Economia di mercato/Tuccari

Francesco Tuccari – La rivolta della societa’. L’Italia dal 1989 ad oggi – Laterza (2020)

In lenta ma costante decrescita demografica ma almeno relativamente piu’ popolosa, sempre piu’ multiculturale e meno giovane, tra il 1989 e i nostri giorni l’Italia ha quasi del tutto cessato di crescere sul piano economico, perdendo diverse posizioni nelle classifiche dei paesi piu’ ricchi e avanzati del mondo […]
Se guardiamo ai dati grezzi del Pil a parita’ di potere d’acquisto rilevati dall’Ocse, nel 1989 essa era gia’ da due anni la quinta potenza del pianeta, dopo Stati Uniti, Giappone, Germania e Francia e davanti al Regno Unito.
Oggi e’ in dodicesima posizione, dopo gli Usa, la Cina, l’India, il Giappone, la Germania, la Russia, il Regno Unito, il Brasile, la Francia, la Corea del Sud e il Messico, con tassi di crescita annuali che dal 1989 (3,5%) solo quattro volte hanno superato la soglia del 2% […]
Gli storici dell’economia parlano dunque, con buone ragioni, di un vero e proprio «declino» dell’Italia nell’era della globalizzazione.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139844
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-rivolta-della-societa-di-francesco-tuccari/
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quale-societa-si-rivoltadavvero

Lavoro/De Biase

Luca De Biase – Il lavoro del futuro – Codice (2018)

La tecnologia crea posti di lavoro o li distrugge?
Entrambe le risposte sono plausibili, perche’ il salto innovativo e’ enorme: e anche se internet, fissa e mobile, ha gia’ generato cambiamenti dirompenti in molti settori industriali, dall’editoria al commercio, dal turismo alle banche, la prossima ondata innovativa guidata dall’intelligenza artificiale e dalla robotica sembra destinata ad avere conseguenze ancora piu’ drastiche e ambigue.
Da un lato, la Commissione Europea fonda la propria policy sulla convinzione che il miglioramento nelle infrastrutture digitali e’ motivo di crescita: la modernizzazione delle connessioni internet e’ un investimento gigantesco che produrra’ quasi 1000 miliardi di euro di PIL in piu’ e 1,3 milioni di posti di lavoro entro il 2025.
D’altro lato, pero’, non manca chi vede proprio nelle tecnologie digitali una causa della distruzione di posti di lavoro, preoccupazione alimentata per esempio da una ricerca – di notorieta’ superiore alla sua ambizione analitica – condotta da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, dell’Universita’ di Oxford, che nel 2013 annunciava la probabile scomparsa del 47 per cento dei posti di lavoro statunitensi nei prossimi dieci-vent’anni […]
Ma vale la pena di ricordare che per Keynes le nazioni in cui la tecnologia distrugge piu’ posti di lavoro di quanti ne crea sono quelle non all’avanguardia del progresso tecnologico. Puo’ esserci una «disoccupazione tecnologica», sosteneva l’economista, ma a causa delle dinamiche competitive questa finisce per affliggere soprattutto chi innova di meno, perche’ crea meno posti.
L’Italia e’ costretta a riflettere su questo punto.
A dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria la disoccupazione nei Paesi OCSE e’ tornata ai livelli pre-2007-2008, ma in alcune economie resta sensibilmente peggiore. E tra queste economie c’e’ anche quella italiana.
L’Italia, peraltro, come registra lo “scoreboard” dell’agenda digitale europea, resta tra i Paesi meno avanzati in termini di digitalizzazione, e quindi di innovazione, dei processi amministrativi e imprenditoriali, sia per l’arretratezza delle infrastrutture sia per l’immaturita’ culturale e l’analfabetismo funzionale che la pervade, con uno stravolgente 47 per cento di persone che sanno leggere ma non capiscono bene quello che leggono.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/lavoro-del-futuro-luca-de-biase/
https://opentalk.iit.it/rubrica-book-review-il-lavoro-del-futuro/

Finanziarizzazione/Mason

Paul Mason – Postcapitalismo. Una guida al nostro futuro – il Saggiatore (2016)

Finanziarizzazione e’ una parola lunga: se potessi usarne una con meno sillabe lo farei, perche’ e’ il cuore del progetto neoliberista ed e’ necessario comprenderla meglio.
Gli economisti impiegano questo termine per descrivere quattro cambiamenti specifici, iniziati negli anni ottanta:
1. Le aziende hanno voltato le spalle alle banche e si sono rivolte ai mercati finanziari aperti per i fondi necessari alla loro espansione.
2. Come nuove fonti di profitto, le banche hanno puntato sui consumatori e su un insieme di attivita’ complesse e ad alto rischio che chiamiamo «investment banking».
3. I consumatori ormai partecipano direttamente ai mercati finanziari: carte di credito, scoperti di conto, mutui, prestiti per gli studi e auto comprate a rate sono entrati a far parte della vita di tutti i giorni […]
4. Tutte le forme semplici di finanza ormai generano un mercato finanziario complesso […]
Il vostro contratto di telefonia mobile, la vostra iscrizione in palestra, l’energia che consumate in casa – tutti i vostri pagamenti regolari – sono impacchettati in strumenti finanziari che generano interessi costanti per un investitore, molto prima che decidiate di acquistarli. E qualcuno che non avete mai incontrato scommettera’ sulla possibilita’ che voi onoriate i vostri pagamenti […]
La finzione che sta al cuore del neoliberismo e’ che tutti possono godersi lo stile di vita del consumatore senza bisogno che i salari crescano.
Ti puoi indebitare, ma non andrai mai in bancarotta: se ti indebiti per comprare una casa, il valore dell’immobile crescera’ sempre. E ci sara’ sempre inflazione: percio’, se ti indebiti per comprare una macchina, il valore del debito residuo si sara’ ridotto, nel momento in cui avrai bisogno di comprarne un’altra, lasciandoti ampio margine per indebitarti ancora di piu’ […]
Ma la finanziarizzazione ha creato problemi intrinseci, problemi che hanno innescato la crisi, ma che la crisi non ha risolto.
Mentre la moneta cartacea e’ illimitata, i salari sono reali.
Si puo’ andare avanti a creare moneta all’infinito, ma se ai lavoratori ne arriva una quota sempre piu’ bassa, e al contempo una parte crescente dei profitti e’ generata dai loro mutui e dalle loro carte di credito, prima o poi si andra’ a sbattere contro un muro.
A un certo punto, l’espansione dei profitti finanziari realizzati attraverso l’erogazione di prestiti a consumatori in affanno raggiungera’ il limite, e scattera’ indietro come una molla: e’ esattamente cio’ che e’ successo quando e’ scoppiata la bolla dei mutui subprime.

Info:
https://www.eunews.it/2017/05/13/il-postcapitalismo-secondo-paul-mason/85281
https://ilmanifesto.it/paul-mason-nelle-spire-del-postcapitalismo/
https://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2015/09/postcapitalismo/
https://www.pandorarivista.it/pandora-piu/postcapitalismo-di-paul-mason/

Capitalismo/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Per come la vedo io, il termine [Neoliberismo] si riferisce a un progetto di classe che ha preso corpo durante la crisi degli anni settanta.
Mascherato da una buona dose di retorica sulle liberta’ individuali, la responsabilita’ personale e le virtu’ della privatizzazione, del libero mercato e del libero scambio, questo progetto ha legittimato una serie di politiche draconiane mirate a ristabilire e a consolidare il potere della classe capitalista.
A giudicare dall’incredibile concentrazione della ricchezza e del potere osservabile in tutti i paesi che hanno preso la strada neoliberista, questo progetto ha avuto successo, e non c’e’ prova che sia morto.
Per esempio, uno dei principi pragmatici fondamentali emersi negli anni ottanta e’ che il potere statale dovrebbe proteggere gli istituti finanziari a qualsiasi costo […], principio, che e’ in aperta contraddizione con il non interventismo propugnato dalla teoria neoliberista […]
Detto grossolanamente, il principio consiste nel
privatizzare i profitti e socializzare i rischi, nel salvare le banche e spremere la gente.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Populismo/Urbinati

Nadia Urbinati – Io il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia – Il Mulino (2020)

Vediamo le cose piu’ chiaramente quando cessiamo di dibattere su cosa il populismo e’ – un’ideologia «debole» o una mentalita’ o una strategia o uno stile – e cominciamo invece ad analizzare cosa il populismo fa: in particolare, quando indaghiamo come trasforma o riconfigura le procedure e le istituzioni della democrazia rappresentativa […]
La democrazia rappresentativa e’ diarchica perche’ e’ un sistema misto di decisione e opinione, nel quale la «volonta’» (cioe’ il diritto di voto e le procedure e istituzioni che sovrintendono al processo decisionale) e l’opinione (cioe’ il dominio extra istituzionale dei giudizi politici e delle opinioni nelle loro sfaccettate espressioni) si influenzano reciprocamente, pur rimanendo indipendenti.
Le societa’ nelle quali viviamo sono democratiche non solo perche’ vi si tengono libere elezioni il cui risultato e’ conteso da due o piu’ partiti, ma anche perche’ consentono lo sviluppo di un reale antagonismo politico e il libero esplicarsi del confronto tra posizioni diverse e concorrenti […]
Mentre la democrazia diretta fa collassare il momento della volonta’ e quello del giudizio nell’atto stesso del voto, esaltando in tal modo il potere di decisione, la democrazia rappresentativa separa i due momenti e si avvale dei due poteri. Così facendo tiene aperto il processo politico alla formazione e all’azione dell’opinione e della partecipazione […]
In definitiva, la teoria diarchica della democrazia rappresentativa afferma due cose: che la volonta’ e l’opinione sono i due poteri dei cittadini sovrani; e che essi sono differenti e devono rimanere distinti, anche se sono in costante comunicazione reciproca.[…]
I leader populisti vogliono parlare direttamente al popolo e per il popolo, perche’ sono come il popolo, senza bisogno di intermediari (in particolar modo i partiti e i mezzi di comunicazione indipendenti). Percio’, anche se il populismo non rinuncia alle elezioni, le usa come una celebrazione della maggioranza e del suo capo, anziche’ come una competizione tra capi e partiti che permette l’accertamento della pluralita’ delle preferenze […]
In una democrazia rappresentativa tradizionale i partiti politici e i mezzi di comunicazione sono corpi intermedi di fondamentale importanza. Sono agenti della diarchia nel senso che permettono all’interno e all’esterno dello stato di comunicare, senza fondersi.
Una democrazia populista, al contrario, cerca di togliere di mezzo questi «ostacoli». Proclama di «democratizzare» il pubblico instaurando una comunicazione perfetta e diretta tra i due poli della diarchia che, a questo punto, sono tutt’uno.
L’obiettivo cui tende la contrapposizione della «gente comune» alla «casta» e’ convincere i cittadini che e’ possibile essere governati per via rappresentativa senza bisogno di una classe politica separata o di un «establishment»

Info:
http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/05/08/nadia-urbinati-e-il-populismo/
https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-03/la-verita-vi-prego-sul-populismo.html
https://www.fatamorganaweb.unical.it/index.php/2020/01/27/dal-populismo-al-popolo-democrazia-nadia-urbinati/

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simine Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

L’assunto incontrastato che domina il dibattito pubblico e’ che ogni provvedimento del governo deve fungere da stimolo alla produttivita’ del lavoro per rendere le imprese piu’ competitive.
Parlare solo di produttivita’ del lavoro, pero’, e non dell’intera struttura produttiva o dei costi totali per ciascuna impresa, e’ un atto deliberato.
Significa porre al centro della questione solo una sua parte, evitando di far accendere i riflettori sugli altri fattori produttivi che dipendono unilateralmente dalle scelte aziendali, come ad esempio il tipo di macchinari impiegati e quindi gli investimenti.
Puntano sempre il dito contro il costo del lavoro.
Tutti gli sforzi del governo, qualsiasi esso sia, devono necessariamente essere orientati alla compressione del costo del lavoro: salari, contributi sociali e previdenziali.
Come detto, in Italia questo ritornello va avanti da diversi decenni e la scarsa dinamica dei salari e’ fatta dipendere proprio dagli scarsi livelli di produttivita’ del nostro sistema economico […]
La cattiva fede dei sostenitori del taglio ai salari come volano della produttivita’ finisce per occultare la realta’ di un tessuto produttivo che nell’ultimo decennio ha vissuto un progressivo impoverimento, per cause non certo misteriose, ma tutte interne al processo di accumulazione capitalistico, sia in ambito nazionale che internazionale, Europa compresa.
Di nuovo: dalla crisi del 2008, infatti, l’industria manifatturiera italiana ha perso circa il 15% del suo apparato produttivo, mentre il volume in termini di valore aggiunto nel 2017 e’ di
10 miliardi in meno rispetto a quello registrato nel 2007, secondo quanto emerge dai dati del Rapporto annuale 2018 dell’Istat. Per non parlare dello slittamento dell’occupazione dai settori industriali a quelli dei servizi a basso valore aggiunto (alloggi, ristorazione, magazzinaggio).
Queste dinamiche dovrebbero spingere le forze di governo ad avviare una seria politica di investimenti, capaci di colmare nel medio periodo il gap tecnologico e di specializzazione che attanaglia l’economia italiana, unitamente a una politica salariale che sia almeno dignitosa […]
Un sistema produttivo che puo’ continuare ad accaparrarsi quote di profitto, aumentando il saggio di sfruttamento della forza lavoro, non ha alcuna urgenza a investire per migliorare la propria dotazione di capitale.
Quello che e’ avvenuto in Italia dagli anni Novanta sino al secondo decennio degli anni Duemila e’ esattamente questo: i profitti accumulati dalle imprese non sono stati reinvestiti nell’economia, generando un aumento della rendita tra il 1990 e il 2013 dell’84%, mentre la quota degli investimenti in rapporto ai profitti e’ caduta del 47%

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Economia di mercato/Bauman

Zigmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

Il welfare state e’ «uno strumento di repressione o un sistema per garantire l’emancipazione dal bisogno e mitigare i rigori dell’economia di mercato? Favorisce l’accumulazione del capitale e dei profitti o e’ un salario sociale da difendere e da aumentare come la busta paga? E’ una frode del capitalismo o una vittoria della classe operaia?» […]
La risposta piu’ ragionevole e’ che il welfare state e’ stato tutte queste cose e molte altre ancora.
La sua nascita e’ il prodotto di una combinazione di vari fattori quali: le pressioni derivanti da un’economia capitalistica in crisi, incapace di assicurare la propria sopravvivenza senza un aiuto politico; le spinte delle organizzazioni sindacali incapaci anch’esse di affrontare senza un analogo sostegno gli effetti dirompenti delle oscillazioni dei «cicli economici»; la necessita’ di riaffermare e difendere il principio della diseguaglianza sociale mitigandone le conseguenze piu’ inique e inaccettabili; il tentativo di far accettare questo principio emarginando coloro che rifiutavano di continuare ad avallarlo; e l’urgente necessita’ di contrastare con un intervento pubblico gli effetti devastanti di un’economia politicamente incontrollata […]
Pur se frutto di una combinazione di circostanze, il successo politico iniziale del welfare state sarebbe stato inconcepibile all’interno di una societa’ capitalistica se non ne avesse favorito lo sviluppo grazie ai servizi sociali che forniva.
Fra le sue molte altre funzioni, svolse infatti anche quella, essenziale, di garantire una continua «offerta di lavoro»: fornendo un’istruzione di buon livello, un’adeguata assistenza sanitaria e una sana alimentazione ai figli di genitori poveri, assicuro’ alle industrie un flusso costante di manodopera impiegabile, cosa che nessuna azienda da sola o insieme ad altre sarebbe stata in grado di procurarsi […]
Il welfare state creo’ un esercito industriale di riserva ben addestrato e pronto all’uso quando serviva.
Ma l’eventualita’ che gli imprenditori abbiano di nuovo bisogno dei servizi di questi disoccupati che vivono di assistenza pubblica, appare oggi sempre piu’ remota.
La manodopera eccedente rischia di non essere piu’, impiegabile, non tanto perche’ poco qualificata, bensi’ per l’assenza di domanda […]
Fin quando lo sviluppo di un’industria redditizia dipendeva dall’ampia disponibilita’ di forza lavoro, gli imprenditori erano ben lieti di trasferire all’erario i costi della formazione e dell’addestramento di un esercito di riserva.
Ma oggi non e’ piu’ cosi’. I profitti delle imprese derivano in gran parte da investimenti «strutturali» (pari a circa l‘80 per cento dei costi globali) che non comprendono l’assunzione
di un maggior numero di dipendenti.
Il reclutamento di manodopera si trasforma sempre piu’ da un vantaggio in una perdita. E i manager, soprattutto quelli di piu’ alto livello delle maggiori imprese, vengono riccamente ricompensati quando riescono a ridurre il personale […]
Gli interessi prioritari degli azionisti trovano del resto il sostegno dei mercati finanziari.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html
https://sociologia.tesionline.it/sociologia/libro.jsp?id=1714

Geoeconomia/Fagan

Pierluigi Fagan – Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

Le civilta’ storiche, a grana grossa e bordi sfocati, sono quella asiatica, che e’ indosinica (indo e sinico sono due poli distinti solo in parte sovrapponibili), quella centro-eurasiatica, quella
arabo-islamica (l’islam non e’ solo arabo ma anche asiatico e africano), quella europea-anglosassone (eurocontinentale e anglosassone sono due poli distinti piu’ sovrapponibili di quelli indo e sinico ma non completamente), quella andino-centro americana, la tradizione africana.[…]
Ai margini si trovano Stati di cui cresce la rilevanza per demografia, per l’incremento della sua ricchezza, per posizione strategica, per possesso di materie prime, come accade per la Corea del Sud, il sistema Australia-Nuova Zelanda, l’Indonesia, il Vietnam, il Pakistan, l’Iran, la Turchia, il sistema del Golfo arabico, l’Egitto, la Nigeria, il Sudafrica, il Brasile, il Venezuela, il Messico.
Taiwan, Israele e Corea del Nord sono Stati in posizioni delicate e il loro comportamento ha effetti ben maggiori della loro semplice consistenza.
Oltre alle civilta’ e agli Stati, ci sono soggetti economici e finanziari che per dimensione, raggio di interessi e capacita’ operativa equivalgono a nazioni. Poi ci sono i sistemi religiosi, quello cristiano e quello musulmano in primis che assieme coprono circa meta’ dell’umanita’, i soggetti non governativi, i soggetti sistemici transnazionali come le Nazioni Unite, la Banca Mondiale (WB), il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’OCSE e molti altri. Infine, molti Stati fanno parte di alleanze militari o commerciali.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump

Stato/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame! – Laterza (2019)

Il teorema secondo cui il taglio del cuneo fiscale delle imprese favorirebbe la crescita dell’economia italiana e i salari dei lavoratori e’ falso.
Cosi’ come falsa e’ la relazione tra meno tasse alle imprese e maggiori investimenti.
I fatti presentati nell’ultimo rapporto Ocse sulle imposte sul lavoro raccontano una realta’ molto diversa da quella in auge nel dibattito pubblico nostrano. In primo luogo, non e’ vero che l’Italia e’ il paese con il cuneo fiscale piu’ alto tra i paesi Ocse.
Prima dell’Italia si posizionano, infatti, il Belgio con un cuneo fiscale del 53,3%, la Germania con un valore che si attesta al 49,7% e solo al terzo posto c’e’ l’Italia, dove esso raggiunge quota 47,7%, molto simile a quello registrato in Francia (47,6 %) e in Austria (47,4 %).
Insomma, l’Italia e’ in buona compagnia per quanto riguarda le imposte sul lavoro; peccato che il ritmo con cui crescono redditi e salari dei lavoratori francesi, austriaci, tedeschi
e belgi sia da due decenni ormai ben al di sopra di quelli registrati in Italia.
Inoltre, sempre l’Ocse afferma che in Italia dal 2016 al 2017 la componente non salariale del costo del lavoro e’ continuata a diminuire. Un trend che e’ iniziato proprio nel primo decennio del secolo con le manovre di taglio al costo del lavoro, portate avanti dai governi di diverso colore politico.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Capitalismo/Arlacchi

Pino Arlacchi – I padroni della finanza mondiale – Chiarelettere (2018)

A proposito della finanza capitalistica dominante, siamo vittime di una colossale lacuna informativa.
I media occidentali sono totalmente allineati con le ragioni dell’elite finanziaria e del suo fondamentalismo di mercato […] Giornali e televisioni hanno convinto la maggior parte degli europei che la stagnazione dei loro redditi, la sottoccupazione diffusa, gli shock finanziari, l’assenza di crescita economica siano come il maltempo o le catastrofi naturali.
Ineluttabili e imprevedibili.
Oppure sono dovuti ai «diavoli del giorno» come il debito pubblico italiano, la concorrenza cinese, i russi padroni delle fonti energetiche, gli immigrati e i rifugiati.
Nei media europei e americani non viene spesa alcuna parola contro la speculazione e il parassitismo di chi scommette sugli spread, non finanzia le imprese industriali e promuove una liberalizzazione e privatizzazione dietro l’altra.
E nel frattempo interi paesi come il Regno Unito, l’Italia e la Grecia vengono degradati e depredati […]
Il punto centrale che si evita di spiegare con parole chiare al largo pubblico e’ questo: la presa del potere da parte della finanza ha creato un sistema nel quale i guadagni dell’economia, i profitti delle imprese, i risparmi dei cittadini non finanziano piu’ nuove idee e nuovi progetti di investimento che creano lavoro e fanno salire stipendi e salari.
Il surplus economico resta all’interno del circuito finanziario e serve a sostenere la securitization, un bizzarro termine che indica la messa in sicurezza dei beni, ma che implica la mercificazione di tutto cio’ che valga qualcosa.
Azioni, obbligazioni, merci, materie prime, mutui, case, proprieta’ varie sono trasformati in prodotti commerciabili che vengono parcellizzati e giocati a dadi quante piu’ volte possibile. Fino a che il gioco va male e tutto esplode, come nella grande crisi del 2008-2010.
E’ stato calcolato che solo il 10-15 per cento dei flussi finanziari totali finisce nell’economia reale e nel sostegno di idee innovative. Il resto rimane nel «capitalismo da casino’» che arricchisce finanzieri, grandi capitalisti, individui e famiglie superfacoltose: l’infausto 0,5 per cento della popolazione che detiene quasi la meta’ della ricchezza mondiale.

Info:
https://www.interris.it/news/esteri/chi-sono-i-padroni-della-finanza-mondiale/
https://www.edizionipolis.it/magazine/2019/03/29/economia-e-finanza-mondiale-arlacchi-il-neoliberalismo-oggi-vive-una-profonda-crisi/