Finanziarizzazione/Stiglitz

Un’economia per l’uomo – Joseph Stiglitz – Castelvecchi (2016)

Ci sono due aspetti della crisi che non hanno attratto sufficientemente l’attenzione.
Il primo e’ la condotta moralmente deprecabile dimostrata da molti nel settore finanziario. Abbiamo ampie e documentate prove del fatto che ci si e’ approfittati dei meno scolarizzati e di quelli finanziariamente meno accorti, allo scopo di massimizzare i profitti.
Quando alle banche sono esplosi in mano gli ordigni che loro stesse avevano creato, il governo e’ intervenuto a salvarle, lasciando invece coloro che ne erano stati vittime in balia di se stessi […]
Il secondo aspetto e’ che molti operatori del settore finanziario ricevevano delle ricompense non proporzionali al loro contributo complessivo verso la società o verso le aziende per cui lavoravano.
Questa cosa venne alla ribalta nel periodo di poco successivo alla crisi, quando molte aziende continuarono a pagare “premi” di produttività laddove il profitto era palesemente in negativo, fino al punto da richiedere interventi di salvataggio da parte del governo e causare la perdita del posto di lavoro di molti dipendenti.
Un sistema economico dove alcuni (individui o aziende) prosperano in maniera eccezionale – con una correlazione non tanto al contributo effettivo apportato alla collettivita’ quanto piuttosto alla loro abilita’ di ricavare “guadagni” dallo stato di cose – non e’ un sistema economico giusto.

Lavoro/Fana

Non è lavoro, è sfruttamento – Marta Fana – Laterza (2017)

Un passaggio inevitabile, se si vuole restituire un connotato democratico ai processi produttivi: i lavoratori devono essere soggetti attivi delle scelte aziendali, da quelle che attengono agli investimenti fino alla distribuzione del reddito prodotto.
Un’attivita’ che puo’ essere si’ mediata attraverso le rappresentanze sindacali, ma senza dare a queste ultime una delega in bianco.
Lo stesso vale per le istituzioni sovranazionali – oggi appannaggio di un’oligarchia di interessi – e la ge- stione del commercio internazionale.
Non si tratta di ritornare al protezionismo, ma di vincolare il commercio al rispetto del lavoro e quindi in questo senso e’ possibile oggi parlare della necessita’ di introduzione dei dazi sociali nei confronti di quei paesi che non rispettano gli standard minimi di dignita’ del lavoro.
Solo in questo modo e’ possibile rimettere al centro l’uomo e non invece i profitti e le scelte di delocalizzazione per trarre vantaggio dai costi del lavoro piu’ bassi, che inevitabilmente implicano minori diritti e tutele per i lavoratori.

Info:
https://sbilanciamoci.info/non-lavoro-sfruttamento/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/07/non-e-lavoro-e-sfruttamento-proletari-di-tutto-il-mondo-svegliatevi/3897477/
https://attac-italia.org/non-e-lavoro-e-sfruttamento/
https://www.lacittafutura.it/recensioni/non-e-lavoro-e-sfruttamento

Economia di mercato/Posner

La crisi della democrazia capitalista – Richard Posner – Universita’ Bocconi (2014)

Il settore bancario erano abituato alla prudenza.
Lo era per reazione alla Grande depressione degli anni Trenta, che era stata accompagnata da un crollo bancario, ma ha abbandonato le cautele a seguito di un movimento di deregolamentazione finanziaria iniziato negli anni Ottanta […]
La combinazione di bassi tassi d’interesse e regolamentazione bancaria inadeguata si e’ dimostrata micidiale […]
Tassi d’interesse bassi incoraggiano le persone a chiedere prestiti – e incoraggiano le banche a prendere denaro in prestito per poterlo a loro volta prestare.
Nel 2001 si e’ verificata una brusca discesa dei tassi, il cui livello e’ rimasto basso per parecchio tempo (a tratti addirittura negativo – se si considera l’inflazione – per i prestiti a breve scadenza) e ha iniziato a risalire gradualmente dal 2004. Cio’ ha fatto aumentare l’indebitamento del sistema economico.
Buona parte di tale indebitamento e’ stata destinata all’acquisto di case: un bene che generalmente si acquista facendo debito, sotto forma di mutuo, che di solito equivale all’80 per cento del prezzo d’acquisto. Poiche’ il costo del debito e’ una parte molto grande del prezzo di una casa, i tassi bassi hanno favorito un aumento della domanda immobiliare, che a sua volta ha fatto aumentare il numero di nuove costruzioni. Ma poiche’ lo stock immobiliare esistente e’ estremamente durevole, il forte incremento della domanda non e’ stato soddisfatto solo con la costruzione di nuove case. L’aumento del numero di persone che volevano acquistare una casa ha necessariamente fatto salire il prezzo delle case esistenti […]
Poiche’ il prezzo delle case saliva, esse erano viste come un buon investimento. Cio’ attirava ulteriori acquirenti, e quindi ulteriori prestatori, poiche’ quando i prezzi delle case salgono le insolvenze sono rare […]
Gli standard di credito per la concessione di mutui si sono abbassati, stimolando ulteriormente la domanda di case, e acquistare una casa ha smesso di essere impossibile anche per chi non poteva versare un acconto o aveva un rating creditizio scadente per precedenti difficolta’ a onorare un credito. I prezzi delle case, quindi, aumentavano per effetto del loro stesso aumento, e questa spirale e’ stata innescata dai bassi tassi d’interesse.
I prezzi hanno continuato ad aumentare fino al marzo del 2006, quando e’ iniziata la discesa. I tassi sui mutui erano saliti a causa dei tardivi interventi di aumento dei tassi della Federal Reserve, che temeva l’inflazione […]
L’aumento dei tassi ha reso piu’ costoso l’acquisto di case, provocando una riduzione della domanda e conseguentemente del numero di nuove costruzioni e dei prezzi immobiliari. Il calo di nuove costruzioni ha ridotto i redditi dei costruttori e ha fatto salire la disoccupazione nel settore dell’edilizia; la discesa dei prezzi degli immobili esistenti ha fatto sentire piu’ poveri i proprietari di casa (che e’ di solito il loro principale patrimonio) e li ha indotti a ridurre per quanto possibile le spese

Info:
https://www.unibocconi.it/it/news/la-crisi-della-democrazia-capitalista
https://www.lastampa.it/topnews/tempi-moderni/2018/07/03/news/radical-market-la-proprieta-privata-sara-a-tempo-tutto-si-compra-e-si-vende-1.34029103/

Capitalismo/AA. VV.

AA. VV. – Rapporto sulle disuguaglianze nel mondo – La Nave di Teseo (2019)

Negli ultimi decenni, in quasi tutti in paesi si e’ osservato un generale aumento del rapporto fra ricchezza netta privata e reddito nazionale.
E’ sorprendente vedere come questa situazione consolidata non sia stata praticamente toccata dalla crisi finanziaria del 2008 e nemmeno dalle bolle speculative nei mercati finanziari di paesi come il Giappone e la Spagna.
Ci sono stati aumenti eccezionali dei coefficienti ricchezza/reddito in Cina e in Russia che, in seguito alla transizione da un’economia a orientamento comunista a una a orientamento capitalista, sono rispettivamente quadruplicati e quintuplicati. I coefficienti ricchezza/reddito in Russia e in Cina si stanno avvicinando ai valori registrati in Francia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
A partire dagli anni ottanta, la ricchezza pubblica e’ diminuita nella maggior parte dei paesi. La ricchezza pubblica netta (patrimonio pubblico meno debito pubblico) e’ recentemente diventata addirittura negativa negli Stati Uniti e nel Regno Unito ed e’ appena positiva in Giappone, Germania e Francia.
Si tratta di una condizione che indubbiamente limita la capacita’ dei governi di controllare l’economia, ridistribuire i redditi e attenuare la crescente disuguaglianza.
In Cina la proprieta’ pubblica e’ molto diminuita, ma resta ancor oggi alta: dal 2008, la ricchezza pubblica netta si e’ stabilizzata al 30% circa della ricchezza nazionale (rispetto al 15-25% in Occidente durante il periodo dell’economia mista, tra il 1950 e il 1980.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/teoria-economica/18217-nicolo-bellanca-l-ideologia-del-capitalismo-ideologico-sull-ultimo-libro-di-piketty.html

Economia di mercato/Stiglitz

Joseph Eugene Stiglitz – Il prezzo della disuguaglianza: Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro – Einaudi (2014)

Uno degli aspetti della teoria delle «forze del mercato» al centro dell’attenzione da ormai piu’ di un decennio e’ la globalizzazione, ossia la piu’ stretta integrazione tra le economie del pianeta.
A questo livello piu’ che a qualunque altro le forze del mercato vengono plasmate dalla politica.
Per la globalizzazione, importanti quanto la diminuzione del costo dei trasporti e delle comunicazioni sono stati infatti i cambiamenti subiti dalle regole del gioco. Fra questi vi sono la riduzione degli ostacoli al flusso di capitali attraverso i confini e la riduzione delle barriere commerciali (per esempio l’abbassamento delle tariffe sui beni di importazione cinese che permette loro di competere con quelli americani in qualsiasi campo).
Sia la globalizzazione degli scambi (il movimento di beni e servizi) sia la globalizzazione del capitale (l’integrazione del mercato finanziario internazionale) hanno contribuito ad accrescere la disuguaglianza […]
Essendo riusciti a far si’ che i governi definissero le regole della globalizzazione in modo da rafforzare il potere contrattuale delle corporations nei confronti dei lavoratori, questi grandi gruppi economici possono ricorrere alla leva politica e pretendere tasse piu’ basse con la minaccia di lasciare il paese e andarsene altrove, in luoghi dove il trattamento fiscale sarebbe migliore.
Naturalmente, nell’indurre l’agenda politica che porta le forze del mercato a lavorare per loro, i grandi gruppi non agiscono a carte scoperte. Non sostengono la globalizzazione – la libera mobilita’ del capitale e la protezione degli investimenti – dichiarando che li arricchira’ a spese del resto della societa’. Presentano ragionamenti speciosi su come tutti ne beneficeremo.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/il-prezzo-della-disuguaglianza/
https://www.ocst.ch/il-lavoro/425-approfondimenti/2181-la-disuguaglianza-il-suo-prezzo-e-cio-che-si-puo-fare-per-eliminarla
https://tempofertile.blogspot.com/2013/06/joseph-stiglitz-il-prezzo-della.html
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/15721-joseph-stiglitz-per-combattere-le-disuguaglianze-bisogna-abbandonare-subito-le-idee-di-milton-friedman.html

Capitalismo/Brown

Wendy Brown – Il disfacimento del demos – Luiss University Press (2023)

Come capitale umano, il soggetto e’ al contempo responsabile di se’ stesso ed elemento di un insieme che puo’ essere strumentalizzato e di cui si puo’ fare a meno […]
In secondo luogo, la disuguaglianza, non l’uguaglianza, e’ lo strumento e la relazione tra i capitali concorrenti […]
Nella legislazione, nella giurisprudenza e nell’immaginario popolare la disuguaglianza diventa normale, persino normativa. Una democrazia composta da capitale umano e’ costituita da vincitori e vinti, non prevede un trattamento o una protezione paritari […]
Il terzo punto e’ che quando tutto e’ capitale, scompare la categoria del lavoratore, cosi’ come la sua forma collettiva, la classe […]
Allo stesso tempo viene smantellata la stessa ragione d’esistere dei sindacati, delle associazioni di consumatori e di altre forme di solidarieta’ economica all’infuori dei cartelli tra capitali […]
Quarto, quando esiste soltanto l’homo oeconomicus, e quando l’ambito politico stesso viene rappresentato in termini economici, sparisce la base della cittadinanza che si occupa della cosa pubblica e del bene comune […]
Quinto, quando la legittimita’ e il compito dello Stato sono legati esclusivamente alla crescita economica, alla concorrenza globale e al mantenimento di un rating di credito forte, i timori sulla giustizia della democrazia liberale passano in secondo piano.

Info:
https://www.equilibrielmas.it/2023/11/29/wendy-brown-il-disfacimento-del-demos-la-rivoluzione-silenziosa-del-neoliberismo-luiss-university-press-roma-2023/
https://www.dinamopress.it/news/wendy-brown-lo-svuotamento-silenzioso-della-democrazia/
https://www.ilmanifestoinrete.it/2023/07/01/per-farla-finita-con-lhomo-oeconomicus/
https://www.sinistrainrete.info/politica/27901-pierluigi-fagan-democrazia-o-barbarie.html
https://pierluigifagan.com/2024/04/16/democrazia-o-barbarie/

Lavoro/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Torniamo al dovere della Repubblica di rendere effettivo il diritto al lavoro. Un simile dovere pone «a carico dello Stato un preciso obbligo», la cui giuridicita’ si ricava dal complesso delle disposizioni costituzionali in cui si inserisce il diritto al lavoro, prime fra tutte quelle concernenti la conformazione del mercato.
Si tratta invero di disposizioni da cui emergono indicazioni univoche: l’iniziativa economica privata «non puo’ svolgersi in contrasto con l’utilita’ sociale» (art. 41), il diritto di proprieta’ deve essere esercitato nel rispetto della sua «funzione sociale» (art. 42), le «produzioni di preminente interesse generale» possono essere escluse dal regime privatistico (art. 43), e la proprieta’ terriera puo’ essere gravata da obblighi «al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali» (art. 44).
Discende da tutte queste indicazioni l’obbligo per i pubblici poteri di adottare misure che, se da un lato non possono mettere in discussione il «mantenimento in via di massima dell’iniziativa privata», dall’altro devono indurre le imprese ad assumersi compiti ulteriori rispetto a quelli concernenti l’orizzonte individualistico.

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Lavoro/Dardot

Dardot Pierre, Haud Gueguen, Christian Laval, Pierre Sauvetre – La scelta della guerra civile. Un’altra storia del neoliberalismo – Meltemi (2023)

L’offensiva neoliberale ha tuttavia mire ancora piu’ radicali e ambiziose: smantellare l’istituzione del lavoro dipendente, cosi’ come e’ stata costruita intorno al “compromesso fordista” (che consisteva nell’associare al lavoro dipendente un certo numero di tutele e di diritti sociali) e sostituirla con quella dell’imprenditore di se’ stesso, che lavora in modo flessibile e non beneficia di tutele sociali e giuridiche.
Questo nuovo modello, a cui si fa comunemente riferimento con una varieta’ di termini (uberizzazione, gig economy, capitalismo delle piattaforme), e’ per il momento ben lungi dall’essere egemonico, poiche’ l’occupazione salariata “tradizionale” resta ancora di gran lunga maggioritaria su scala mondiale.
Ciononostante, esso e’ al centro di tutte le riforme del diritto del lavoro, che tendono a indebolire ulteriormente le tutele garantite del lavoro dipendente.
Lo sviluppo del “precariato” – che puo’ essere collegato a un’intera panoplia di nuove forme di lavoro precario, e talvolta anche gratuito o quasi gratuito (workfare, click work, ecc.) – ha anche avuto l’effetto di rendere sempre meno leggibili i contorni stessi della categoria sociale del “lavoro”.

Info:
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/massimiliano-guareschi-il-manifesto-12-febbraio-2024-quel-neoliberismo-autoritario-su-la-scelta-della-guerra-civile-aa.-vv.-meltemi.pdf
https://www.carmillaonline.com/2024/01/24/una-guerra-civile-strisciante-e-costante/
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/27174-christian-laval-haud-gueguen-pierre-dardot-pierre-sauvetre-la-scelta-della-guerra-civile.html
https://ilmanifesto.it/pierre-dardot-un-abbraccio-mortale-per-la-gauche
https://ilmanifesto.it/il-neoliberismo-autoritario
https://www.pandorarivista.it/articoli/per-una-prassi-istituente-recensione-a-del-comune-o-della-rivoluzione-nel-xxi-secolo/

Lavoro/Tirole

Jean Tirole – Economia del bene comune – Mondadori (2017)

Per tornare alla questione della disuguaglianza, il modo giusto di porre il problema non e’ quello di chiedersi se ci saranno ancora posti di lavoro.
Il problema vero e’ sapere se ci saranno abbastanza posti retribuiti da compensi che la societa’ considerera’ dignitosi. Difficile fare previsioni.
Da un lato, le disuguaglianze salariali potrebbero suggerire una risposta negativa alla domanda. Dall’altro, le persone, in larga maggioranza, intendono essere […] utili alla societa’, e il lavoro, retribuito o meno (come quello nel settore del volontariato), e’ un modo per raggiungere l’obiettivo. Non solo.
Come fanno notare Brynjolfsson e McAfee, noi cerchiamo il legame con gli altri. E l’impiego e’ per noi un modo per costruire un tessuto sociale […]
Nel brevissimo termine, la cancellazione di posti di lavoro comporta costi pesanti per chi li perde. L’accelerazione della «distruzione creatrice» pone tre ordini di problemi: come tutelare i lavoratori, salariati o meno? Come prepararci, a livello di sistema educativo, al mondo nuovo? Come riusciranno a adeguarsi le nostre società”

Lavoro/Latouche

Serge Latouche – Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto – Bollati Boringhieri (2023)

Per quanto l’idea di un reddito incondizionato di autonomia sia seducente e possa essere portata avanti anche dagli obiettori di crescita, specialmente in periodi di crisi dell’occupazione […] non bisogna farsi troppe illusioni di veder realizzato un progetto che offra un reddito che permetta di vivere, certo in modo frugale ma dignitoso, senza lavorare.
La forza dell’ideologia lavorista e’ tale che, unita ai limiti imposti dalla logica dell’economia della crescita, crea una fortissima resistenza psicologica a distribuire redditi senza nessuna contropartita […]
In realta’, un vero reddito di autonomia e’ molto probabilmente incompatibile con le basi di una societa’ della crescita. La sua rivendicazione puo’ essere portata avanti in modo tattico in un quadro elettorale, per mettere in evidenza le contraddizioni dell’economia produttivista/consumistica, sapendo bene pero’ che non puo’ essere realizzata senza la fuoriuscita dal sistema.
Utopistica nel contesto attuale, l’introduzione di un reddito di autonomia significherebbe per i suoi sostenitori una vera e propria rivoluzione culturale, e le sue conseguenze a livello regionale, nazionale, europeo e mondiale sarebbero quanto mai rilevanti […]
Paradossalmente, mentre l’idea illusoria della fine del lavoro come conseguenza inevitabile del progresso tecnico viene accettata abbastanza diffusamente, si incontra un’enorme difficolta’ a far capire e accettare l’idea di una abolizione del lavoro come la concepisce la decrescita. Questa resistenza probabilmente e’ dovuta alla convinzione che la societa’ della crescita sia naturale, risultato della colonizzazione dell’immaginario da parte dell’economia, che identifica il bisogno naturale della sopravvivenza con la servitu’ salariale.
E’ difficile far capire che il lavoro, cosi’ come l’economia, sono invenzioni della modernita’. Se queste realta’ a un certo punto sono comparse, allo stesso modo possono scomparire. E comunque, l’accettazione di questa eventualita’ si scontra con una forte resistenza. Si tratta probabilmente della ben nota angoscia della rottura, del salto nel buio.

Info:
https://www.doppiozero.com/latouche-lavorare-meno-o-non-lavorare-affatto
https://www.pressenza.com/it/2024/02/lavorare-meno-o-non-lavorare-affatto/
https://ilregno.it/attualita/2023/22/s-latouche-lavorare-meno-lavorare-diversamente-o-non-lavorare-affatto-luca-miele
https://gognablog.sherpa-gate.com/lavorare-meno-lavorare-diversamente-non-lavorare-affatto/
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/lavorare-meno-lavorare-diversamente-non-lavorare-affatto