Capitalismo/Pennacchi

Laura Pennacchi – Democrazia economica. Dalla pandemia a un nuovo umanesimo – Castelvecchi (2021)

I Paesi occidentali – non ultima l’Italia – scontano gli esiti del depotenziamento e della dilapidazione di abilita’ delle pubbliche amministrazioni imposte per decenni dall’egemonia neoliberista: l’imponente arretramento dello Stato si e’ risolto in un prosciugamento delle sue energie.
Lo starving the beast di bushiana memoria – concretizzatosi in tagli delle tasse a vantaggio dei ricchi e ulteriore contrazione delle entrate pubbliche – ha talmente affamato le “bestie governative” da averle quasi tramortite.
Anche perche’ l’ostilita’ allo Stato e’ stata alimentata da anni di nefasta teorizzazione di matrice blairiana della superiorita’ delle pratiche di governance su quelle di government, esplicitamente indicate, e auspicate (si vedano i numerosissimi scritti di Sabino Cassese), come metodi di «amministrativizzazione» mediante «depoliticizzazione»

Info:
https://www.rivisteweb.it/doi/10.7384/101090
http://www.castelvecchieditore.com/2021/03/06/democrazia-economica-di-laura-pennacchi/

Finanziarizzazione/Klein

Matthew C. Klein, Michael Pettis – Le guerre commerciali sono guerre di classe. Come la crescente disuguaglianza corrompe l’economia globale e minaccia la pace internazionale – Einaudi (2021)

Ci sono molte ragioni legittime per cui le aziende americane operano in Irlanda: una forza lavoro anglofona e altamente istruita, un facile accesso al grande mercato di consumatori dell’Unione europea e brevi voli diretti verso molte delle piu’ importanti citta’ americane.
Fino agli anni novanta, pero’, la Repubblica d’Irlanda era un paese povero e sperduto alla periferia dell’Europa. E’ confinata su un’isola per lo piu’ rurale e ha un passato di rapporti complicati con il suo principale vicino.
Per superare questi svantaggi, il governo irlandese usa da tempo le agevolazioni fiscali per attrarre gli investimenti stranieri. L’aliquota tributaria ufficiale per le societa’ e’ di appena il 12,5 per cento. E’ una delle piu’ basse del mondo ed e’ da anni uno dei principali motivi per cui cosi’ tanti farmaci sono prodotti in Irlanda.
Ma le societa’ americane non sono interessate tanto alla bassa aliquota fiscale, quanto alla possibilita’ che le loro filiali «registrate» in Irlanda risultino «fiscalmente residenti» nelle Cayman o a Bermuda, dove l’aliquota tributaria per le societa’ e’ zero.
Mettete insieme un paio di queste controllate quasi irlandesi, spesso con una olandese in mezzo, poi spostate i profitti da giurisdizioni ad alta imposizione come la Germania a quelle a bassa imposizione come l’Irlanda, e la vostra multinazionale potra’ estrarre dal cilindro un’aliquota fiscale prossima allo zero sui suoi redditi internazionali.
Nel 2018, l’anno piu’ recente con dati completi, le controllate irlandesi delle corporation americane hanno generato profitti per circa 53 miliardi di dollari – piu’ o meno quanto i profitti generati complessivamente dalle controllate americane in Canada (31 miliardi di dollari), in Cina (13 miliardi di dollari) e in Giappone (13 miliardi di dollari) messe insieme.
Sempre nel 2018 le controllate olandesi delle societa’ americane hanno generato profitti per 87 miliardi di dollari – piu’ o meno pari ai profitti complessivi guadagnati in Australia (10 miliardi di dollari), Brasile (4 miliardi di dollari), Regno Unito (47 miliardi di dollari), Francia (2 miliardi di dollari), Germania (7 miliardi di dollari), Hong Kong (8 miliardi di dollari) e Messico (9 miliardi di dollari). Un simile risultato non puo’ essere spiegato dalle reali relazioni economiche; la spiegazione sta invece nel trasferimento dei profitti per pagare meno tasse. Insieme, quei sette paradisi fiscali sono stati responsabili nel 2018 di piú di 324 miliardi di dollari di reddito da investimenti diretti americani.

Info:
https://www.lavoce.info/archives/68783/guerre-commerciali-e-disuguaglianze/
https://www.repubblica.it/robinson/2020/08/18/news/bentornata_cara_vecchia_lotta_di_classe-300827708/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/11/i-super-ricchi-alla-base-delle-crisi-come-evitarlo-misure-fiscali-parla-lautore-del-libro-che-lega-guerre-commerciali-e-lotta-di-classe/6009245/

 

Stato/Habermas

Jurgen Habermas, Wolfgang Streeck – Oltre l’austerita’. Disputa sull’Europa – Castelvecchi (2020)

Ai tassi di inflazione crescente degli anni Settanta si sostituisce il progressivo indebitamento delle famiglie e dei bilanci pubblici.
Cresce parallelamente anche l’ineguaglianza quanto alla distribuzione del reddito, mentre le entrate statali diminuiscono per rapporto alla spesa pubblica.
Con l’aumento delle disuguaglianze sociali lo Stato tributario subisce in tale sviluppo una trasformazione: «Lo Stato democratico, governato e alimentato dai propri cittadini in quanto Stato tributario, si converte in Stato di debito democratico, nella misura in cui il suo sostentamento poco a poco non dipende piu’ dai cittadini contribuenti ma dai suoi creditori».
Dentro l’Unione economica e monetaria europea i limiti imposti dai “mercati” all’azione politica degli Stati mostrano il loro carattere perverso. La trasformazione dello Stato tributario in Stato di debito fa da sfondo al circolo vizioso con cui gli Stati salvano le banche insolventi, per finire a loro volta trascinate verso il fallimento da queste ultime, rimettendo di conseguenza il destino della popolazione nelle mani del regime finanziario imperante

Info:
https://open.luiss.it/2021/04/02/un-destino-comune-nel-nome-della-solidarieta/
https://www.lafionda.org/2021/03/30/quali-prospettive-per-la-solidarieta-europea-nello-scenario-post-covid/
https://www.reset.it/articolo/come-nasce-leuropa-streit-tra-jurgen-habermas-e-wolfgang-streeck
https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/19326-paolo-ortelli-capitalismo-e-democrazia-catastrofe-o-rivoluzione.html

Europa/Habermas

Jurgen Habermas, Wolfgang Streeck – Oltre l’austerita’. Disputa sull’Europa – Castelvecchi (2020)

L’aumento incontrollato e preoccupante del debito statale dei paesi del Sud Europa, al centro della polemica politica in quel momento, non potevano essere imputati in alcun modo a un «eccesso di democrazia»: ossia a una crescita incontrollata di richieste da parte della popolazione, che aveva prelevato per se’ troppe risorse negli ultimi decenni, attingendo ai fondi pubblici e vivendo al di sopra delle sue reali possibilita’ […]
Gli Stati venivano trasformati in soggetti collettivi dotati di responsabilita’ individuale e, come tali, messi gli uni contro gli altri, da una parte quelli spendaccioni, un po’ indolenti e corrotti del Sud Europa, dall’altra quelli del rigore virtuoso del Nord, di modo che alla fine la solidarieta’ di questi ultimi nei confronti dei primi doveva apparire anche come una punizione […]
La crisi del debito sovrano dei paesi europei andava letta, all’opposto, come l’esito ultimo della complessiva perdita di potere politico da parte della democrazia di massa, registratasi in tutti gli Stati occidentali negli ultimi decenni, e conseguente alla vittoria del neoliberismo nei confronti del capitalismo democratico del dopoguerra.
La crisi debitoria in corso non era stata, quindi, l’effetto di un eccesso di spesa, come volevano i teorici neoliberisti del common pool che si erano occupati del fallimento dello Stato fiscale, ma al contrario la conseguenza del fatto che i gruppi che avevano beneficiato maggiormente dell’economia capitalistica negli ultimi decenni avevano versato nelle casse dello Stato sempre meno, godendo di tagli fiscali, nonostante il loro reddito e il loro patrimonio fossero aumentati costantemente, a spese di coloro che avevano invece continuato a vivere di salario.
Il dibattito pubblico neonazionalista aveva fatto apparire il sovraindebitamento nazionale come un’accusa mossa contro i cittadini di un certo paese, che avevano fatto una vita comoda a spese dei cittadini di altri paesi.

Info:
https://open.luiss.it/2021/04/02/un-destino-comune-nel-nome-della-solidarieta/
https://www.lafionda.org/2021/03/30/quali-prospettive-per-la-solidarieta-europea-nello-scenario-post-covid/
https://www.reset.it/articolo/come-nasce-leuropa-streit-tra-jurgen-habermas-e-wolfgang-streeck
https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/19326-paolo-ortelli-capitalismo-e-democrazia-catastrofe-o-rivoluzione.html

Stato/AA.VV.

Facundo Alvaredo, Lucas Chancel, Thomas Piketty, Emmanuel Saez, Gabriel Zucman – Rapporto sulle disuguaglianze nel mondo – La Nave di Teseo (2019)

L’aumento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza nei diversi paesi ha incentivato gli aumenti della disuguaglianza economica globale.
Ipotizzando che tale tendenza globale rifletta la combinazione di avvenimenti occorsi in Cina, Europa e Stati Uniti, si osserva che fra il 1980 e il 2006 la quota parte di ricchezza detenuta dall’1% dei soggetti piu’ ricchi del mondo e’ passata dal 28% al 33%, mentre quella detenuta dal 75% dei piu’ poveri e’ rimasta intorno al 10% […]
In uno scenario di “ordinaria amministrazione”, entro il 2050 la quota parte di ricchezza detenuta dall’1% dei soggetti piu’ ricchi potrebbe arrivare al 39%, mentre il gruppo dello 0,1% dei soggetti piu’ ricchi potrebbe possedere quasi la stessa ricchezza (il 26%) di quella posseduta da tutta la classe media (il 27%) […]
La riduzione della disuguaglianza economica e reddituale esige importanti modifiche delle politiche fiscali nazionali e globali.
L’istruzione, la governance aziendale e i regimi salariali devono essere ridefiniti in molti paesi.
Anche la trasparenza dei dati e’ fondamentale. Un regime di tassazione progressiva e’ strumento di documentata efficacia per controllare l’incremento della disuguaglianza dei redditi e della ricchezza al vertice della piramide distributiva […]
Il sistema fiscale e’ uno strumento fondamentale per controllare la disuguaglianza economica, ma deve rimuovere molti ostacoli potenziali. L’evasione fiscale e’ uno dei più pericolosi, come hanno recentemente documentato le rivelazioni dei Paradise Papers.
La ricchezza conservata nei paradisi fiscali e’ notevolmente aumentata dagli anni settanta e rappresenta attualmente circa il 10% del PIL mondiale.
La diffusione dei paradisi fiscali rende difficile, in un mondo globalizzato, la quantificazione precisa, nonche’ la tassazione dei patrimoni e dei redditi da capitale.
Il catasto dei terreni e degli immobili esiste da secoli, ma non comprende una quota significativa della ricchezza detenuta attualmente dai nuclei familiari, perche’ i patrimoni sono sempre piu’ spesso costituiti da portafogli di titoli finanziari. Ci sono molte misure tecniche che le autorita’ fiscali dei vari paesi potrebbero adottare per creare un’anagrafe finanziaria globale in grado di combattere in modo efficace le frodi fiscali.

Info:
https://www.lifegate.it/world-inequality-report-2018
https://www.ilsole24ore.com/art/disuguaglianze-26-posseggono-ricchezze-38-miliardi-persone-AEldC7IH?refresh_ce=1
https://www.ribalta.info/lanalisi-piu-completa-delle-disuguaglianze-nel-mondo/

Capitalismo/Deneault

Alain Deneault -Economia dell’odio – Neri Pozza (2019)

Di fronte al fenomeno offshore, nell’autunno 2017 le autorita’ pubbliche francesi hanno chiaramente scelto di capitolare.
Invece di fare opera di contrasto nei confronti dei paradisi fiscali, la Francia si e’ messa a imitarli. […]
Il primo ministro Edouard Philippe ha dichiarato che lo Stato ha escluso dall’imposta di solidarieta’ sulla ricchezza (che tassa i piu’ ricchi a fini redistributivi) i profitti derivanti dai capitali per evitare che questi ultimi non se ne vadano o non restino “all’estero”, non osando parlare in maniera esplicita delle legislazioni offshore e della logica del dumping fiscale che tali capitali producono nel mondo.
Stessa posizione per quel che riguarda gli utili delle imprese, questa volta annunciata dal ministro dell’Economia e delle Finanze Bruno Le Maire: in nome della “concorrenza fiscale”, in Francia l’aliquota di tassazione sulle società passera’, entro il 2022, dall’attuale 33,3 per cento al 25. Ovvero: le autorita’ pubbliche non solo non combattono lo scandaloso permissivismo normativo dei paradisi fiscali, ma s’ispirano alle loro pratiche […]
La Francia da’ invece prova di riserva mentale quando dovrebbe a sua volta contestare, a livello diplomatico politico e commerciale, le legislazioni compiacenti come quelle adottate da paesi come Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo, Bahamas, Liechtenstein o Isole Marshall.
Per cosa esattamente? Il piu’ delle volte, quelle legislazioni specificano che i profitti provenienti dall’estero potranno essere oggetto di tornaconti straordinari solo a condizione di non riguardare affatto la loro economia reale.
Cosi’ in questi paradisi fiscali si creano degli enti giuridici […] che non conducono nessuna attivita’ nello Stato che le rende possibili, pur rivelandosi al di fuori della portata delle istituzioni pubbliche dei paesi interessati dal capitale che esse amministrano.
Queste legislazioni cosi’ elastiche permettono all’oligarchia finanziaria e industriale mondiale di convogliare miliardi di miliardi di dollari verso regimi anomici, comportando una destabilizzazione dell’ordinamento economico mondiale pur nell’evidenza dell’assurdita’ di vari dati ufficiali. Per esempio, Jersey e’ presentato come grande esportatore di banane o le Isole Vergini britanniche come partner commerciale del calibro della Cina.
Ma, invece di contrastare il fenomeno, alcune grandi potenze, come appunto la Francia, si piegano alle regole del gioco come se quest’ultimo fosse davvero sensato. Cosi’, ecco spuntare la necessita’ di ridurre di svariati punti l’aliquota riguardante i redditi delle imprese, come gia’ fanno il Regno Unito, la Svezia, la Danimarca, la Germania e la Finlandia, per non parlare di quella incredibilmente bassa dei paesi dell’Europa orientale, i quali a loro volta affermano di doversi difendere dalla concorrenza fiscale delle Barbados, della Svizzera e di Hong Kong […]
Il denaro spostato nei paradisi fiscali non comporta soltanto delle perdite considerevoli nei diversi erari per il fatto che non viene tassato; esso crea anche un fenomeno di dumping a livello planetario.
Emulandosi a vicenda, molti dirigenti politici di rilievo internazionale stanno provvedendo, ciascuno nel proprio paese, alla riduzione delle aliquote d’imposta sul capitale e sui relativi redditi. Tali costi si misurano in maniera dolorosa, specialmente in drastiche perdite di servizi e di programmi sociali, per non parlare del debito pubblico destinato a salire di conseguenza, o dell’aumento delle tariffe dei servizi pubblici non ancora soppressi

Info:
https://neripozza.it/libri/economia-dellodio
https://www.che-fare.com/violenza-buona-governance-deneault/

Stato/Saez

Emmanuel Saez, Gabriel Zucman – Come i ricchi evadono le tasse e come fargliele pagare – Einaudi (2020)

Ma e’ davvero un problema che la tassazione si sia ridotta a una gigantesca flat tax e riservi un trattamento preferenziale ai super-ricchi?
Perche’ dovremmo preoccuparcene? […]
Chiariamo poi che gli Stati Uniti non sono la sola democrazia che ha una fiscalita’ molto meno progressiva di quanto sembri a prima vista […] operare un confronto internazionale rigoroso e’ difficile, ma i migliori dati disponibili indicano che gli Stati Uniti sono in buona compagnia: in Francia, per esempio, in fin dei conti la tassazione non e’ tanto piu’ progressiva.
A nostro avviso, la scarsa progressivita’ della tassazione dovrebbe preoccuparci per tre motivi.
In primo luogo, per semplici questioni di bilancio. Anche se si considerano solo i gradini piu’ alti della scala del reddito, laddove le imposte diventano regressive, la posta in gioco e’ notevole.
Oggi lo 0,001 per cento piu’ ricco paga le tasse a un’aliquota del 25 per cento. Portandola al 50 per cento, a parita’ di tutte le altre condizioni, si avrebbe un gettito aggiuntivo di 100 miliardi di dollari all’anno. E sarebbe una somma sufficiente a incrementare il reddito netto di tutti i lavoratori adulti di 800 dollari all’anno […]
In secondo luogo, e’ una questione di equita’.
Delle imposte che i piu’ abbienti non pagano dobbiamo farci carico tutti noi. Si potrebbe obiettare che ognuno ottiene dal mercato il reddito che merita; che dopo le ingiustizie subite negli anni Sessanta e Settanta, oggi i ricchi ricevono la giusta ricompensa dai mercati liberi e globalizzati. Non siamo d’accordo con questa visione – che talvolta si definisce fondamentalismo di mercato –, ma se non altro ne riconosciamo la coerenza.
Eppure, in base a quale criterio e’ giusto che i miliardari paghino meno tasse di tutti, e che il carico fiscale si alleggerisca quanto piu’ aumentano le ricchezze? […]
Ma forse l’attuale sistema fiscale americano va criticato soprattutto perche’ alimenta la spirale della disuguaglianza.
Come abbiamo visto, la quota di reddito dell’1 per cento piu’ ricco e’ lievitata mentre quella dei lavoratori crollava. E, anziche’ contrastarla, il sistema fiscale ha rafforzato questa tendenza. In passato i ricchi pagavano molte tasse, ora ne pagano meno. In passato i poveri pagavano relativamente poco, ora sopportano un carico fiscale piu’ gravoso

Info:
https://iltalebano.com/2019/10/16/il-trionfo-dellingiustizia/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/19/fisco-aumenti-delliva-e-tasse-sulla-casa-fanno-il-gioco-dei-super-ricchi/5971095/

Stato/Saez

Emmanuel Saez, Gabriel Zucman – Il trionfo dell’ingiustizia. Come i ricchi evadono le tasse e come fargliele pagare – Einaudi (2020)

Ma come mai a meta’ anni Ottanta, in un paese che da decenni tassava al 90 per cento i redditi alti, il governo giunse alla conclusione che invece fosse preferibile un’aliquota del 28 per cento?
La nettissima inversione di tendenza e’ in parte lo specchio dei profondi mutamenti politici e ideologici che, sei anni prima, avevano portato all’elezione di Reagan.
Recuperando e modernizzando la retorica antifiscale che imperversava negli Stati meridionali prima della guerra civile, il Partito repubblicano aveva intercettato il voto degli elettori con reddito alto di tutto il paese e dei bianchi del Sud. La Mont Pelerin Society la propugnava sin dalla fondazione nel 1947; Barry Goldwater ne aveva fatto la sua bandiera nella corsa alle presidenziali del 1964; negli anni Settanta, una rete di fondazioni conservatrici si era spesa per divulgarla: la dottrina dello Stato minimo aveva infine pervaso il pensiero comune e vinto politicamente.
Secondo questa dottrina, la funzione primaria dello Stato e’ difendere i diritti di proprieta’; il motore della crescita economica e’ la massimizzazione dei profitti, associata alla riduzione al minimo della pressione fiscale.
«La societa’ non esiste, esistono solo gli individui». E per gli individui atomizzati le tasse sono una perdita netta, un furto

Info:
https://iltalebano.com/2019/10/16/il-trionfo-dellingiustizia/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/19/fisco-aumenti-delliva-e-tasse-sulla-casa-fanno-il-gioco-dei-super-ricchi/5971095/

Capitalismo/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – LaNave di Teseo (2020)

Diversi studi e ricerche hanno documentato il ruolo centrale assunto dai socialdemocratici europei, e in particolare dai socialisti francesi, nell’impulso alla liberalizzazione dei flussi di capitale attuata, in Europa e nel mondo, a partire dalla fine degli anni ottanta del Novecento […]
Tuttavia, non sembra che i protagonisti dell’epoca avessero pienamente compreso le conseguenze a lungo termine di una liberalizzazione assoluta dei flussi di capitale […]
La liberalizzazione dei flussi di capitali genera difficolta’ quando non e’ accompagnata da accordi internazionali che consentano sia scambi automatici d’informazioni sull’identita’ dei titolari dei capitali stessi, sia l’attuazione di una politica coordinata ed equilibrata di regolamentazione e di tassazione adeguata degli utili, dei redditi e dei patrimoni interessati.
Il problema e’ che la libera circolazione delle merci e dei capitali, cosi’ come la si e’ attuata a livello mondiale a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, sotto l’influenza sia degli Stati Uniti sia dell’Europa, e’ stata concepita a prescindere da qualsiasi obiettivo fiscale e sociale: come se la globalizzazione potesse fare a meno di un gettito fiscale, di investimenti nel campo dell’istruzione, di regole sociali e ambientali.
A quanto sembra, l’assunto implicito e’ che ogni Stato-nazione debba affrontare da solo questi temi, mentre i trattati internazionali avrebbero l’unica funzione di organizzare la libera circolazione, e d’impedire agli Stati di ostacolarla

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Uno degli errori di fondo commessi dall’Unione europea al momento dell’introduzione del mercato unico, che ha liberalizzato la migrazione delle persone e la mobilita’ dei capitali, e’ stato l’insufficiente attenzione dedicata all’armonizzazione fiscale.
Sul piano teorico, l’idea alla base del mercato unico era che avrebbe consentito alle imprese di spostarsi dove i costi erano minori e da li’ spedire le proprie merci verso tutta Europa: cio’ avrebbe provocato un aumento della domanda di lavoro nei paesi a bassi salari, accelerando cosi’ la convergenza delle economie in Europa.
Le imposte possono pero’ distorcere questo processo apparentemente armonico. Per le imprese cio’ che conta sono i rendimenti al netto delle imposte: percio’ esse sono sensibili – oltre che ai salari, all’efficienza del lavoro, al contesto economico generale, ai costi di trasporto e agli altri fattori di produzione – anche alle imposte da pagare. E nel brevissimo termine l’unica variabile che i paesi possono modificare, per attrarre le imprese, e’ proprio l’aliquota sul reddito d’impresa […]
Le prove di questa gara fiscale al ribasso sono davanti ai nostri occhi.
Tra il 1995 e il 2018 l’aliquota media sul reddito delle societa’ in Europa e’ scesa dal 35 al 22 per cento. Ed e’ prevedibile che la discesa prosegua, visto che Francia, Grecia, Olanda e Svezia hanno gia’ annunciato ulteriori riduzioni delle aliquote.
Riducendo le aliquote, un paese punta a guadagnare posti di lavoro e gettito fiscale, sperando che l’incremento della base imponibile compensi ampiamente la perdita di gettito immediata dovuta alla riduzione di aliquote.
Tuttavia, questi guadagni avvengono in gran parte a scapito di altri paesi, soprattutto altri membri dell’Unione europea.
Naturalmente, questa strategia di rob-thy-neighbour [rapina il tuo vicino] e’ del tutto incompatibile con lo spirito di solidarieta’ europeo.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/