro le forze partitiche di massa, considerate, anziche’ strumenti di democrazia, macchine elettorali al servizio di singoli individui – i funzionari – tra loro in competizione per l’accaparramento delle cariche pubbliche, mentre gli elettori rimangono relegati in posizione di sudditanza […]
Da un lato, i partiti come causa della degenerazione del sistema politico: ipertrofici, autoreferenziali, bulimici di potere. Responsabili di aver «colonizzato» le istituzioni e di essersi «infiltrati» nella societa’ civile,  «usurpando» funzioni a loro esclusivo vantaggio. Dall’altro lato, i cittadini e i gruppi associativi: gli unici in grado di rimettere in moto il sistema politico, altrimenti irrimediabilmente ingolfato. A condizione di poter realmente «scegliere» e «decidere», attraverso un sistema elettorale maggioritario incentrato sull’«investitura popolare» del capo del governo e tramite adeguati strumenti di democrazia diretta (referendum abrogativo, deliberativo, propositivo ed elezioni primarie).

Info:
https://www.letture.org/contro-la-democrazia-diretta-francesco-pallante
https://www.questionegiustizia.it/articolo/sul-libro-di-francesco-pallante-contro-la-democrazia-diretta
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scommessa-della-rappresentanza-perche-la-democrazia-diretta-non-e-la-soluzione-alla-crisi-della-politica/

Societa’/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

In tutte le democrazie elettorali occidentali il sistema politico si configurava come un conflitto tra sinistra e destra di tipo classista, incentrato sul problema della redistribuzione.
I partiti socialdemocratici (intesi in senso ampio: dunque, il partito democratico negli Stati Uniti e le varie coalizioni di partiti socialdemocratici, laburisti, socialisti e comunisti in Europa) venivano votati dagli elettori socialmente piu’ svantaggiati, mentre i partiti di destra e di centrodestra (quali il partito repubblicano degli Stati Uniti e le varie coalizioni di partiti cristiano-democratici, conservatori e liberal-conservatori in Europa) raccoglievano i suffragi degli elettori socialmente piu’ avvantaggiati […]
Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, in tutti i paesi analizzati il sistema politico sopra descritto si e’ progressivamente logorato. I nomi dei partiti in qualche caso sono rimasti gli stessi (cosi’ e’ accaduto negli Stati Uniti per i partiti democratico e repubblicano, evidentemente ritenuti inossidabili nonostante i numerosi cambi di identita’); in altri casi, si e’ avuto un accelerato rinnovamento delle sigle, come e’ avvenuto in Francia e in Italia negli ultimi decenni. Ad ogni modo, che il nome dei partiti sia rimasto lo stesso o meno, la struttura del conflitto politico nelle democrazie elettorali occidentali tra il 1990 e il 2020 non e’ confrontabile con quella del periodo 1950-1980. Nel dopoguerra, in tutti i paesi analizzati, la sinistra elettorale era il partito dei lavoratori; negli ultimi decenni e’ invece diventata – un po’ dovunque – il partito dei laureati, che raccoglie consensi tanto maggiori quanto piu’ e’ elevato il titolo di studio degli elettori; in questo modo, gli elettori meno istruiti – che
pure hanno ridotto di molto la loro partecipazione alle urne – hanno progressivamente smesso di votare a sinistra, determinando cosi’ un completo ribaltamento dell’effetto istruzione sul voto.
E quando si verifica un cambiamento cosi’ radicale, in tanti paesi diversi e con una dinamica che dura da piu’ di sei decenni, non puo’ trattarsi soltanto di un abbaglio […]
La disaffezione delle classi popolari si spiegano con il fatto che partiti e movimenti politici non hanno saputo rinnovare la propria piattaforma ideologica e programmatica in modo da adeguarla alle nuove sfide socioeconomiche emerse nel corso dell’ultimo mezzo secolo, riconducibili soprattutto alla diffusione dell’istruzione e alla globalizzazione economica.
Con l’accesso senza precedenti all’istruzione universitaria, la sinistra elettorale e’ diventata il partito dei laureati e di chi ha avuto successo negli studi (la “sinistra intellettuale benestante”), mentre la destra elettorale ha continuato a essere votata – anche se meno di un tempo – da chi possiede redditi e patrimoni elevati (la “destra mercantile”). In questo modo, le due compagini che si sono alternate al governo hanno iniziato ad adottare politiche sociali e fiscali non troppo dissimili.
Inoltre, con lo sviluppo di scambi commerciali, finanziari e culturali su scala globale, tutti i paesi sono stati condizionati da una concorrenza sociale e fiscale sempre piu’ agguerrita, a tutto vantaggio dei gruppi che dispongono del capitale umano, di competenze e/o finanziario piu’ elevato e strutturato. Per contro, i partiti socialdemocratici non hanno mai messo a punto un programma di redistribuzione che andasse al di la’ dei rispettivi confini nazionali. In un certo senso, non hanno mai tenuto conto della preoccupazione espressa da Hannah Arendt quando, nel 1951, osservava che la regolamentazione delle forze incontrollate dell’economia globale sarebbe stata possibile soltanto a patto di sviluppare nuove forme politiche transnazionali.
Invece, a partire dagli anni ottanta-novanta del secolo scorso, i partiti socialdemocratici hanno fortemente contribuito a promuovere la liberalizzazione dei flussi di capitale, senza scambio di informazioni e nella totale assenza di norme e tasse comuni (nemmeno tra Stati membri dell’Unione Europea).

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Societa’/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

Tra le categorie poco qualificate che hanno votato massicciamente per i partiti della sinistra negli anni cinquanta e sessanta del Novecento e che, in gran parte, hanno smesso di votare per questi partiti nel periodo 1990-2020, si ritrovano in particolare i lavoratori del settore industriale.
Questa diminuzione del voto operaio per i partiti socialisti, comunisti, socialdemocratici, democratici e laburisti nei decenni del dopoguerra e’ un fenomeno molto noto, registrato in tutti i paesi occidentali.
La spiegazione piu’ ovvia e’ la crescente percezione, tra i lavoratori, che i partiti che avrebbero dovuto difenderli non lo hanno fatto, soprattutto nel contesto di un drastico calo dell’occupazione industriale e di una globalizzazione avvenuta senza il supporto di un’efficace regolamentazione collettiva del lavoro.
Invece, tra le categorie in rapida espansione di laureati altamente qualificati che hanno mantenuto il loro voto a sinistra (o talvolta aumentato il loro voto a sinistra), troviamo soprattutto: insegnanti, professionisti dell’intermediazione e dirigenti del settore pubblico, nonche’ professionisti della sanita’ e della cultura.
Il ribaltamento dell’effetto istruzione non e’ avvenuto nel vuoto pneumatico, o in un ambiente stabile. Si e’ verificato nel contesto di una societa’ in rapida evoluzione, connotata da un aumento senza precedenti dei livelli d’istruzione e di accesso all’istruzione secondaria e universitaria, nonche’ da un’espansione inedita del settore dei servizi […]
Per semplificare, si puo’ dire che ci sono due spiegazioni principali: un’ipotesi sociale e un’ipotesi nativista, che non si escludono a vicenda. L’ipotesi sociale, che sembra la piu’ importante e convincente, e’ che le categorie popolari si siano sentite via via sempre piu’ abbandonate dai partiti di sinistra, mano a mano che questi si orientavano verso altre categorie sociali (e in particolare verso i piu’ istruiti). L’ipotesi nativista sostiene che siano invece i partiti di sinistra a essere stati abbandonati dalle classi popolari, catturate dalle sirene del voto razzista e anti-immigrazione.
Questa seconda interpretazione e’ particolarmente diffusa negli Stati Uniti, dove spesso si sostiene (non senza motivo) che i bianchi delle classi lavoratrici nel Sud abbiano iniziato la loro lenta transizione verso il partito repubblicano quando, negli anni sessanta, i democratici sposarono la causa antirazzista e antisegregazionista […]
In particolare, e’ innegabile che negli ultimi decenni i temi nativisti, razzisti e anti-immigrati siano stati sfruttati in modo ossessivo dai tradizionali partiti di destra (a partire dal partito repubblicano negli Stati Uniti e dal partito conservatore nel Regno Unito), oltre che dai nuovi movimenti di estrema destra incentrati su questi temi (il cui archetipo e’ il Front national in Francia).
Tuttavia, l’ipotesi nativista e’ molto problematica e non sembra in grado di spiegare correttamente tutti gli sviluppi osservati. […]
Quindi e’ l’ipotesi sociale l’elemento dominante, quello che motiva la sensazione delle classi popolari di essere state tradite dal centrosinistra: un meccanismo al quale si e’ poi agganciato il discorso nativista.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Populismo/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Molti degli studi e delle analisi sul populismo hanno finito per tratteggiarne i caratteri solo per imputargli l’attacco alla democrazia liberale.
Ma, se la democrazia e’ in crisi, non e’ a causa del populismo: affermare questo significa, in definitiva, oscurare le profonde ragioni economiche, sociali e politiche che hanno portato a mettere in discussione le forme stesse della partecipazione democratica […]
Cosa spinge i populismi?
Per rispondere a questa domanda, studiosi e ricercatori hanno adottato un approccio che guarda, per cosi’ dire, ai due lati della questione: il “lato dell’offerta”, ovvero l’offerta politica, cio’ che i partiti hanno proposto, come si sono posti, su quali messaggi e contenuti hanno fatto leva; e il “lato della domanda”, cioe’ cosa l’opinione pubblica e i cittadini sono venuti chiedendo, quali domande hanno espresso […]
Dal lato dell’offerta, studiosi e commentatori hanno recentemente dedicato la loro attenzione a questioni come le difficolta’ attraversate dalla democrazia, la scomparsa dei partiti politici, il declino dei tradizionali partiti di sinistra e socialdemocratici, l’indebolimento dello Stato sociale a seguito della crisi economica del 2008 e gli effetti delle politiche di risanamento del bilancio adottate dai partiti tradizionali […]
I populismi, secondo questi studi, sono il risultato della crisi della democrazia rappresentativa, dovuta alla scomparsa dei partiti politici tradizionali, particolarmente quelli di sinistra, alla caduta della partecipazione politica e a politiche sociali ed economiche rigoriste: tutti fattori che avrebbero alimentato un’offerta politica che ha potuto sostituirsi ai precedenti partiti di riferimento venuti meno.
Dal lato della domanda, le spiegazioni possono essere sostanzialmente ricondotte a due categorie: la prima e’ quella dell’insicurezza economica, che enfatizza le conseguenze dei profondi cambiamenti verificatisi negli ultimi decenni, derivanti dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico che trasforma la forza lavoro e la societa’ nelle economie post-industriali (con esternalizzazione, aumento concorrenza dei paesi a basso salario, automazione) ma anche dalla crisi economica, dall’aumento della disoccupazione e dalla diminuzione del reddito; l’altra e’ la teoria della reazione culturale […] cioe’ una reazione contro valori progressisti, come il cosmopolitismo e il multiculturalismo, e lo spostamento verso valori “reazionari”, come quelli identitari e nazionalisti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
https://www.letture.org/le-radici-del-populismo-disuguaglianze-e-consenso-elettorale-in-italia-pier-giorgio-ardeni

Societa’/Pallante

Francesco Pallante – Contro la democrazia diretta – Einaudi (2020)

Per pigrizia intellettuale, oggi continuiamo a chiamare «partiti» entita’ che nulla piu’ hanno a che spartire con il dettato costituzionale.
Le forze politiche si sono tramutate in franchising di potentati personali o locali, essenzialmente rivolti all’occupazione del potere. Il piano ideale ha perduto significato; spesso sono vicende contingenti, prive di valore generale, a determinare le appartenenze. In molti si muovono, spensierati, tra una formazione e l’altra. Esponenti politici, anche di livello nazionale, si vendono all’asta. Ridicoli personaggi assurgono, per qualche tempo, a fulcro del sistema. Gli elettori sono cartolarizzati in pacchetti di voti compravendibili.
Ormai privo di punti di riferimento ideali, l’elettorato oscilla paurosamente, come una folla impazzita, all’inseguimento dell’imbonitore di turno. I consensi s’impennano e precipitano come sulle montagne russe. Vince chi la spara piu’ grossa. La credibilita’ delle proposte politichesi e’ tramutata in disvalore.
Nessuno piu’ prova a immaginare il futuro, a fissare lo sguardo sull’orizzonte: con il naso schiacciato sui sondaggi, sgomitano tutti per essere i primi a ripetere quel che gli elettori, abbandonati a se stessi, credono di voler sentirsi dire (cio’ che Rodota’ aveva efficacemente definito «sondocrazia»).
Da risorsa, i partiti sono divenuti una minaccia per la democrazia

Info:
https://www.letture.org/contro-la-democrazia-diretta-francesco-pallante
https://www.questionegiustizia.it/articolo/sul-libro-di-francesco-pallante-contro-la-democrazia-diretta
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scommessa-della-rappresentanza-perche-la-democrazia-diretta-non-e-la-soluzione-alla-crisi-della-politica/