Europa/Allievi

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

La storia d’Europa e’ stata caratterizzata da importanti movimenti migratori interni, ma anche con l’esterno […]
Quelli interni, pur cambiando molte volte direzione e motivazioni, non hanno conosciuto interruzioni, e sono anzi, come fenomeno, in crescita.
Quanto a quelli esterni, per una lunga prima fase si e’ trattato di migrazioni dall’Europa verso il resto del mondo. E solo in una fase piu’ recente, numericamente – a tutt’oggi – assai meno significativa, verso l’Europa […]
I flussi in uscita dall’Europa, per tutto l’Ottocento e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, sono stati di almeno 200-400 mila individui l’anno fino al 1880, per poi salire ai 600-800 mila nel ventennio successivo, e raggiungere infine picchi di oltre 1-1,5 milioni l’anno all’inizio del XX secolo. A titolo di comparazione – diciamo cosi’: speculare – in tempi recenti, solo nel 2015, l’anno della grande crisi dei profughi che ha attraversato i Balcani e del grande esodo dalla Siria, si sono registrati flussi altrettanto significativi in entrata.
Le migrazioni, dunque, sono la costante: la novita’ piu’ significativa e’ l’inversione dei flussi […]
Oggi l’Europa e’ un polo di attrazione quasi quanto il Nord America.
Nei primi quindici anni del secolo, secondo dati delle Nazioni Unite, l’afflusso netto di migranti e’ stato pari a 20 milioni di persone in tutto il Vecchio Continente.
Il numero medio annuo di ingressi e’ stato intorno ai 2-3 milioni. Il rinnovamento della popolazione di un continente di oltre 700 milioni di abitanti e’ stato dovuto dunque, in questo periodo, alla nascita di 116 milioni di bambini (molti figli di immigrati) e all’arrivo di 20 milioni di nuovi migranti […]
In caso di porte chiuse all’immigrazione, 33 dei 40 paesi europei (e 22 dei 27 paesi dell’Unione) subirebbero ulteriori e consistenti perdite di popolazione e un forte invecchiamento demografico, come abbiamo visto in dettaglio per il caso italiano

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Societa’/Ricolfi

Luca Ricolfi – La societa’ signorile di massa – La Nave di Teseo (2019)

Secondo i dati ISTAT, nel 2018 il livello di diffusione dei beni tecnologici presso le famiglie italiane vede al primo posto la TV (96.8%), seguita da cellulare (95.6%), personal computer (65.9%), modem (49.2%), lettore DVD (41.2%).
La maggior parte dei cellulari (circa il 76%) sono smartphone.
Il numero di famiglie che posseggono una connessione Internet a banda larga da casa e’ ancora sotto il 75%, un dato inferiore alla media europea […] Internet è usatissimo per giocare, condividere video e partecipare alle discussioni sui social […]
Secondo il rapporto Digital 2018 in nessun paese del mondo, eccetto Hong Kong e la Corea del Sud, la diffusione dei cellulari raggiunge il livello dell’Italia […]
Secondo il report Digital 2019, giunto alla sua ottava edizione, gli italiani connessi a Internet (in massima parte via smartphone) sono quasi 55 milioni, ossia nove su dieci, di cui ben 35 milioni attivi sui social. Nella fascia sedici-sessantaquattro anni il tempo totale di connessione medio e’ di sei ore al giorno […] Piu’ del 90% del tempo e’ usato in attivita’ ludiche.
Un punto che il report non manca di sottolineare:
E’ evidente come l’Italia sia un paese i cui utenti Internet e in particolare social cerchino svago e divertimento, su molte piattaforme diverse (7.4 in media) e per molto tempo (6 ore online, quasi 2 sui social, ogni giorno).

Info:
https://luz.it/spns_article/intervista-luca-ricolfi-societa-signorile-massa/
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/01/05/ricolfi-signorile-massa/
https://sbilanciamoci.info/societa-signorile-di-massa-o-societa-signorile-e-basta/

Lavoro/Ferrera

Maurizio Ferrera – La societa’ del Quinto Stato – Laterza (2019)

Il forte aumento della diseguaglianza ha avviato un processo di «disarticolazione» della struttura sociale in termini di chance di vita: opportunita’, interessi, orizzonti, connessioni.
La struttura di classe delle societa’ avanzate si e’ riarticolata in cinque segmenti.
In alto troviamo la gia’ menzionata elite di plutocrati quasi interamente «inglobata»: il percentile piu’ ricco e’ pienamente inserito nei circuiti globali – soprattutto quelli finanziari –, in grado di consumare e vivere in un mondo senza confini. Per questa elite la globalizzazione e’ stata ed e’ un grande vantaggio in termini di reddito, ricchezza, opportunita’, incluse quelle d’influenza politica (affluence is influence).
A seguire, troviamo il ceto altoborghese, benestante ma tuttora ancorato a patrimoni e attivita’ prevalentemente nazionali. Questo ceto controlla ancora buona parte delle posizioni di autorita’ all’interno dei vari paesi, spesso attraverso meccanismi di cooptazione.
Al centro della distribuzione vi e’ la «massa media», a sua volta sempre piu’ differenziata fra nuovi e vecchi ceti, come si e’ appena detto.
Il tradizionale Quarto Stato si e’ storicamente disciolto all’interno di questa massa ed e’ oggi principale componente della vecchia classe media, in via di arretramento: nel complesso questo ceto ha registrato una stagnazione dei propri redditi e, durante la crisi, addirittura una riduzione.
A dispetto dell’impoverimento relativo, la vecchia classe media e’ in qualche modo connessa ai circuiti globali, in quanto consumatrice di beni e servizi resi accessibili proprio dalla globalizzazione: pensiamo ai voli low cost e al turismo di massa, a computer, cellulari e cosi’ via.
Ma della globalizzazione questo ceto percepisce oggi soprattutto gli aspetti negativi sul piano della insicurezza economica e sociale. Molte famiglie hanno perso il lavoro e/o hanno dovuto ridimensionare il tenore di vita […]
Al fondo della distribuzione troviamo i “deprivati”, gli “esclusi” e soprattutto la maggior parte dei precari. Chi fa perte del Quinto Stato tende a subire le conseguenze negative dell’apertura e delle politiche che l’hanno accompagnata: liberalizzazione dei mercati del lavoro, delocalizzazioni, tagli ai servizi pubblici (compreso il personale) e cosi’ via. I fautori della globalizzazione e dell’integrazione economica hanno sovrastimato il potenziale di trickle down (gocciolamento verso il basso) di questi processi. Dei vantaggi economici hanno beneficiato solo i decili più alti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139790
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-societa-del-quinto-stato-di-maurizio-ferrera/
https://maurizioferrera.wordpress.com/2018/07/16/il-quinto-stato/
https://www.corriere.it/cultura/19_settembre_17/quinto-stato-serve-nuovo-welfare-proposte-maurizio-ferrera-585a6428-d96a-11e9-8812-2a1c8aa813a3.shtml

Capitalismo/D’Eramo

Marco D’Eramo – Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi – Feltrinelli (2020)

La prima rottura tra liberalismo e neoliberalismo e’ politica: le politiche auspicate dal neoliberalismo americano sono totalmente contrarie allo spirito (se non alla pratica) del liberalismo politico: la dice lunga l’entusiasmo di von Hayeke Friedman per un dittatore come il generale Pinochet.
Quindi, almeno in inglese, il neoliberalismo e’ l’opposto del liberalismo (in italiano usiamo “liberismo” per indicare la concezione economica e “liberalismo” per quella politica).
La seconda rottura e’ filosofica, epistemologica: il concetto chiave della teoria economica classica era il mercato, come luogo e meccanismo di scambio, a partire dal famoso mito del baratto originario, dall’“inclinazione nella natura umana a trafficare, barattare, e scambiare una cosa con l’altra,” […]
In un mercato perfetto gli agenti si scambiano merci e denaro in un regime di reciprocita’ che suppone una condizione di uguaglianza. Nel neo-liberismo invece il concetto chiave e’ la concorrenza, non come dato di natura, situazione primordiale dell’umanita’ (quale era il mercato nel mitico baratto), ma come ideale da raggiungere e come condizione precaria e difficile da mantenere.
Insita nella concorrenza vi e’ non l’uguaglianza, ma la diseguaglianza, poiche’ nella concorrenza – nella competizione – c’e’ un vincitore e un perdente (altrimenti che competizione sarebbe?): la concorrenza non solo e’ basata sulla diseguaglianza, ma la crea […]
L’individuo e’ percio’ considerato, si’, come operatore del mercato, ma in quanto competitore nella concorrenza […]
In quanto concorrente ogni individuo e’ considerato un imprenditore, anzi un’impresa di per se’: il manager di se’. Nell’antropologia neolib, l’unita’-individuo e’ un’unità-impresa e l’individuo e’ il proprietario di se stesso. […]
La prima conseguenza di quest’impostazione e’ che siamo tutti proprietari, dal bracciante messicano al minatore nero sudafricano al banchiere di Wall Street. Ma di cosa esattamente siamo proprietari, quando per esempio non possediamo denaro ne’ oggetti materiali? Siamo proprietari di noi stessi: cioe’ noi stessi costituiamo il nostro proprio capitale. Ognuno e’ proprietario di se’, cioe’ del proprio capitale umano: proprietario della propria impresa, cioe’ di se’, che investe il suo capitale: da qui la nozione di capitale umano […]
Ma se anche i proletari sono capitalisti, seppure di solo capitale umano, allora non c’e’ da un lato il capitalista che compra la merce-lavoro al proletario e dall’altro il proletario che vende la propria merce-lavoro al capitalista. Ci sono solo due capitalisti che in modo diverso ricavano un reddito dal proprio capitale (l’uno dal capitale economico, l’altro dal capitale umano).
Non c’e’ piu’ sfruttamento del lavoratore da parte del capitalista, ma c’e’ auto-sfruttamento del lavoratore-capitalista-di-se’.
Tutte le categorie concettuali tradizionali, come sfruttamento e alienazione, vengono meno e la loro cancellazione mina alla base, teoricamente, il movimento operaio, la cui sconfitta va ben al di la’ della contingenza storica dovuta alla scomparsa dei partiti e dei sindacati che lo rappresentano politicamente.
E’ una sconfitta teorica e concettuale, perche’ in questa nuova visione dell’economia il lavoro diventa un reddito da capitale [..]
La migrazione costa perche’ spostarsi costa, inoltre mentre si sposta il migrante non guadagna, e in piu’ l’inserimento in un nuovo ambiente comporta un costo psicologico. Ma tutti questi (e altri) costi sono affrontati in vista di un miglioramento, di un accrescimento di status, di un aumento di reddito. Questi costi sono un investimento. Il migrante e’ un imprenditore di se’ che affronta spese per ottenere un miglioramento.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2020/11/recensione-marco-deramo-dominio/
https://www.internazionale.it/opinione/giuliano-milani/2020/11/10/marco-d-eramo-dominio
https://sbilanciamoci.info/i-meccanismi-del-dominio/
https://www.sinistrainrete.info/societa/17891-marco-d-eramo-la-bolla-dell-overtourism-si-e-sgonfiata-ma-tornera-presto-a-crescere.html

Economia di mercato/Kelton

Stephanie Kelton – Il mito del deficit. La Teoria Monetaria Moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

Nel 1971 Richard Nixon si limito’ a dare il colpo di grazia al gold standard. Da li’ in poi la maggior parte delle monete principali non fu piu’ legata a un tasso di cambio fisso.
L’abbandono del cambio fisso e la fluttuazione della valuta hanno dato a governi emittenti di moneta come gli Stati Uniti un margine di manovra piu’ ampio col quale sostenere la piena occupazione.
Nonostante il collasso del sistema di cambi fissi di Bretton Woods, la mentalita’ del gold standard continua a dominare il nostro dibattito pubblico sulle politiche commerciali ed e’ il motivo per cui cosi’ tanti politici ancora considerano il deficit estero come qualcosa di intrinsecamente pericoloso.
All’interno di un gold standard, il governo puo’ effettivamente rimanere a corto di oro.
Con la fine del gold standard e/o dei tassi di cambio fissi globali, questo modo di ragionare non e’ piu’ valido. L’unica eredita’ lasciataci da Bretton Woods e’ che il dollaro USA continua a giocare un ruolo centrale nell’economia globale.
Quando le aziende e i governi di varie parti del mondo intraprendono scambi commerciali fra loro scrivono una larghissima parte dei loro contratti in dollari americani – anche quando nessuno dei due paesi utilizza il dollaro come moneta interna! Anche una manciata di altre monete importanti, come l’euro, svolge questo ruolo, ma nessuna di esse si approssima a dominare i mercati allo stesso livello del dollaro USA, coinvolto in quasi il 90 per cento degli scambi attuali. Questa e’ la situazione alla quale si riferiscono le persone quando affermano che il dollaro americano e’ la moneta dominante a livello globale.
Le cose potrebbero cambiare? Sì, certamente.
Niente dura per sempre.

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Populismo/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

Questa parola [populismo] e’ diventata l’arma per eccellenza, che consente a soggetti sociali oggettivamente privilegiati di squalificare in anticipo qualsiasi critica alle loro scelte politiche e programmatiche.
Non c’e’ piu’ alcun bisogno di discutere nel merito delle diverse possibili politiche fiscali e sociali, o delle molteplici modalita’ di organizzazione della globalizzazione. Basta tacciare gli oppositori di “populismo” per troncare ogni dialettica e per rifiutare il ragionamento responsabile e onesto.
In Francia, a partire dalle elezioni presidenziali del 2017, e’ diventata prassi dialettica corrente collocare nella stessa categoria di “populisti” sia gli elettori che al primo turno hanno votato Jean-Luc Melenchon sia quelli che hanno votato Marine Le Pen, dimenticando che i primi sono in media i piu’ aperti all’immigrazione, e i secondi quelli che vi sono piu’ ferocemente ostili.
Negli Stati Uniti, nel 2016, non era raro veder inserire nella stessa casella “populista” il socialista internazionalista Bernie Sanders e l’imprenditore nativista Donald Trump.
In India, si potrebbe decidere di qualificare come “populisti” sia il BJP antimusulmano di Modi, sia i partiti socialisti e comunisti o i movimenti delle basse caste che propongono piattaforme e opzioni del tutto opposte.
In Brasile, l’etichetta “populista” e’ talvolta usata per designare tanto il movimento autoritario-conservatore incarnato da Bolsonaro quanto il partito operaio dell’ex presidente Lula.
Alla luce di queste contraddizioni, mi sembra chiaro che la nozione di “populismo” debba essere rigorosamente evitata, perche’ non consente di affrontare la complessita’ del mondo.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Stato/ Deneault

Alain Deneault – Governance. Il management totalitario – Neri Pozza (2018)

Il governo, il cui ruolo viene ridotto a quello di semplice partner nell’ordine della governance, non inquadra piu’ l’attivita’ pubblica, ma vi partecipa alla pari di chiunque altro.
Si vede cosi’ anch’esso vincolato al “consenso” prodotto dai gruppi di dibattito che la danno vinta sempre al piu’ forte – ossia: le multinazionali, gli investitori privati e i difensori di interessi personali che si presentino come i piu’ idonei a intraprendere progetti condotti secondo l’ortodossia della governance.
Il governo mischia i “suoi” interessi – paradossalmente percepiti come privati – a quelli concertati, del “gruppo”, ossia agli interessi del piu’ forte.
Com’e’ ovvio, dovendo aderire al progetto situato al centro delle discussioni e dovendo integrare i propri interessi a quelli del gruppo, esso fara’ di tutto per favorirne la realizzazione.
Il governo conserva solo a questo titolo tutte le prerogative di istituzione pubblica: soltanto nella misura in cui esso si avvale di tali prerogative nel quadro di un progetto rigorosamente privato (al quale crede come partner), la dottrina della governance riconoscera’ immediatamente gli attributi di autorita’ pubblica che gli competono.
Il gruppo si varra’ cosi’ delle prerogative costituzionali dello Stato ai fini del proprio progetto privato e potra’ fare da intermediario per riorganizzare il territorio, emendare la legislazione, deregolamentare settori mirati, privatizzare patrimoni specifici, defiscalizzare i dividendi, per non parlare del finanziamento pubblico che otterra’ a colpo sicuro in nome dello sviluppo, per costruire qui un gasdotto, la’ una rete viaria a esclusivo profitto dell’industria […]
Lo Stato si trova ne’ piu’ ne’ meno che privatizzato.
Nel processo che porta alla sua subordinazione, esso non abdica ai poteri di cui dispone, ma li mette al servizio di un qualcosa che non ha piu’ niente a che fare con il bene pubblico ne’ con la coscienza sociale.
Non solo contribuisce con finanziamenti e con una modifica delle regole pubbliche al progetto privato di cui si mette al servizio, ma anche con la legittimita’ conferita, in quanto attore rappresentante dell’insieme della popolazione, a progetti appartenenti esclusivamente a gruppi e a istanze private, che lo istruiscono a questo fine.

Info:
https://www.doppiozero.com/materiali/dopo-la-democrazia-la-governance
https://ilmanifesto.it/il-prezzo-senza-volto-di-un-ingranaggio/

Geoeconomia/Castronovo

Valerio Castronovo – Chi vince e chi perde. I nuovi equilibri internazionali – Laterza (2020)

A fare uno po’ di conti, la Cina si trovava ancora lontana, con i suoi 12 trilioni di dollari di Pil, dagli Stati Uniti, che vantavano un Pil di 20 trilioni di dollari, e doveva compiere parecchia strada per raggiungere l’Unione Europea, che annoverava in complesso un Pil tra i 16 e i 18 trilioni potenziali di dollari.
Senza contare il fatto che la valuta statunitense costituiva pur sempre la moneta preminente sul mercato mondiale e quella piu’ consistente nel totale delle riserve valutarie.
D’altro canto, un Paese come la Cina, la cui struttura economica si basava soprattutto sulle esportazioni, aveva molto piu’ da perdere, rispetto agli Stati Uniti, da una guerra dei dazi.
Tuttavia la leva destinata ad assumere un peso crescente nella competizione globale era costituita dal potenziale di crescita tecnologico, a giudizio non solo degli economisti ma di autorevoli esperti di questioni militari […]
Non a caso, la guerra commerciale fra Usa e Cina aveva preso avvio da quando Pechino aveva cominciato a compiere, un passo dopo l’altro, notevoli progressi nel settore delle tecnologie avanzate, chiave di volta di un’economia sempre piu’ dinamica e competitiva. Al punto che la Cina era giunta nel 2018 a sopravanzare gli Stati Uniti nella tecnologia della rete 5G. Cio’ aveva anche considerevoli valenze di natura militare.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858140710

Lavoro/Ferrera

Maurizio Ferrera – La societa’ del Quinto Stato – Laterza (2019)

Il deficit italiano di occupati nei servizi sociali non e’ un effetto della crisi o dei risparmi di spesa. E’ un deficit storico, che viene da lontano e ha a che fare con la coppia familismo-pensionismo.
Il welfare italiano ha sempre privilegiato i trasferimenti monetari agli anziani; alle famiglie con figli piccoli sono arrivate solo le briciole, anche in questo caso perlopiu’ sotto forma di assegni, sussidi e detrazioni monetarie.
Cosi’ i nuclei familiari sono diventati delle piccole aziende fai da te: autoproduzione di cura, assistenza ai bambini e agli anziani, servizi domestici, dai pasti alle pulizie, dal bucato alle ripetizioni scolastiche. Un modello sociale ripiegato su se’ stesso: la famiglia puo’ infatti trasformarsi in una trappola per giovani e donne, la solidarieta’ intergenerazionale diretta attraverso le pensioni dei nonni crea disparita’ e disfunzionalita’.
E soprattutto questo modello crea molte pastoie per i processi di crescita economica e occupazionale.
Il welfare «fai da te» oggi non regge piu’, soprattutto per le madri – e sempre di piu’ anche per le figlie adulte – su cui ricadono troppi compiti.
Piu’ di 650 mila donne inattive che si prendono cura dei figli minori, di adulti malati o disabili, di anziani non autosufficienti dichiarano che vorrebbero lavorare, ma non possono farlo per l’insufficienza di servizi pubblici o per l’alto costo di quelli privati. Il carico di cura che grava sulle spalle di queste donne e’ cosi’ intenso che molte devono comunque ricorrere ad aiuti informali.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139790
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-societa-del-quinto-stato-di-maurizio-ferrera/
https://maurizioferrera.wordpress.com/2018/07/16/il-quinto-stato/
https://www.corriere.it/cultura/19_settembre_17/quinto-stato-serve-nuovo-welfare-proposte-maurizio-ferrera-585a6428-d96a-11e9-8812-2a1c8aa813a3.shtml

Capitalismo/Mason

Paul Mason – Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano – il Saggiatore (2019)

Dobbiamo parlare del neoliberismo.
Perche’ distruggendo il patto economico fra capitale e lavoro ha obbligato milioni di persone ad adottare una nuova immagine di se’ […]
E ora che il neoliberismo e’ in crisi, anche questi comportamenti, questi riflessi, questi schemi di pensiero e queste immagini di se’ cosi’ radicati sono entrati in crisi. La catena di eventi iniziata nel 2008, con il crollo del sistema economico neoliberista ha determinato anche il crollo del se’ neoliberista.
Il neoliberismo e’ il modello mondiale specifico di capitalismo che e’ cominciato nel 1979 e attualmente sta andando in pezzi […]
I sostenitori del neoliberismo spesso chiedono a chi lo contesta di darne una definizione. Potrei fornirvi parecchie definizioni calzanti, ma la piu’ chiara e’ questa: «una concorrenza imposta forzatamente in tutti gli aspetti della societa’ da uno Stato coercitivo». Ma la richiesta di definizioni è una trappola […]
Invece di una definizione, voglio delineare un nucleo di relazioni attorno al quale avvengono le mutazioni, gli shock e le improvvisazioni del sistema neoliberista.
Qualsiasi economia capitalista ha tre elementi costitutivi – terra, lavoro e capitale –, che producono denaro sotto forma di rendite, salari e profitti.
Iniziamo cercando di capire in che modo il neoliberismo ha cambiato la relazione fra queste cose.
Durante l’era del capitalismo di Stato (1945-1979), il mercato era subordinato allo Stato. Lavoro e capitale collaboravano tra loro. Quanto alla «rendita», veniva scoraggiata. Quando gli economisti usano il termine «rendita» non intendono solo i soldi che frutta un terreno o una proprieta’, ma qualsiasi forma di denaro ricavata dall’accaparramento dell’offerta di qualcosa, che sia una miniera di cobalto, i diritti di pesca su un fiume o la capacita’ stessa di raccogliere capitale. La rendita non crea ricchezza, si limita a distribuirla da chi produce ricchezza a chi possiede la proprieta’ affittabile, il rentier o redditiero […]
Nell’era neoliberista, al contrario, lo Stato e’ subordinato al mercato; anzi, lo scopo dello Stato e’ spazzare via ogni ostacolo al mercato e imporlo a forza in tutti gli aspetti della vita che rimangono non commerciali, dalla fornitura dell’acqua di rubinetto all’organizzazione di un appuntamento galante.
Il capitale attacca il lavoro, percio’ i profitti aumentano in rapporto al Pil, mentre la quota destinata ai salari diminuisce. Contemporaneamente, la «rendita» diventa uno stile di vita: sempre piu’ profitti affluiscono nelle tasche di coloro che sono in grado di creare monopoli e fissare prezzi artificialmente alti, siano essi colossi del software come la Microsoft, giganti dei social media come Facebook, banche d’affari come la Lehman Brothers […]
Nella sua fase finale, il neoliberismo – che era nato come una battaglia in difesa dei valori del libero mercato – e’ diventato un mercato tutt’altro che libero, truccato a favore di monopolisti e speculatori, truccato per proteggere la ricchezza di quelli che gia’ ce l’hanno, truccato per produrre una forte disuguaglianza: una situazione garantita dal controllo che l’elite esercita sullo Stato

Info:
https://www.ilsaggiatore.com/libro/il-futuro-migliore/
https://ilmanifesto.it/la-rivolta-dei-fiocchi-di-neve/
https://www.pulplibri.it/manifesto-ottimista-per-ripartire-oggi/