Capitalismo/Franzini

Disuguaglianze. Quante sono, come combatterle – Maurizio Franzini, Mario Pianta – Laterza (2016)

Le prospettive liberali hanno a lungo sostenuto che l’uguaglianza delle opportunita’ e’ cio’ che conta e che le disparita’ nei risultati che seguono da tale condizione sono socialmente accettabili ed economicamente efficienti.
In altre parole, ‘questa disuguaglianza non importa’ da un punto di vista etico, politico o economico. C’e’ ampia evidenza che le economie avanzate negli ultimi decenni sono rimaste ben lontane dal concedere pari opportunita’ a tutti e, d’altro canto, vi sono poche prove che un’alta disuguaglianza sia associata a una maggior crescita e percio’ potrebbe essere giustificata.
Il punto che vogliamo sottolineare qui, tuttavia, va oltre tale argomentazione tradizionale e si concentra sulla novita’ della disuguaglianza di oggi.
La nuova natura della disuguaglianza contemporanea sta cambiando il quadro della discussione in almeno tre aspetti.
In primo luogo, la disuguaglianza di oggi e’ in gran parte prodotta dall’estremo aumento dei redditi dei ‘super ricchi’ – che ottengono profitti, rendite finanziarie e retribuzioni molto elevate – e da un sistema sempre piu’ polarizzato di distribuzione del reddito e della ricchezza. Tutto cio’ e’ associato a un crollo delle opportunita’ di mobilita’ sociale basate sull’istruzione e a una maggior persistenza delle disuguaglianze attraverso le generazioni. Il privilegio economico sta diventando sempre piu’ forte ed e’ sempre piu’ ereditato – un ritorno a una caratteristica della disuguaglianza che era tipica di un secolo fa […]
In secondo luogo […] i meccanismi che producono disuguaglianze nei paesi avanzati sono diventati piu’ complessi, e riguardano i processi di distribuzione del reddito, ma anche l’istruzione, la posizione nel mondo del lavoro, l’origine familiare, ecc. Questo porta a esiti economici e sociali caratterizzati da una maggiore frammentazione sulla base delle condizioni di classe, di status, di genere, e cosi’ via […]
In terzo luogo, le condizioni economiche e sociali alla base delle dinamiche delle disuguaglianze sono determinate da un quadro di riferimento che comprende le istituzioni – sovranazionali e nazionali – e i processi politici che definiscono le azioni dei governi e l’entità della redistribuzione […]
La disuguaglianza e’ evitabile, perche’ una redistribuzione potrebbe migliorare le condizioni dei piu’ svantaggiati senza peggiorare troppo quelle dei piu’ abbienti.
Un fattore chiave nel determinare tale disuguaglianza radicale e’ rappresentato dalle regole istituzionali globali, che, lungi dall’essere ‘neutrali’, sono il risultato dei rapporti di forza e del potere politico dei diversi attori coinvolti, con un ruolo dominante degli interessi dei paesi ricchi e delle elite dei paesi poveri.  

Lavoro/Wolf

La crisi del capitalismo democratico – Martin Wolf – Einaudi (2024)


La capacita’ e la volonta’ delle multinazionali di spostare risorse economiche e know-how da un paese all’altro, e soprattutto la loro capacita’ di integrare le catene di produzione travalicando i confini nazionali sono state un fattore determinante della globalizzazione.
Come e’ evidente, tutto cio’ rappresenta un vantaggio decisivo per le imprese (e il capitale) e uno svantaggio per i lavoratori dei paesi a reddito alto. Questi ultimi, come abbiamo visto, hanno perso l’accesso privilegiato al know-how e al capitale integrati in quelle aziende che un tempo consideravano le loro. Giocoforza hanno perduto non solo potere contrattuale ma anche il posto di lavoro.
In realta’, il movimento dei capitali delle imprese e’ stato solo un aspetto di un fenomeno di proporzioni assai piu’ grandi, cioe’ la liberalizzazione della finanza.
Negli ultimi quarant’anni il settore finanziario e’ cresciuto enormemente. Ha anche causato molte crisi, in particolare la crisi asiatica del 1997-98 e la crisi transatlantica del 2007-12.
Oltre a costringere numerosi paesi ad abbandonare i tassi di cambio fissi, la liberalizzazione della finanza ha sollevato tutta una serie di problemi che prescindono dall’instabilita’ finanziaria e riguardano piuttosto la concorrenza fiscale, l’elusione e l’evasione delle imposte e la corruzione […]
La globalizzazione, insomma, e’ figlia del progresso tecnologico, e lo sara’ sempre. Al contempo, la tecnologia sta avendo sull’occupazione industriale gli stessi effetti che ha avuto sull’agricoltura: da una parte, sta facendo impennare la produttivita’, dall’altra sta distruggendo posti di lavoro.
Per esempio, nella Francia del 1800 i lavoratori occupati in agricoltura erano il 59 per cento; nel 2012 il dato era al di sotto del 3 per cento. La stessa dinamica si e’ osservata in altri paesi.
E’ quasi certo che, man mano che robot e macchine sostituiscono i lavoratori, l’occupazione industriale continuera’ a scendere tanto nei paesi a reddito alto quanto in numerosi paesi emergenti e in via di sviluppo. Da qui a cinquant’anni, probabilmente la percentuale di occupati nell’industria si attestera’ a pochi punti percentuali, se non al di sotto.

Info:
https://www.ilfoglio.it/cultura/2024/08/05/news/il-mondo-di-oggi-si-e-rotto-a-margine-del-libro-di-martin-wolf-6818502/
https://www.ilmonocolo.com/post/la-crisi-del-capitalismo-democratico

https://www.editorialedomani.it/economia/libro-martin-wolf-bh9jht73

Economia di mercato/Quintarelli

Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e il nuovo conflitto sociale – Stefano Quintarelli – Bollati Boringhieri (2019) –

La dematerializzazione – con le sue proprieta’ di essere archiviabile a costo zero, manipolabile a costo zero da sistemi informatici interconnessi, trasferibile in tempo reale da una parte all’altra del globo a costo zero – ha consentito nel 2000 alla I.NET di non dotarsi all’interno dell’azienda di una – pur piccola – struttura di assistenza amministrativa ai clienti, che fu invece attivata in Romania, in una citta’ universitaria dove tanti ragazzi parlavano italiano, con la supervisione di un addetto dell’azienda.
All’epoca le persone furono reclutate facendo delle inserzioni in una bacheca dell’università locale.
Oggi il lavoro per attivita’ eseguibili da remoto, in ogni angolo del globo, si trova su siti specializzati di intermediazione. E sara’ sempre di piu’ cosi’, per qualunque ricerca di lavoro.
Queste attivita’ sono e saranno sempre piu’ intermediate online, almeno per la parte di prima selezione, che terra’ conto di tutte le informazioni disponibili online riguardanti i candidati. Analizzate e classificate da sistemi di intelligenza artificiale […]
Alcune funzioni a maggiore valore aggiunto e/o dove e’ necessario gestire molte eccezioni e per una clientela che richiede un maggiore livello di qualita’ di rapporto, continuano e continueranno a essere svolte all’interno dell’azienda […]
Cosi’ l’azienda guadagna in efficienza, ma di conseguenza quelle attivita’ che, specie nelle aziende di dimensioni maggiori, prima erano svolte da personale dipendente, adesso trasformano chi le svolge in imprenditore di se stesso, con propri clienti (e che conseguentemente utilizza i propri strumenti).
Si riduce l’impegno per l’azienda, ma aumenta di converso il livello di rischio e di flessibilita’ per i lavoratori.

Info:
https://eticaeconomia.it/il-capitalismo-immateriale-e-lascesa-della-info-plutocrazia/
https://www.doppiozero.com/il-capitalismo-immateriale-e-molto-materiale

https://www.sovrapposizioni.com/scritti/capitalismo-immateriale-una-chiacchierata-con-stefano-quintarelli
https://www.ildiariodellavoro.it/capitalismo-immateriale-le-tecnologie-digitali-e-il-nuovo-conflitto-sociale-di-stefano-quintarelli-editore-bollati-boringhieri/

Capitalismo/Armao

L’età dell’oikocrazia. Il nuovo totalitarismo globale dei clan – Fabio Armao – Meltemi (2020)


Il dilagare negli anni Novanta del neoliberalismo (l’ortodossia del cosiddetto “Washington Consensus”), e’ agevolato dal fatto che il crollo del comunismo rende superfluo ogni residuo conflitto ideologico: tra democrazia e totalitarismo, o tra libero mercato ed economia di stato.
Persino la Cina vi rinuncia, ormai votata allo sviluppo capitalistico.
Il fallimento dell’unica alternativa storica alla democrazia liberale produce un effetto cascata sul modo occidentale di intendere la politica. Spogliando la democrazia dell’aura retorica che l’aveva circondata durante l’era bipolare, in particolare, ne svela tutte le intrinseche debolezze […] quali la rivincita degli interessi particolari sulla rappresentanza politica, la persistenza delle oligarchie e la proliferazione dei poteri invisibili, tre fattori che tendono a rafforzarsi a vicenda […]
Gli anni Novanta, non a caso, segnano anche il tramonto dei tradizionali partiti di massa e la riscoperta della leadership carismatica, a lungo screditata dall’esperienza dei regimi totalitari del Novecento […]
I leader carismatici tendono, per definizione, a forzare le proprie prerogative e a pretendere di riscrivere le regole; a scavalcare le istituzioni per fare appello al popolo, da cui ritengono di aver ricevuto un’investitura diretta.

Info:
https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/oikocrazia-ovvero-la-distopia-nella-realta/
https://www.lafionda.org/2020/09/13/leta-delloikocrazia-una-lettura-del-saggio-di-fabio-armao/
https://kriticaeconomica.com/letture-kritiche/se-la-distopia-sconfina-nel-reale-letture-kritiche-oikocrazia/
https://www.carmillaonline.com/2020/06/11/leta-del-totalitarismo-neoliberale-e-della-guerra-civile-globale-permanente/

Lavoro/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – La- terza (2024)

Dobbiamo ora dire della proposta di affrontare la fine del lavoro con una soluzione radicale, ovvero dissociando il reddito dal lavoro e dunque istituendo un reddito di cittadinanza, o similmente un reddito di base: locuzione preferita per sottolineare la circostanza per cui spetta anche ai non cittadini se residenti regolari, o piu’ precisamente ai «membri di una comunita” nazionale territorialmente definita» […]
Matura invero negli anni Sessanta del secolo scorso il convincimento […] secondo cui la diminuzione di lavoro e dunque di risorse «in conseguenza della automazione cibernetica» e della «meccanizzazione avanzata» avrebbe assunto dimensioni eccezionali: tanto da non consentire di fronteggiarla con gli strumenti di una politica economica keynesiana, ovvero attraverso il sostegno della domanda.
Di qui la proposta, formulata dal futurologo statunitense Robert Theobald, di istituire un «reddito garantito» da concepire come attuazione del diritto di beneficiare di una quota di quanto produce la societa’ nel suo complesso:
Il reddito garantito rappresenta la possibilita’ di mandare ad effetto la fondamentale convinzione filosofica, che ricorre continuamente nella storia umana, per la quale ogni individuo ha diritto a una quota minima della produzione della sua societa’.
La perenne carenza di tutte le cose necessarie nella vita ha impedito fino ad anni recenti il realizzarsi di questo ideale: il sopravvenire di una relativa abbondanza nei Paesi ricchi da’ ora all’uomo il potere di raggiungere il fine di provvedere un livello medio di vita per tutti […]
Il reddito garantito di cui parla Theobald consiste in un trasferimento monetario «strettamente individuale» e dunque senza considerazione per il nucleo familiare e la sua composizione.
E’ inoltre «universale» nella misura in cui non viene «vincolato a una verifica della condizione economica», risultando pertanto cumulabile con altri redditi, e soprattutto non e’ sottoposto a condizioni: e’ «libero da obblighi da assolvere in cambio» e in particolare «da prestazioni lavorative o dalla dimostrazione della disponibilita’ al lavoro.
Tutte queste caratteristiche sono acquisite alla successiva riflessione sul reddito di base, acui si sono aggiunte indicazioni di ordine quantitativo.
I piu’ reputano che la misura debba essere «abbastanza contenuta da poterla presentare come sostenibile», ma nel contempo «abbastanza consistente da poter ritenere plausibile che possa fare una grande differenza».
Il tutto considerando evidentemente il contesto in cui il reddito di base viene erogato, motivo per cui si propone di quantificarlo attraverso un parametro universalmente diffuso: il suo importo dovrebbe essere pari a un quarto del prodotto interno lordo pro capite del Paese di riferimento […]

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Economia di mercato/Galli

Arricchirsi impoverendo. Multinazionali e capitale finanziario nella crisi infinita – Giorgio Galli, Francesco Bordicchio – Mimesis (2018)

Visto l’esito rovinoso del liberalismo, la sinistra aveva il compito di lanciare la propria idea e il proprio modello.
Il primo punto sarebbe dovuto essere la produttivita’: niente decrescita e niente economia della felicita’, che appartengono alla propaganda e alla comunicazione e addirittura al mondo dei sogni, ma non alla sostanza del programma. Anche l’ambiente deve fungere da criterio per indirizzare la produzione e non per bloccarla: una volta cio’ deciso, si devono privilegiare le infrastrutture e i servizi economici di base e si devono fissare criteri vincolanti per la qualita’ dei beni e dei servizi, per evitare sostituzioni artificiose e forme di spreco.
Il secondo punto sarebbe dovuto essere costituito dalla destinazione dei redditi: i ceti bassi e medio-bassi devono essere sostenuti adeguatamente con redditi consistenti, innanzitutto per non deprimere la domanda, il che provocherebbe una fase di ristagno dell’economia […]
Ma occorre andare piu’ in profondita’ e rendersi conto che solo un’adeguata soddisfazione delle ragioni dei lavoratori puo’ portare un clima di affezione e di legame intorno all’impresa in modo da rendere questa soggetto attivo sul mercato, dotato di consistenza obiettiva e non piu’ riconducibile solo all’imprenditore e alle sue volubili convenienze […]
Infine, il terzo punto sarebbe dovuto essere costituito dall’assetto di mercato: le liberalizzazioni e la maggior concorrenza sono un fatto positivo di dinamismo e di eliminazione o comunque di riduzione di forme di assistenza e di posizioni di forza non giustificate: ma occorre tener conto dei limiti di tali misure […]
Pertanto occorre introdurre una forma rigorosa e capillare di economia di piano in grado di fornire indirizzi e di apporre limiti all’economia privata, senza sostituirsi ai singoli centri di produzione ma coordinandoli armonicamente, il che non e’ in alcun modo possibile stando all’interno della logica del capitale.
In tale ottica, la corsa verso le privatizzazioni, dai risultati spesso nefasti, puo’ esser messa in discussione e si puo’ ammettere la proprieta’ collettiva per i beni comuni e in caso di beni e servizi strategici, senza in alcun modo inficiare l’iniziativa economica.

Info:
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/marchesi-libero-arricchirsi-impoverendo-galli-bochicchio.pdf
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/quotidiano-sud-arricchirsi-impoverendo-galli-bochicchio.pdf

Capitalismo/Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)


Deglobalization. Ideas for a New World Economy (Bello 2002). In esso Bello colloca la critica alla globalizzazione nel quadro di un’analisi generale della crisi del capitalismo statale nel dopoguerra e della sua trasformazione neoliberale.
La sua analisi presta particolare attenzione alla governance globale e alle sue istituzioni, tra cui soprattutto la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione mondiale del commercio, organismi che egli descrive come orientati agli interessi e alle esigenze statunitensi e del grande capitale americano e che nei primi anni 2000 sono stati da più parti oggetto di critiche internazionali provenienti dal basso, soprattutto dal Sud globale.
L’ordine economico mondiale da essi amministrato e “vincolato a regole”, come viene definito, e’ secondo Bello in realta’ uno strumento utile alla subordinazione della sovranita’ nazionale e con essa della politica democratica a un insieme unitario di norme che pretendono di avere validita’ universale; norme apparentemente uguali per tutti – grandi e piccoli, ricchi e poveri, Nord e Sud –, ma che sono scritte e applicate da nazioni del Nord ricco del mondo, tra tutte gli Stati Uniti, con un ruolo dominante nelle organizzazioni internazionali.
Nata alla fine del XX secolo, la globalizzazione altro non sarebbe, secondo Bello, che un progetto a sostegno delle grandi imprese occidentali; a esse la governance globale offrirebbe un accesso remunerativo a paesi alla periferia del mondo capitalista che sperano nel proprio “sviluppo”.
Tra gli esempi che Bello menziona vi e’ il trattamento riservato dal Fondo monetario internazionale ai paesi con un debito elevato e i programmi di aggiustamento strutturale loro imposti, cui puntualmente corrisponde un’apertura di essi agli investimenti dell’Occidente a condizioni di mercato, ossia occidentali.
Nell’ultima parte del libro, Bello affronta una serie di proposte di riforma circolanti all’epoca per la modifica delle organizzazioni internazionali trainanti nel processo di globalizzazione.
Pioniere di un’ampia corrente critica antiglobalista sempre piu’ radicale, Bello giunge alla conclusione che l’unico vero obiettivo di una tale resistenza non possa che essere l’abolizione di queste organizzazioni. Nel farlo, egli prende in esame anche Rodrik. Secondo l’autore, Rodrik sosterrebbe la necessita’ di un ritorno “al modello originale di Bretton Woods ideato da Keynes […] in cui le ‘regole lasciavano spazio sufficiente

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi

https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera

Lavoro/Gorz

l filo rosso dell’ecologia – André Gorz – Mimesis (2017)

[Un reddito di esistenza] dev’essere sufficiente perche’ ogni garanzia di un reddito insufficiente funziona come una sovvenzione mascherata ai datori di lavoro: essa li autorizza e incoraggia a creare posti a salario insufficiente e con condizioni di lavoro indegne.
D’altra parte, la rivendicazione della garanzia incondizionata di un reddito sufficiente deve soprattutto significare che il lavoro dipendente non e’ piu’ solo il modo di creazione di ricchezza ne’ il solo tipo di attivita’ il cui valore sociale debba essere riconosciuto. La garanzia di un reddito sufficiente […] deve segnare la rottura tra creazione di ricchezza e creazione di valore […]
La presa di coscienza collettiva, diffusa dai movimenti e dai sindacati di disoccupati e di precari, del fatto che «siamo tutti disoccupati, precari, intermittenti potenziali» non significa soltanto che abbiamo tutti bisogno di essere protetti contro la precarieta’ e le interruzioni del rapporto salariale; significa anche che abbiamo tutti diritto a un’esistenza sociale che non si esaurisce in questo rapporto e non coincide con esso; che contribuiamo tutti alla produttivita’ dell’economia in modo indiretto e invisibile, anche con le interruzioni e le discontinuita’ del rapporto di lavoro.
La ricchezza sociale prodotta e’ un bene collettivo nella creazione del quale il contributo di ciascuno non e’ mai stato, ed e’ oggi meno che mai, misurabile, e il diritto a un reddito sufficiente, incondizionato e universale equivale, in fin dei conti, alla messa in comune di una parte di cio’ che e’ prodotto in comune, consapevolmente o no.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ecologia-politica-di-andre-gorz/
https://it.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9_Gorz

Economia di mercato/Stiglitz

La strada per la libertà – Joseph E. Stiglitz – Einaudi (2024) 


[Il] fatto che i mercati totalmente privi di regole, oppure regolamentati in maniera inadeguata, portino a risultati socialmente indesiderabili dovrebbe essere ovvio a chiunque sia vissuto nell’ultima parte del XX secolo o nei primi anni del nuovo millennio.
Si pensi alla crisi degli oppioidi, creata in non piccola parte dalle case farmaceutiche e dalle farmacie pronte a sfruttare le persone in condizioni di sofferenza fisica; si pensi ai produttori di sigarette, creatori di prodotti mortali e che provocano dipendenza; si pensi alle molteplici truffe che defraudano gli anziani e altre categorie di persone; si pensi alle aziende del settore alimenti e bevande, capaci di pubblicizzare i propri prodotti nocivi per la salute in forma cosi’ aggressiva e per un periodo cosi’ lungo che il Paese si trova ad affrontare un’epidemia di diabete infantile; e si pensi anche alle compagnie petrolifere e carbonifere che incassano miliardi di dollari mentre mettono a repentaglio il pianeta.
E’ difficile pensare a un angolo del nostro sistema capitalistico in cui non avvenga una qualche forma di truffa o di sfruttamento […]
Le conseguenze del progetto neoliberista nel resto del mondo non sono migliori.
In Africa, le politiche del Washington Consensus hanno condotto a un processo di deindustrializzazione e a un quarto di secolo di crescita quasi zero del reddito pro capite.
Negli anni Ottanta l’America Latina ha vissuto quello che da piu’ parti viene definito il Decennio perduto.
In molti Paesi, il rapido afflusso e l’altrettanto rapido deflusso di capitale durante le politiche di liberalizzazione del mercato dei capitali e di quello finanziario hanno portato a una crisi dopo l’altra: piu’ di un centinaio in tutto il mondo.
Le disuguaglianze che contraddistinguevano gli Stati Uniti non erano che l’ombra di quanto accadeva altrove. Imposte ai Paesi dell’ex Unione Sovietica, le politiche del Washington Consensus portarono alla deindustrializzazione anche li’. La Russia, un tempo potente, venne ridotta per la gran parte a un’economia dipendente dalle risorse naturali, delle dimensioni all’incirca di quella della Spagna.

 

Capitalismo/Undiemi

Il ricatto dei mercati. Difendere la democrazia, l’economia reale e il lavoro dall’assalto della finanza internazionale – Lidia Undiemi – Ponte alle Grazie (2014)


La supremazia delle politiche neoliberiste sull’economia generale si regge sulla capacita’ degli americani di finanziare il proprio disavanzo di conto corrente senza i limiti a cui devono invece sottostare i paesi che non emettono moneta di riserva mondiale.
In questo senso, l’economia del debito fondata sul ruolo centrale degli Stati Uniti nel mondo rappresenta il sistema economico-giuridico attraverso cui i costi del sovraconsumo americano, ovvero il deficit pubblico, vengono scaricati sul resto del mondo.
Potremmo chiamarla «la tassa dell’Impero».
Nonostante la stabilita’ del dollaro, la decadenza dell’industria americana, ossia dell’economia reale, e l’alto livello dei consumi interni hanno determinato l’aggravarsi del deficit della bilancia commerciale, finanziato dall’afflusso di capitali dall’estero.
Secondo l’FMI infatti dal 1988 gli Stati Uniti hanno assorbito circa la meta’ della domanda mondiale totale […]
Il risultato di tutto questo e’ un indebitamento interno colossale e disavanzi record nella bilancia commerciale.

Info:
https://www.antimafiaduemila.com/libri/economia/930-il-ricatto-dei-mercati.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/20/libri-lidia-undiemi-vi-racconto-il-ricatto-dei-mercati-e-quello-sulleuro/303203/
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-spread_intervista_a_lidia_undiemi_autrice_del_libro_profetico_il_ricatto_dei_mercati/5496_24172/

https://www.carmillaonline.com/2024/03/29/il-salario-minimo-non-vi-salvera/
https://www.lafionda.org/2023/07/05/il-salario-minimo-non-ci-salvera-anzi/