Economia di mercato/Balzano

Il salario minimo non vi salverà – Savino Balzano – Fazi 2024

Se siamo nelle condizioni in cui siamo e’ colpa principalmente delle politiche economiche forzate dall’Unione Europea.
Per la verita’ l’Unione non agisce da sola, ingenti piani di finanziamenti condizionati spingono con forza nella medesima direzione e la concessione dei crediti e’ quasi sempre vincolata a riforme neoliberiste molto simili a quelle imposte dalle istituzioni comunitarie.
In tal senso opera ad esempio il Fondo Monetario Internazionale, ma anche la Banca Mondiale. Pure l’OCSE ha nel tempo supportato determinate trasformazioni, penso ad esempio alla sua intensa azione di moral suasion in favore della flessibilizzazione del mercato del lavoro.
Sotto il peso di tali politiche il risultato e’ uno e inevitabile: il paese avvizzisce e con esso il gettito fiscale; sotto il peso dell’austerita’ come nuovo contratto asociale imposto ai popoli, il debito pubblico tendera’ ad aumentare (a dispetto della narrazione che racconta che i tagli servano a ridurlo) e il tutto a corroborare retoricamente gli argomenti a sostegno di ulteriore rigore e di ulteriori strette alla spesa pubblica.
E cosi’ via, si va avanti senza fine, tranne che per brevissimi momenti, piccoli interventi nelle parentesi “emergenziali”, utili semplicemente a evitare che il sistema collassi su se stesso e che i moltissimi poveri diventino tanto poveri da mettere a repentaglio la serenita’ dei pochi ricchi.

Info:
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/05/balzano-il-giornale.pdf?
https://www.ildiariodellavoro.it/il-salario-minimo-non-vi-salvera-di-savino-balzano-fazi-editore/

Capitalismo/Mattei

L’economia è politica – Clara E. Mattei – Fuori- scena (2023)

Le privatizzazioni, cardine dell’austerita’, riproducono il meccanismo dell’accumulazione primitiva.
Sempre piu’ spesso oggi governi impoveriti vendono la terra da cui numerosi loro cittadini traggono il sostentamento, gettandoli in nuove forme di dipendenza dal mercato.
Nel XXI secolo, per esempio, la corsa alle terre dei Paesi del Sud del mondo, soprattutto in Africa, si e’ acuita. Secondo la Banca Mondiale, dal 2008 al 2012, piu’ di 56 milioni di ettari in tutto il mondo – pari quasi al doppio del territorio italiano – sono stati oggetto di «negoziazione fondiaria». Grosse multinazionali acquistano la terra dal governo o direttamente dai contadini poveri e impongono sgomberi.
Il fenomeno del land grabbing (accaparramento delle terre) è in grande espansione […]
Se aggiungiamo le nuove frontiere della privatizzazione, dall’acqua alla diffusione dei semi geneticamente modificati che i contadini devono comprare da Monsanto o da altre corporation, vediamo che ci sono ancora molte sfere per ampliare la nostra dipendenza dal mercato e dunque la nostra coercizione economica.
L’espropriazione dei mezzi di sussistenza e’ un fenomeno che non si ferma mai: costituisce la linfa vitale del capitalismo. 

Economia di mercato/Rodrik

Dirla tutta sul mercato globale. Idee per un’economia mondiale assennata – Daby Rodrik – Einaudi (2019)

Diversamente dalle scienze naturali, e’ difficile che l’economia ottenga dati chiari e definiti.
L’economia puo’ davvero essere vista come una cassetta degli attrezzi di vari modelli, ciascuno dei quali e’ una rappresentazione stilizzata differente di qualche aspetto della realta’.
La natura contestuale del suo ragionamento implica che esisteranno tante conclusioni quante circostanze potenziali nel mondo reale. Ogni enunciato economico e’ un’asserzione nella forma «se-allora».
La bravura di un analista economico dipende dalla sua capacita’ di utilizzare il modello giusto per quella specifica situazione. Di conseguenza, capire quale soluzione potrebbe funzionare meglio in una determinata circostanza e’ un’arte piuttosto che una scienza […]
A differenza delle scienze naturali, l’economia non progredisce via via che i nuovi modelli soppiantano i vecchi, bensi’ grazie a un ventaglio piu’ vasto di modelli, che getta ancora piu’ luce sulla molteplicita’ dell’esperienza sociale […]
L’economia, dunque, e’ al tempo stesso scienza e mestiere.
Paradossalmente e’ proprio il voler far passare in secondo piano l’elemento di mestiere insito nell’economia – per raggiungere piuttosto lo status di scienza – a far si’ che gli economisti ogni tanto appaiano dei venditori di fumo.

Info:
https://ilmanifesto.it/la-vocazione-globale-del-capitalismo/
https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2019-02-04/temperare-l-iperglobalizzazione-162827.shtml?uuid=AFhMOTC&refresh_ce=1https://www.arcipelagomilano.org/archives/51755

Capitalismo/Jappe

Le avventure della merce – Anselm Jappe – Mimesis (2023

Una camicia puo’ scambiarsi sia con un grammo d’oro, sia con dieci chili di grano, sia con un paio di scarpe, ecc. E’ necessario allora che questi differenti valori di scambio abbiano, in ultima analisi, qualcosa in comune: il loro “valore”.
Questa sostanza in comune fra le merci non puo’ essere altro che il lavoro che le ha create: e’ la sola cosa identica in merci altrimenti incommensurabili.
Il lavoro ha la sua misura nella durata, e dunque nella sua quantita’: il valore di ciascuna merce dipende dalla quantita’ di lavoro che e’ stata necessaria a produrla.
A questo riguardo, poco importa in quale valore d’uso si realizzi questo lavoro.
Un’ora utilizzata per cucire un abito o un’ora usata per fabbricare una bomba resta sempre un’ora di lavoro.
Se sono state necessarie due ore per fabbricare la bomba, il suo valore e’ doppio rispetto all’abito, senza tener conto del loro valore d’uso.
La differenza quantitativa e’ la sola che possa esistere tra i valori: se i diversi valori d’uso che hanno le merci non contano per determinare il loro valore, anche i diversi lavori concreti che le hanno create non contano […]
Non si esagera dicendo che il rovesciamento di M-D-M [merce-denaro-merce] in D-M-D’ [denaro-merce-denaro’] racchiude in se’ tutta l’essenza del capitalismo.
La trasformazione del lavoro astratto in denaro e’ l’unico fine della produzione di merci; tutta la produzione di valori d’uso e’ solo un mezzo, un “male necessario”, in vista di una sola finalita’: disporre al termine dell’operazione di una somma di denaro maggiore che all’inizio.
La soddisfazione dei bisogni non e’ piu’ il fine della produzione, ma un aspetto secondario.

Info:
https://ilmanifesto.it/se-la-critica-di-valore-e-denaro-conta-piu-della-lotta-di-classe
https://sinistrainrete.info/marxismo/25682-anselm-jappe-alcuni-punti-essenziali-della-critica-del-valore.html
https://www.sinistrainrete.info/marxismo/29578-roswitha-scholz-critica-del-valore-alla-vecchia-maniera-commenti-sul-conservatorismo-di-sinistra-di-anselm-jappe.html

Lavoro/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – La- terza (2024)

La Costituzione colloca il lavoro al centro del patto di cittadinanza, il patto che regola le modalita’ dello stare insieme come societa’: lo elegge a «punto di connessione fra il singolo e gli altri», a pratica destinata a realizzare la sintesi «fra liberta’ e responsabilita’, fra diritti e doveri».
Giacche’ quello al lavoro e’ indubbiamente un diritto sociale, tale in quanto la Repubblica e’ chiamata ad attuarlo, ma e’ altresi’ la principale attivita’ con cui assolvere ai «doveri inderogabili di solidarieta’ politica, economica e sociale» (art. 2), e concorrere cosi’ al «progresso materiale e spirituale della societa’» (art. 4).
Soprattutto il lavoro e’ l’attivita’ che consente come contropartita di accedere alle cure (art. 32) e all’istruzione (art. 34), e piu’ in generale di vedersi riconosciuto il diritto al welfare: di ottenere il «pacco standard di beni e servizi il cui possesso» rende ciascuno un «cittadino nella pienezza delle sue prerogative» […]
Lo Stato deve creare le condizioni affinche’ vi sia lavoro, ma deve altresi’ tenere conto delle «possibilita’» e della «scelta» del lavoratore (art. 4). Deve anche tutelare il lavoro «in tutte le sue forme e applicazioni» (art. 35), e in particolare il diritto a una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36).
Spetta poi allo Stato promuovere gli strumenti e le forme di lotta impiegati dai lavoratori nel conflitto redistributivo e nel conflitto sociale in genere: l’organizzazione sindacale (art. 39) e lo sciopero (art. 40).
Lo Stato deve infine provvedere alle esigenze di vita del lavoratore «in caso di infortunio, malattia, invalidita’ e vecchiaia, disoccupazione involontaria», e assicurare il mantenimento e l’assistenza sociale al «cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere» (art. 38).

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Finanziarizzazione/Giannuli

Geopolitica. Comprendere il nuovo ordine mondiale – Aldo Giannuli – Ponte alla Grazie (2024)


Nel 2008, per le grandi banche americane arrivo’ il conto per l’incauta emissione del «denaro bancario» […]
Sino a quel momento il mantra neoliberista aveva predicato (fra le entusiastiche adesioni della grande maggioranza degli economisti) di aver definitivamente sconfitto le grandi crisi cicliche – con buona pace di Marx. Si pensava che a impedirlo sarebbero stati gli algoritmi e la distribuzione del debito, in una marea di titoli derivati, ciascuno composto da un pezzetto di ogni singolo debito (questa era la base dei mutui subprime).
Nel frattempo, le banche continuavano a concedere prestiti a pioggia e senza alcuna garanzia […]
Il ragionamento alla base della pratica appena descritta sosteneva che, dato che si sa che ogni massa debitoria comprende una certa percentuale di insolvenza, approssimativamente quantificabile, bastava ricaricare quella percentuale su ciascun titolo derivato per riassorbire il rischio complessivo.
Di fatto questo non faceva altro che trasferire il rischio dalla banca ai sottoscrittori dei nuovi «prodotti finanziari». Insomma: le banche garantivano il proprio debito con il debito di un altro.
Le premesse del ragionamento erano false e per diversi ordini di motivi. In primo luogo perché si rifiutava la realta’ di una crescente concentrazione di capitali in pochissime mani, cui non poteva non corrispondere l’impoverimento di tutto il resto della societa’. Pertanto la percentuale di insolvenza era destinata a crescere […]
Il mancato versamento dei ratei di debito consentiva alle banche di rientrare in possesso delle case per le quali era stato concesso il prestito e, ovviamente, alle banche non restava che vendere quelle case per recuperare, almeno in parte, il capitale.
Questo causo’ l’immissione sul mercato di un considerevole numero di immobili, con il risultato di farne calare considerevolmente il prezzo. A quel punto si misero in moto altre due dinamiche: quanti chiedevano mutui per acquistare case nell’aspettativa di un loro apprezzamento per poterle rivendere a prezzo rialzato, constatando le tendenze dimercato, cessarono quella pratica, ma, soprattutto, molti debitori, constatando che sul mercato c’erano case pari a quella posseduta, ma a prezzi piu’ bassi del dovuto per estinguere il mutuo, pensarono bene di non pagare il mutuo per acquistare (magari contraendo un nuovo debito intestato alla moglie o ad altro prestanome) un’altra casa a prezzo piu’ vantaggioso.
Ma questo significo’ l’arrivo sul mercato di sempre nuovi immobili, con la conseguenza di ulteriori deprezzamenti. Ben presto l’iniziale smottamento della piramide debitoria divenne valanga e per le banche si prospetto’ l’incubo del default. In effetti la Lehman Brothers falli’ con una pesante ricaduta sulle altre banche che incautamente le avevano prestato capitali.
Tutte le altre strinsero i cordoni della borsa, guardandosi bene dal prestare alcunche’ a qualsiasi altra banca e fu il credit crunch che scarico’ la crisi dalla finanza sull’economia reale. Di fatto la crisi piu’ grave dopo quella del 1929.

Info:
https://www.europeanaffairs.it/bookreporter/2024/09/25/geopolitica-un-viaggio-nel-cuore-dei-conflitti-globali-con-aldo-giannuli/
https://www.startmag.it/mondo/come-e-nata-la-geopolitica/

https://www.reportdifesa.it/editoria-il-nuovo-libro-di-aldo-giannuli-ponte-alle-grazie-analizza-la-geopolitica-nel-mondo-di-oggi/
https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/maddaluno-geopolitica/

Economia di mercato/Saito

Il capitalismo nell’Antropocene – Kohei Saito – Einaudi (2024)


La pubblicita’ attribuisce un significato speciale ai loghi e all’immagine di un marchio, cercando di convincere la gente ad acquistare cose non necessarie a un prezzo superiore al loro valore.
La conseguenza e’ che a prodotti che in realta’ non differiscono affatto in termini di «valore d’uso» (utilita’) viene aggiunto un fattore di novita’ tramite la brandizzazione.
Cose banalissime si trasformano in prodotti attraenti, unici nel loro genere. Si tratta di una modalita’ tipica per creare artificialmente scarsita’ in un’epoca di sovrabbondanza di merci simili in circolazione.
Dal punto di vista della carenza, la brandizzazione puo’ essere vista come la creazione di una «scarsita’ relativa».
Si punta a ottenere uno status sociale piu’ elevato rispetto agli altri attraverso la differenziazione […]
Le persone vengono spinte a lavorare e poi a consumare di continuo per poter acquistare cose e raggiungere cosi’ quella che ritengono essere la loro forma ideale, i loro sogni e aspirazioni.
E’ un processo senza fine. La societa’ consumista puo’ spingere le persone al consumo perpetuo solo applicando ai prodotti il principio che le promesse non verranno mantenute. L’insoddisfazione, ovvero la sensazione legata alla scarsita’, e’ il motore del capitalismo.
Ma questa strada non porta alla felicita’.
Per di piu’, i costi associati a questa insensata brandizzazione e alla pubblicita’ sono enormi.
L’industria del marketing e’ diventata la terza piu’ grande industria al mondo dopo quella del cibo e dell’energia. Si dice che il packaging rappresenti dal 10 al 40 per cento del prezzo del prodotto finale, e nel caso dei cosmetici puo’ arrivare a costare fino a tre volte in piu’ rispetto al prodotto stesso. Per realizzare design di packaging attraenti si utilizzano enormi quantita’ di plastica che poi finisce nei rifiuti.
In tutto questo, il «valore d’uso» del prodotto non subisce alcuna modifica.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/marxismo/29907-city-strike-genova-saito-1-vs-saito-2-ecologismi-a-confronto.html
https://www.einaudi.it/approfondimenti/intervista-saito-kohei/

https://www.cdscultura.com/2024/02/il-capitale-nellantropocene/
https://businessweekly.it/recensioni-libri-business/il-capitale-nellantropocene-il-capitalismo-e-responsabile-della-crisi-climatica/

https://www.micromega.net/il-capitale-antropocene-marx
https://naufraghi.ch/dinosauro-non-e-marx-ma-il-capitalismo/
https://www.antropocene.org/index.php/321-saito
https://journals.openedition.org/anuac/484?lang=it

Capitalismo/Stiglitz

La strada per la libertà. L’economia e la societa’ giusta – Joseph E. Stiglitz – Einaudi (2024)


Gli interessi aziendali hanno influenzato con successo anche il nostro linguaggio.
Ci riferiamo alle rivendicazioni sui brevetti e i copyright come a diritti di proprieta’ intellettuale, elevando questa forma di proprieta’ a diritto. E’ come se le aziende suggerissero che limitare la proprieta’ intellettuale fosse una privazione di liberta’ affine alla limitazione di altri diritti che teniamo cari […]
Il capitalismo incoraggia l’egoismo e il materialismo; l’egoismo spietato spesso conduce alla disonesta’; la disonesta’ mina la fiducia; e una mancanza di fiducia mina il funzionamento del sistema economico […]
Un incontrollato materialismo a livello globale da’ come risultato un’economia mondiale che non rimane all’interno dei confini delle risorse planetarie, eppure non siamo in grado di raggiungere la coesione sociopolitica necessaria a limitare il materialismo a sufficienza per rientrare entro quei confini […]
C’e’ ancora un altro aspetto del capitalismo […] si puo’ sostenere che il capitalismo, con il suo modo di plasmare le persone, le privi di gran parte della loro liberta’ di agire.
Quel che accade con il capitalismo e’ simile a quanto accade in alcune societa’ tradizionali, in cui ognuno conosce quale ruolo debba e sia obbligato a occupare nella societa’. Se una persona devia da quel ruolo, le sanzioni sociali sono enormi, al punto che le deviazioni avvengono di rado. Certo, all’interno del proprio ruolo ben definito, c’e’ qualche grado di liberta’ […]
Se una persona scegliesse di non agire da capitalista, perderebbe la propria identita’ e il proprio senso di se’ […]
Vivere in una casa piu’ piccola, in un quartiere meno ricco, danneggerebbe la loro identità di capitalisti di successo e potrebbe persino minarne la credibilita’ nei confronti degli altri capitalisti e di conseguenza il loro successo negli affari. In questo senso, i capitalisti percepiscono di avere scelte limitate e cio’, in una certa misura, e’ vero.

Info:
https://sbilanciamoci.info/stiglitz-il-neoliberalismo-e-un-fallimento/
https://ilpontedem.it/2024/06/22/joseph-e-stiglitz-la-strada-per-la-liberta-economia-e-buona-societa/

https://www.milanofinanza.it/news/la-lezione-del-nobel-joseph-e-stiglitz-un-capitalismo-progressivo-per-una-societa-giusta-202309152206147720
https://www.open.online/2024/11/22/il-premio-nobel-stiglitz-per-litalia-conseguenze-pessime-dalla-firma-del-patto-di-stabilita/

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/11/22/il-nobel-per-leconomia-stiglitz-la-ue-e-tornata-allausterita-con-donald-paghera-due-volte/7776961/

Lavoro/Gorz

l filo rosso dell’ecologia – André Gorz – Mimesis (2017)

Per noi – precisa un testo della commissione reddito ACI – il reddito garantito non e’ un’elemosina, non e’ denaro per l’inattivita’ che comporterebbe l’obbligo di «fare qualcosa» [sottinteso: di «lavorare»].
Per noi il reddito garantito e’ un diritto. Se rivendichiamo questo diritto e’ perche’ partecipiamo in un modo o nell’altro alla produzione della ricchezza sociale – o potremmo parteciparvi se disponessimo dei mezzi necessari […].
Noi produciamo una ricchezza sociale non remunerata […] che consiste in diverse forme di autorganizzazione collettiva, di sistemi di aiuto e di mutuo soccorso che ci aiutano ad affrontare i problemi quotidiani, a scambiare conoscenze, a prendere iniziative che ci permettono di sfuggire alla miseria e alla noia […]
Noi vogliamo procurarci i mezzi per sviluppare delle attivita’ molto piu’ ricche di quelle alle quali oggi siamo limitati […]
Il reddito non e’ piu’ inteso come la remunerazione o il compenso di una creazione di ricchezza; e’ cio’ che deve rendere possibile lo sviluppo di attivita’ che sono una ricchezza e un fine in esse stesse,la cui produzione e’ il prodotto.
E’ cio’ che deve permettere «ai creatori di creare, agli inventori di inventare, alla moltitudine di attori che, per cooperare, non hanno bisogno ne’ di imprese ne’ di capomastri ne’ di datori di lavoro, d’inventare la societa’ e di creare legame sociale sotto forma di reti di cooperazione gratuita».
Insomma, il reddito garantito deve rendere possibili tutte quelle attivita’ fuori mercato, fuori contabilita’ e fuori norma che non sono scambiabili ne’ producono niente di scambiabile con altro, niente di misurabile e di traducibile nel suo equivalente monetario.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ecologia-politica-di-andre-gorz/
https://it.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9_Gorz

Economia di mercato/Banarjee

Una buona economia per i tempi difficili – Abhijit V. Banarjee, Esther Duflo – Laterza 2023

La forza del nome di un marchio sta nella sua capacita’ di tenere alla larga la concorrenza […]
Per qualsiasi nuovo concorrente potenziale, scalzare un’azienda gia’ presente sul mercato e’ reso ancora piu’ difficile dal fatto che il prezzo pagato al fornitore di solito e’ una piccola parte di quello che vale un prodotto di buona qualita’ agli occhi del compratore.
E infatti i costi legati alla costruzione del marchio e alla distribuzione spesso sono molto maggiori dei costi di fabbricazione. Per molti beni, il costo di produzione rappresenta non piu’ del 10-15 per cento del prezzo al dettaglio. Questo significa che un produttore piu’ efficiente puo’ fare ben poco per influenzare il prezzo finale del prodotto, in termini percentuali: ridurre il suo costo di produzione del 50 per cento servirebbe solo a ridurre il costo complessivo per l’acquirente al massimo del 7,5 per cento.
Potrebbe essere comunque una somma significativa, ma ai compratori, come dimostra un’ampia letteratura, quello che interessa apparentemente sono i cambiamenti proporzionali. In un famoso esperimento, i ricercatori chiesero a un gruppo di partecipanti se sarebbero stati disposti a farsi un viaggio in macchina di venti minuti per risparmiare 5 dollari su un totale di 15, e a un altro gruppo se avrebbero fatto lo stesso per 5 dollari su un totale di 125. Venti minuti sono sempre venti minuti e 5 dollari sono sempre 5 dollari, ma le risposte furono molto diverse: «Il 68 per cento dei partecipanti era disposto a fare un viaggio in piu’ per risparmiare 5 dollari su 15, mentre solo il 29 per cento era disposto a compiere lo stesso sforzo se la cifra di riferimento era 125 dollari». Il punto e’ che 5 dollari e’ un terzo di 15 dollari, ma solo il 4 per cento di 125, per questo in un caso erano disposti a farlo e nell’altro no.
I consumatori difficilmente vorranno cambiare venditore per risparmiare il 7,5 per cento.
Questo significa che i prezzi dei prodotti cinesi possono salire leggermente, ma nessuno ci farebbe molto caso. Inoltre, non c’e’ motivo per cui questi prezzi debbano crescere significativamente nel prossimo futuro. La Cina e’ un grande paese, con un gran numero di persone poverissime disposte a lavorare ai salari attuali, quindi i costi sono destinati a rimanere bassi.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/una-buona-economia-per-tempi-difficili-di-abhijit-v-banerjee-e-esther-duflo/
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/abhijit-v-banerje-ed-esther-duflo-buona-economia-tempi-difficili/
https://www.doppiozero.com/una-buona-economia-per-questi-tempi-difficili