Stato/Jappe

Le avventure della merce. Per una critica del valore – Anselm Jappe – Mimesis (2023)


La sinistra si sbaglia di grosso ad attribuire allo Stato dei poteri sovrani di intervento.
Innanzitutto, perche’ la politica e’ sempre di piu’ pura “politica economica”. Allo stesso modo in cui in certe societa’ precapitaliste tutto era motivato dalla religione, oggi tutte le discussioni politiche ruotano attorno al feticcio dell’economia.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la differenza tra la destra e la sinistra consiste essenzialmente nelle loro ricette divergenti di politica economica. La politica non soltanto non e’ esterna o superiore alla sfera economica, ma si muove completamente all’interno di questa. Cio’ non e’ dovuto a una cattiva volonta’ degli attori politici, ma risale a una ragione strutturale: la politica non ha mezzi autonomi di intervento. Deve sempre servirsi di denaro, e ogni sua decisione deve essere “finanziata […]
Se ogni attivita’ umana diventa un problema di mercato, la lotta avviene tra due concezioni della societa’. Una e’ quella che consente al mercato, con le proprie regole, di organizzare la societa’ e integrare tutte le attivita’ umane – sanita’, cultura, educazione, ecc. – alla legge del denaro e come fase suprema […] la mercificazione della materia vivente. L’altra e’ quella dei cittadini, delle istituzioni politiche, secondo cui la vita e gli altri problemi come l’ambiente e la cultura devono essere al centro dell’organizzazione della societa’.

 

Stato/Dardot

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista. Nuova edizione – Pierre Dardot, Christian Laval – Derive Approdi (2019)

La nuova gestione pubblica ha due dimensioni: da una parte, introduce modalita’ di controllo piu’ fini, che rientrano in una razionalizzazione burocratica piu’ sofisticata; dall’altra, confonde gli obiettivi propri del servizio pubblico allineandoli formalmente sulla produzione del settore privato […]
La tensione tra la centralizzazione degli organismi di auditing e di regolamentazione e la presunta autonomia dei servizi sottomessi alla concorrenza, provoca effetti perversi non trascurabili, spingendo i servizi a concentrarsi ossessivamente sui meccanismi di prestazione senza preoccuparsi troppo del contenuto reale dei loro compiti: un tasso di riuscita per un esame, un tasso di occupazione di letti di ospedale, un rapporto casi trasmessi/casi risolti possono corrispondere a risultati effettivi molto diversi se non a deviazioni molto sensibili quanto alla realta’ del servizio erogato.
Il feticismo della cifra porta l’iperrazionalizzazione alla «fabbricazione di risultati» che sono lungi dal rappresentare miglioramenti reali, tanto piu’ che i dirigenti e i loro sottoposti sono tutti costretti a «fare buon viso a cattivo gioco» e a contribuire alla produzione collettiva di cifre.
Nulla prova che la realta’ coincida sempre con la retorica manageriale e commerciale.
I criteri di valutazione quantitativa non sono quasi mai in accordo con i criteri qualitativi di attenzione ai clienti […]
L’importazione di logiche contabili venute dal mondo economico-commerciale non solo tende ad allontanare dalla realta’ le attivita’ e i loro risultati, ma priva anche del loro contenuto politico i rapporti tra lo Stato e i cittadini. Questi ultimi sono considerati acquirenti di servizi, preoccupati che i loro soldi siano «ben spesi».

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-nuova-ragione-del-mondo-di-pierre-dardot-e-christian-laval/
https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-capitale-umano
https://www.dianoia.it/public/rcs/rcs_21_34.pdf
https://www.leparoleelecose.it/?p=13014

Stato/Scheidler

La fine della megamacchina. Sulle tracce di una civiltà al collasso – Scheidler Fabian – Castelvecchi (2024)


Le crisi possono mettere in moto processi di apprendimento a lungo termine e da quella generata dalla pandemia del Covid-19 si possono trarre alcuni importanti insegnamenti.
In primis, e’ stato dimostrato che gli Stati, se vogliono, sono in grado, molto rapidamente, di agire e di prendere decisioni di ampia portata che riguardano la societa’, compresi ingenti interventi nell’economia e persino in materia di assetti proprietari.
Per decenni le richieste di misure efficaci in materia di protezione climatica sono state respinte affermando che non si poteva o non si doveva intervenire sulle “forze del libero mercato”. Vietare i voli a corto raggio? Impossibile! Vietare i SUV nei centri urbani? Impensabile! Eliminare gradualmente i combustibili fossili entro il 2030? Mette in pericolo i posti di lavoro! Ridurre il consumo di carne? Eco-dittatura! Convertire le aziende automobilistiche per la costruzione di trasporti pubblici? Comunismo! Un programma di investimenti pubblici del valore di miliardi per la ristrutturazione socio-ecologica? Troppo costoso!
Ma di fronte al virus improvvisamente quasi tutto era possibile. Il traffico aereo, ad esempio, e’ stato semplicemente chiuso per decreto. Il denaro che si supponeva non ci fosse mai stato per la ristrutturazione socio-ecologica e’ fluito improvvisamente in quantita’ quasi illimitata. Il forte aumento del debito nazionale, che inevitabilmente ne deriva, improvvisamente non era piu’ un problema mentre prima il dogma dell’austerita’ sembrava essere intoccabile.
La guerra in Ucraina ha ripetuto questa esperienza. Praticamente da un giorno all’altro il governo tedesco ha deciso di mettere a disposizione dell’esercito altri cento miliardi di euro, anche in questo caso, risorse finanziarie che si supponeva non fossero mai state disponibili per la protezione del clima, l’istruzione e la salute.
Nelle recenti crisi il mito dello Stato debole e incapace di agire e’ finalmente crollato e uno dei compiti piu’ urgenti per i movimenti per il cambiamento globale consiste nel tradurre questa consapevolezza in azione politica.

Info:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver.cfm?event_id=26236804
https://www.rivoluzioneanarchica.it/fine-della-megamacchina-un-libro-di-fabian-scheidler/

https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/cosi-la-megamacchina-neoliberista-sta-distruggendo-il-nostro-mondo-da-il-fatto/
https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/fatto-for-future-del-26-marzo-2024/

Stato/Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)

L’integrazione mediante il conflitto tra classi si vede sostituita da un’integrazione sociale basata sulla competizione di diverse comunita’ di lavoro, non solo in aziende, bensi’ anche a livello regionale.
L’emergere di comunita’ locali in competizione tra loro puo’ produrre o rafforzare le tendenze all’autonomia di politiche sub-statali contro la politica nazionale; in casi estremi, cio’ puo’ arrivare a mettere in discussione l’integrita’ territoriale di stati con piu’ nazioni al proprio interno.
Diversi meccanismi possono contribuire a tutto questo.
Alle condizioni imposte da un mercato piu’ o meno mondiale, le possibilita’ per uno stato centrale di redistribuire al proprio interno i poteri tra regioni forti e regioni piu’ deboli diventano sempre piu’ ridotte. Le imprese che godono di successo a livello internazionale, residenti in regioni piu’ avanzate, possono opporsi all’imposizione di tasse nazionali da redistribuire a vantaggio di regioni meno sviluppate, motivando tale scelta con la necessita’ di difendere la competitivita’ guadagnata con investimenti onerosi e profitti attraenti […]
L’emergere di tendenze centrifughe – quali richieste, in termini di politica di scala, di decentramento federalista, autonomia regionale o di una sovranita’ statale indipendente, in casi estremi – offre a grandi stati forse un motivo di preoccupazione in piu’ rispetto a piccole realta’ statali, che si confrontano, ceteris paribus, con una minore eterogeneit’ etnica, culturale ed economica.
Fare i conti con divergenze tra regioni risulta per uno stato centrale ben piu’ complicato che affrontare le relativamente lineari divisioni di classe, non fosse altro per la particolare complessita’ del modello di conflitto regionale, rispetto alla schematica linea invece che, in una societa’ industriale capitalista, divide le classi in modo binario in due principali: capitale e lavoro.

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi
https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera

Stato/Dardot

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista. Nuova edizione – Pierre Dardot, Christian Laval – Derive Approdi (2019)

I temi e i termini della «buona governance» e della «buona prassi» sono i nuovi mantra dell’azione governativa.
Le organizzazioni internazionali hanno propagato largamente le nuove norme dell’azione pubblica, soprattutto nei paesi sottosviluppati. Ad esempio, la Banca mondiale, nel suo Rapporto sullo sviluppo mondiale del 1997, ha proposto di sostituire l’espressione «Stato minimo» con «Stato efficiente». Piuttosto che incoraggiare sistematicamente la privatizzazione, si vuole vedere ora nello Stato un «regolatore» dei mercati. Lo Stato deve essere autorevole, deve concentrarsi sull’essenziale, deve essere capace di creare i quadri regolamentari indispensabili all’economia.
Secondo la Banca mondiale, lo Stato efficiente e’ uno Stato centrale forte che si pone come priorita’ un’attivita’ regolatrice che garantisca lo Stato di diritto e agevoli il mercato e il suo funzionamento.
L’OCSE non e’ stata da meno, moltiplicando a partire dalla meta’ degli anni Novanta le raccomandazioni di riforma della regolamentazione e di apertura dei servizi pubblici alla concorrenza, attraverso le attivita’ del suo settore consacrato al management pubblico.
Lo stesso si puo’ dire della Commissione europea con il suo “Libro bianco” sulla governance europea del 2001, anche se vi si confondono il funzionamento delle istituzioni e la promozione del modello imprenditoriale e concorrenziale nei servizi pubblici.
La riforma dell’amministrazione pubblica partecipa della globalizzazione delle forme dell’arte di governare. Dappertutto, quale che sia la situazione locale, sono auspicati gli stessi metodi e si utilizza un lessico uniforme (competition, process reengineering, benchmarking, best practices, performance indicators).
Tali metodi e categorie sono validi per tutti i problemi e tutte le sfere dell’azione, dalla difesa nazionale alla gestione degli ospedali passando per l’attività giudiziaria.
La riforma «generale» dello Stato secondo i principi del settore privato si presenta come ideologicamente neutra. Esso non mira che all’efficienza o, come dicono gli esperti britannici dell’auditing, al value for money, ovvero all’ottimizzazione delle risorse utilizzate.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-nuova-ragione-del-mondo-di-pierre-dardot-e-christian-laval/
https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-capitale-umano
https://www.dianoia.it/public/rcs/rcs_21_34.pdf
https://www.leparoleelecose.it/?p=13014

Stato/Rodhes

Capitalismo Woke. Come la moralita’ aziendale minaccia la democrazia – Carl Rodhes – Fazi (2023)

Il capitalismo woke e’ l’odierna derivazione di questo feudalesimo rinnovato, che cede alle imprese non soltanto l’autorita’ legale, ma anche quella morale e politica […]
Il capitalismo woke entra in gioco quando le imprese intervengono, o quantomeno danno la parvenza di farlo, per far fronte all’inazione del governo su problemi di interesse pubblico […]
Da un lato, cio’ puo’ apparire un gesto da accogliere favorevolmente, dettato dallo spirito di solidarieta’ e carita’ delle aziende e di imprenditori miliardari. Dall’altro, pero’, occorre domandarci quali effetti a lungo termine potra’ avere tutto questo sul nostro sistema politico.
Un tempo, le imprese erano inestricabilmente associate al conservatorismo di destra. Il capitalismo woke ha invece sparigliato le carte, giacche’ le aziende si presentano direttamente e inequivocabilmente come progressiste e politicamente attive, spesso con un amministratore delegato miliardario in qualita’ di portavoce di spicco e paladino (politico) dell’azione […]
Le grandi imprese hanno promosso il genere di azioni che un tempo era considerato appannaggio degli attivisti verdi antiaziendali, oltre a foraggiare attivita’ che molti si sarebbero aspettati venissero finanziate dallo Stato.
Siamo arrivati al punto in cui una classe ricca e privilegiata, composta di societa’ e manager, sta spostando la propria base di potere per includervi non solo l’ambito economico, ma anche quello politico.
Cio’ suscita una serie di interrogativi.
Le aziende sono sincere nel promuovere politiche tradizionalmente di sinistra che molte di esse hanno cominciato ad abbracciare? Perche’ queste organizzazioni dovrebbero iniziare a sostenere cause politiche progressiste? Che cosa e’ cambiato per far si’ che le imprese si impegnino in agende di tipo woke? E che effetti produce sulla politica stessa questo genere di attivismo politico aziendale?

Info:
https://www.micromega.net/capitalismo-woke/
https://maremosso.lafeltrinelli.it/interviste/capitalismo-woke-libro-carl-rhodes

https://www.centromachiavelli.com/2023/12/23/capitalismo-woke-recensione/
https://www.lafionda.org/2023/11/24/capitalismo-woke/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/12/26/capitalismo-woke-guardiamoci-bene-dalle-cause-che-trasformano-la-moralita-in-profitto/7391473/
https://www.corriere.it/economia/opinioni/23_febbraio_27/risveglio-capitalismo-filosofia-woke-che-addormenta-utili-521a9a10-b698-11ed-9695-a3af2d07bb2a.shtml
https://www.corriere.it/economia/opinioni/23_febbraio_27/risveglio-capitalismo-filosofia-woke-che-addormenta-utili-521a9a10-b698-11ed-9695-a3af2d07bb2a.shtml

Stato/Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)

Tre quarti di secolo dopo la fine del conflitto, la differenza tra nazione e stato nazionale sembra ormai assodata, almeno in Europa.
Le nazioni o popoli sono comunita’ di esperienze e interpretazioni condivise formatesi nel corso della storia. Le loro memorie, conservate in una lingua comune, fanno da base a identita’ collettive tenute insieme da legami affettivi, immancabilmente “monoculturali”, tra esse e il loro paesaggio, la lingua materna, il dialetto, la musica, la cucina ecc.
Quanto piu’ tali legami si distinguono da quelli di nazioni vicine, tanto piu’ un gruppo si considerera’ particolare o sara’ considerato tale dalle comunita’ confinanti: meno, dunque, tra renani e vestfaliani, che tra (sud)tirolesi e italiani.
Gli stati nazionali, viceversa, sono istituzioni stabilite non attraverso linee di discendenza, ma da lotte politiche e sociali e diritti civili che con esse si sono affermati, tra questi il diritto alla partecipazione democratica.
Stati nazionali e nazioni sono si’ in relazione tra loro, ma non coincidono; per quanto le maggioranze etniche fatichino ad accettare o a considerare la cosa, gli stati includono in se’ quasi ovunque realta’ linguistiche, etniche e culturali tra loro non identiche.
Inoltre, mentre i confini tra stati nazionali sono tendenzialmente convenzionali, i gruppi che si pensano come “nazioni”, e tali vogliono essere considerati, possono ritrovarsi a far parte di uno stato nazionale che essi non sentono proprio, rivendicando una propria statualita’ autonoma […]
Uno dei mezzi consolidati, seppur non adottato ovunque, per evitare fenomeni di secessione in stati nazionali che racchiudono molte nazioni e’ il passaggio a una costituzione di tipo federale – formula di successo in Svizzera, con i suoi quattro gruppi etnici, in Belgio (finora) con tre o in Canada (a partir dagli anni settanta) con due, o ancora dell’India con i suoi ventotto stati membri e ventiquattro lingue ufficiali.
Nell’epoca di pace dal 1945 in avanti, molti stati nazionali europei hanno tratto dall’esperienza delle catastrofi del periodo tra le due guerre la giusta lezione, rispondendo alla diversita’ etnica all’interno dei loro paesi, non con la negazione e la repressione di essa, bensi’ con il decentramento e l’autonomia sancita sul piano costituzionale, a garanzia della pace sociale; parallelamente, essi si sono preoccupati di assicurare la pace all’esterno, con il riconoscimento reciproco dei rispettivi confini, stabiliti su base storica, e rinunciando a qualunque rivendicazione territoriale anche li’ dove, come in Tirolo, in Alto Adige o nell’enclave germanofona in Belgio orientale, comunita’ etniche si vedono divise tra uno stato e l’altro per via di tali confini.

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi

https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera

Stato/Volpi

I padroni del mondo – Alessandro Volpi – Laterza (2024)


A proposito di gas vale la pena ricordare che la scelta del governo italiano e’ stata, appunto, quella di accrescere la dipendenza dal gas naturale liquefatto.
Ma di chi sono i tre rigassificatori esistenti, a cui se ne aggiungeranno due?
Quello di Panigaglia, a La Spezia, e’ di proprieta’ della Snam, che possiede anche il 49% di quello di Livorno (l’altro 51% e’ diviso tra il 49% circa nelle mani di Igneo Infrastructure Partners, affiliato al fondo australiano First Sentier Investors, a sua volta partecipato da grandi fondi finanziari, e per il 2% nelle mani di Golar Lng, societa’ di capitale estero con sede alle Bermuda, dunque in un paradiso fiscale).
Il terzo rigassificatore, quello di Rovigo, sta per essere comprato da Black Rock, il super fondo che lo rileva da Exxon Mobil di cui e’ azionista di notevole peso.
In conclusione, la nuova dipendenza dal gas naturale liquefatto, scelta “strategica” italiana per garantirsi “la sicurezza energetica”, accrescera’ la sudditanza dai fondi finanziari e dai loro prezzi.
In barba alle bollette.
Anche il decreto energia, varato nel novembre 2023, definendo i rigassificatori strutture strategiche e ponendoli al di fuori di molti dei vincoli ambientali, ha contribuito a renderli un obiettivo assai ambito per i grandi fondi […]
Cosi’ da partenariati produttivi si e’ passati a convivenze finanziarie, dove le dinamiche dell’investimento a medio e lungo termine sono sostituite da una sorta di “trimestralizzazione” degli utili che devono remunerare in forma immediata gli azionisti. Tra cui lo Stato, che utilizza i dividendi solo per trovare le risorse necessarie a realizzare sempre piu’ difficili leggi di bilancio, a prescindere da qualsiasi altra idea di politica industriale o tariffaria.

Info:
https://www.thedotcultura.it/alessandro-volpi-ecco-chi-sono-i-padroni-del-mondo/
https://valori.it/fondi-padroni-mondo-libro-alessandro-volpi/
https://altreconomia.it/chi-controlla-i-padroni-del-mondo/
https://sbilanciamoci.info/i-fondi-dinvestimento-padroni-del-mondo/

Stato/Guerrieri

Europa sovrana. Le tre sfide di un mondo nuovo – Pier Carlo Padoan, Paolo Guerrieri – Laterza (2024)

L’intervento dello Stato e’ tornato gia’ da qualche tempo a svolgere un ruolo di primo piano in tutti i maggiori paesi.
Basti ricordare che la pandemia, oltre a rivelare la fragilita’ e la forte dipendenza americana ed europea dalle catene del valore dominate dalla Cina e dalle sue imprese, ha stimolato massicci interventi statali a favore di famiglie e imprese.
E ancor piu’ l’esplosione della questione climatica e i processi di transizione energetica hanno favorito il ricorso a politiche industriali e a interventi ambientali ed ecologici non sempre compatibili con il libero mercato e l’apertura internazionale, come nel caso delle politiche industriali degli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, lo sviluppo di comparti industriali ritenuti strategici nell’ambito delle produzioni verdi e digitali (batterie per auto, pannelli solari, semiconduttori) ha incentivato politiche dirette a rafforzare la competitivita’ delle industrie domestiche dei singoli paesi, anche al fine di contrastare l’uso come armi politiche e strategiche offensive (weaponization) delle catene del valore e delle infrastrutture.
Infine, l’influenza crescente dei fattori geopolitici nell’economia ha indirizzato verso politiche di ristrutturazione delle catene globali del valore all’insegna del reshoring e friendshoring.

Info:
https://www.arel.it/wp-content/uploads/2024/04/recensione-Europa-sovrana.pdf
https://www.ilfoglio.it/cultura/2024/06/04/news/il-sovranismo-europeo-spiegato-ai-populisti-lezioni-dal-libro-di-padoan-6608639/

https://eurofocus.adnkronos.com/politics/perche-leuropa-dovra-essere-sovrana-le-idee-di-guerrieri-e-padoan/

Stato/ Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)

Tre quarti di secolo dopo la fine del conflitto, la differenza tra nazione e stato nazionale sembra ormai assodata, almeno in Europa.
Le nazioni o popoli sono comunita’ di esperienze e interpretazioni condivise formatesi nel corso della storia. Le loro memorie, conservate in una lingua comune, fanno da base a identita’ collettive tenute insieme da legami affettivi, immancabilmente “monoculturali”, tra esse e’ il loro paesaggio, la lingua materna, il dialetto, la musica, la cucina ecc.
Quanto piu’ tali legami si distinguono da quelli di nazioni vicine, tanto piu’ un gruppo si considerera’ particolare o sara’ considerato tale dalle comunita’ confinanti: meno, dunque, tra renani e vestfaliani, che tra (sud)tirolesi e italiani.
Gli stati nazionali, viceversa, sono istituzioni stabilite non attraverso linee di discendenza, ma da lotte politiche e sociali e diritti civili che con esse si sono affermati, tra questi il diritto alla partecipazione democratica.
Stati nazionali e nazioni sono si’ in relazione tra loro, ma non coincidono; per quanto le maggioranze etniche fatichino ad accettare o a considerare la cosa, gli stati includono in se’ quasi ovunque realta’ linguistiche, etniche e culturali tra loro non identiche.
Inoltre, mentre i confini tra stati nazionali sono tendenzialmente convenzionali, i gruppi che si pensano come “nazioni”, e tali vogliono essere considerati, possono ritrovarsi a far parte di uno stato nazionale che essi non sentono proprio, rivendicando una propria statualita’ autonoma […]
Uno dei mezzi consolidati, seppur non adottato ovunque, per evitare fenomeni di secessione in stati nazionali che racchiudono molte nazioni e’ il passaggio a una costituzione di tipo federale – formula di successo in Svizzera, con i suoi quattro gruppi etnici, in Belgio (finora) con tre o in Canada (a partir dagli anni settanta) con due, o ancora dell’India con i suoi ventotto stati membri e ventiquattro lingue ufficiali.
Nell’epoca di pace dal 1945 in avanti, molti stati nazionali europei hanno tratto dall’esperienza delle catastrofi del periodo tra le due guerre la giusta lezione, rispondendo alla diversita’ etnica all’interno dei loro paesi, non con la negazione e la repressione di essa, bensi’ con il decentramento e l’autonomia sancita sul piano costituzionale, a garanzia della pace sociale; parallelamente, essi si sono preoccupati di assicurare la pace all’esterno, con il riconoscimento reciproco dei rispettivi confini, stabiliti su base storica, e rinunciando a qualunque rivendicazione territoriale anche li’ dove, come in Tirolo, in Alto Adige o nell’enclave germanofona in Belgio orientale, comunita’ etniche si vedono divise tra uno stato e l’altro per via di tali confini.

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi

https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera