Lavoro/Benanav

Automazione. Disuguaglianze, occupazione, povertà e la fine del lavoro come lo conosciamo – Aaron Benanav – Luiss (2022 )


Anche se non porra’ del tutto fine al lavoro, il cambiamento tecnologico porta a intervalli regolari una devastante distruzione di posti di lavoro in alcuni settori.
In qualche caso cio’ dipende dal fatto che le tecnologie consentono la piena automazione di un particolare processo lavorativo. Piu’ spesso, dipende dal fatto che le innovazioni tecnologiche consentono alle aziende di superare ostacoli presenti da tempo e di aumentare la produttivita’ della manodopera in specifici settori industriali.
Quello agricolo, per esempio, e’ stato uno dei primi settori a essere completamente rivoluzionato dai moderni metodi di produzione: nelle campagne inglesi del Quindicesimo e Sedicesimo secolo, nuove forme di allevamento di animali in fattorie recintate furono abbinate alla rotazione delle colture per aumentare le rese. Nonostante cio’, l’agricoltura rimase difficile da meccanizzare, a causa del terreno irregolare dei campi e dei cicli stagionali, e per secoli ha continuato a essere il principale bacino per l’occupazione.
Negli anni Quaranta, i progressi nei fertilizzanti sintetici, nell’ibridazione delle colture, nella meccanizzazione dei macchinari agricoli e nello sviluppo dei pesticidi hanno reso finalmente possibile mettere a punto forme industrializzate di produzione agricola e di allevamento animale, e cio’ ha determinato un cambiamento della logistica operativa.
La produttivita’ del lavoro decollo’ e le fattorie iniziarono a sembrare fabbriche a cielo aperto.
Tenuto conto dei limiti alla crescita della domanda di capacita’ produttiva agricola, il settore comincio’ a licenziare i lavoratori a un ritmo incredibile. Non più tardi della fine degli anni Cinquanta, l’agricoltura dava lavoro al 24 per cento della forza lavoro in Germania ovest, al 25 in Francia, al 42 in Giappone e al 47 in Italia; nel 2010, tutte le percentuali di questi Paesi non superavano il 5 per cento.

Info:
https://effimera.org/capitalismo-in-declino-lautomazione-in-uneconomia-stagnante-di-alexis-moraitis-e-jack-copley/
https://www.malacoda.it/n-3-2023/il-futuro-del-lavoro-di-fronte-alla-robotica-serviranno-i-migranti/

https://newleftreview.org/issues/ii120/articles/aaron-benanav-automation-and-the-future-of-work-2
https://futura.news/lautomazione-mette-a-rischio-il-mercato-del-lavoro/

Economia di mercato/Rifkin

La Terza Rivoluzione Industriale. Come il ‘potere laterale’ sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo – Jeremy Rifkin – Mondadori (2018)


Le grandi societa’ energetiche possono legittimamente affermare di disporre della piu’ potente fra le lobby di Washington: un’armata di oltre 600 lobbisti registrati; una forza cosi’ influente che, almeno finora, ha potuto dettare le «scelte» energetiche del paese.
Chi sono questi lobbisti? Secondo uno studio, fra i lobbisti che rappresentano le imprese del settore petrolifero e del gas naturale, 3 su 4 sono ex membri del Congresso, hanno fatto parte delle commissioni che sovrintendono e regolamentano il settore, o hanno lavorato in agenzie federali responsabili della regolamentazione della filiera energetica.
C’e’ qualcosa di chapliniano nel sistema delle «porte girevoli» che vede i funzionari eletti e i dirigenti delle aziende energetiche scambiarsi il cappello e la scrivania, intorbidando irrimediabilmente le acque.
Senatori e deputati nelle commissioni chiave ricevono dalle imprese finanziamenti per le campagne elettorali come ricompensa per aver assunto posizioni favorevoli al settore e per la stesura di leggi appropriate, e poi, alla scadenza del mandato, vengono nuovamente premiati con posizioni da lobbisti per le stesse imprese.
Che cosa ottiene il settore energetico americano in cambio di tanta generosita’? Molto. Il ritorno di questo loro investimento farebbe invidia a qualsiasi banchiere.
Dal 2002 al 2008 i sussidi federali all’energia destinati al settore dei combustibili fossili hanno superato i 72 miliardi di dollari, mentre quelli per le energie rinnovabili sono stati inferiori ai 29 miliardi.

Info:
https://www.sulromanzo.it/blog/la-terza-rivoluzione-industriale-una-chiacchierata-con-jeremy-rifkin
https://www.forumpa.it/riforma-pa/jeremy-rifkin-guru-della-sharing-economy-e-teorico-della-terza-rivoluzione-industriale/

 

Capitalismo/Marcon

Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – Giulio Marcon – People (2023)

I milionari nel mondo nel 2021 sono 62 milioni e 483 mila (erano 57 milioni e 316 mila nel 2020): 24 milioni e 480 mila negli Stati Uniti (2,5 milioni in piu’ rispetto all’anno precedente), 6 milioni e 190 mila in Cina, 1 milione e 152 mila in Francia. In Italia sono oltre 1 milione e 413 mila […]
I super-ricchi (piu’ di 100 milioni di patrimonio) nel mondo, per Credit Suisse, sono 84.490; 3.930 in Italia […]
Un livello di concentrazione della ricchezza estremamente alto: l’1% piu’ ricco detiene tra il 22 e il 24% della ricchezza totale” (stime recenti (2020/2021) per l’Italia […]
Nei due anni di pandemia, i miliardari italiani sono passati da 33 a 51 (+54%) e il loro patrimonio da 160 a 211 miliardi (+31,8%). Il patrimonio di Ferrero (settore alimentare) e’ cresciuto da 22,4 a 33,3 miliardi; quello di Del Vecchio, da 19,8 a 32,9 miliardi; quello di Berlusconi, da 6,3 a 7,5 miliardi di euro […]
Sia per i ricchi italiani che per gli altri ricchi nel mondo, l’aumento dei patrimoni e’ dovuto in parte alla crescita di alcuni settori che hanno beneficiato della pandemia (farmaceutico, digitale, ecc.) e sui i quali i ricchi hanno investito, ma soprattutto all’incredibile espansione dei mercati finanziari. Se mettiamo a confronto il dicembre del 2021 con l’aprile del 2020, il Dow Jones e’ aumentato del 53% e la Borsa italiana del 59% […]
Con la pandemia non solo i ricchi lo sono diventati ancora di piu’, ma anche il numero dei poveri e’ cresciuto sensibilmente […] In Italia, secondo l’Istat, nel 2020 le famiglie che vivono in poverta’ assoluta sono passate dal 6,4% (2019) al 7,7%, e le persone povere sono passate dal 7,7% (2019) al 9,4%: un milione di poveri in piu’ nell’anno della pandemia.

Info:
https://altreconomia.it/se-la-classe-inferiore-sapesse-chi-sono-i-ricchi-e-perche-continuano-a-essere-ammirati/
https://www.lafionda.org/2024/01/09/se-la-classe-inferiore-sapesse/
https://www.ossigeno.net/post/se-la-classe-inferiore-sapesse
https://altreconomia.it/perche-sappiamo-cosi-poco-dei-ricchi/

Lavoro/Mattei

L’economia è politica – Clara E. Mattei – Fuori- scena (2023)

La disoccupazione non e’ un’eccezione determinata da fattori esterni ma e’ la regola del mercato.
Per di piu’, lungi dall’essere un problema per il nostro sistema economico, e’ anzi fortemente funzionale alla sua riproduzione.
Le file crescenti dell’esercito di riserva hanno storicamente consentito di espandere l’economia capitalistica. Attraverso questa popolazione ridondante, chi detiene il capitale ha modo di reperire manodopera disponibile a costi contenuti […]
Fermiamoci allora un momento al caso italiano, per affrontare il cuore della questione politica della disoccupazione.
Secondo il VI rapporto Censis- Eudaimon sul welfare aziendale, anche i «fortunati» che hanno trovato un datore di lavoro sono profondamente insoddisfatti. Il 46,7 per cento degli occupati e’ scontento e lascerebbe l’attuale lavoro – per età, il 50,4 per cento tra i giovani, il 45,8 per cento degli adulti e il 6,3 per cento degli anziani –; tra i motivi di insofferenza, il 65 per cento dichiara di non avere opportunita’ di carriera, percentuale che sale al 90,3 per cento per gli occupati nelle piccole imprese con meno di nove dipendenti.
Secondo il Global Workplace Report della societa’ di indagini statistiche Gallup Poll, la soddisfazione sul lavoro e’ bassa in tutti e cinque i continenti, con l’Italia tra gli ultimi posti in Europa […]
Tuttavia, nonostante l’umiliazione e l’insofferenza, piu’ della meta’ degli occupati non e’ propensa a lasciare il proprio impiego. Perché? La risposta e’ ovvia: per mancanza di alternative […]
Il nostro Paese esemplifica una realta’ che ci riporta all’assunto teorico principale: la disoccupazione gioca un ruolo primario nel costruire un senso di impotenza materiale e psicologica rispetto a possibili alternative.
Essa serve dunque come strumento di disciplina per far si’ che i lavoratori accettino «l’ordine del capitale», ossia la relazione sociale su cui si basa la societa’ capitalistica: la vendita della propria forza lavoro in cambio di un (basso) salario.
Questo punto sottolinea ancora una volta quanto l’economia sia politica. Si tratta di qualcosa che percepiamo sulla nostra pelle e che si discosta profondamente dalla visione degli economisti mainstream. 

Economia di mercato/Somma

Abolire il lavoro povero – Alessandro Somma – La- terza (2024)

Fu la reazione alla drammatica crisi economica inaugurata dal crollo di Wall Street del 1929, che mise definitivamente in luce la fallacia del pensiero economico allora dominante.
Il risultato furono le soluzioni elaborate da John Maynard Keynes, il quale dimostro’ come il mercato non tende naturalmente alla piena occupazione e documento’ a monte l’infondatezza dei presupposti su cui si fonda l’economia classica: il risparmio complessivo non tende a coincidere con gli investimenti complessivi e i livelli occupazionali non sono insensibili alla politica monetaria.
Di qui l’indicazione delle modalita’ attraverso cui assicurare un reddito di piena occupazione: politiche redistributive con le quali aumentare la disponibilita’ dei meno abbienti e politiche monetarie capaci di stimolare investimenti privati.
Il tutto sostenuto da politiche di bilancio con cui finanziare investimenti pubblici in deficit nella misura necessaria e sufficiente a colmare la differenza tra spesa privata e reddito di piena occupazione.
E’ diffusa l’opinione secondo cui questo schema avrebbe trovato accoglimento quantomeno implicito nella Costituzione italiana, tanto da essere direttamente collegato al patto di cittadinanza e comunque alle ricette poste alla base dei Trenta gloriosi: epoca non a caso detta del compromesso keynesiano.
Sappiamo invero che al dovere di lavorare fa riscontro il diritto al lavoro, per il cui riconoscimento la Repubblica e’ chiamata a promuovere le condizioni che lo rendono «effettivo» (art. 4).

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Capitalismo/Scheidler

La fine della megamacchina. Sulle tracce di una civiltà al collasso – Scheidler Fabian – Castelvecchi (2024)

Secondo gli insegnamenti del ginevrino Giovanni Calvino, gli esseri umani erano stati divisi da Dio in eletti e dannati in eterno gia’ prima della creazione del mondo.
Secondo Calvino, nessun essere umano poteva cambiare questo destino predeterminato, ne’ con le buone azioni ne’ con la fede. Tuttavia, le persone non potevano mai sapere con certezza a quale gruppo appartenevano, pertanto era necessario cercare dei segni, e il segno piu’ evidente dell’appartenenza agli eletti, secondo Calvino, era il successo economico.
L’insegnamento di Calvino combina la tradizione apocalittica con il progetto capitalista: la divisione dell’umanita’ in eletti e dannati, proclamata nell’Apocalisse di Giovanni, viene proiettata sugli eventi economici; l’ordine divino e la logica del mercato diventano un tutt’uno.
In una radicale inversione di tendenza rispetto ai Vangeli, i poveri appaiono ora come i rifiutati da Dio, irrimediabilmente destinati all’inferno, mentre i ricchi scivolano nel ruolo degli eletti.
Nessun potere terreno e’ responsabile di questa divisione dell’umanita’, ma lo e’ l’indiscutibile parere di Dio prima dell’inizio dei tempi. Pertanto, fare qualcosa contro questo ordine non solo e’ inutile, ma e’ anche blasfemo.
Il fatto che questa dottrina si sia diffusa cosi’ rapidamente nei centri di trasformazione economica e’ dovuto all’importante scopo che si prefiggeva: legittimare la divisione sociale e rimuoverla dal dibattito pubblico.

Info:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver.cfm?event_id=26236804
https://www.rivoluzioneanarchica.it/fine-della-megamacchina-un-libro-di-fabian-scheidler/

https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/cosi-la-megamacchina-neoliberista-sta-distruggendo-il-nostro-mondo-da-il-fatto/
https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/fatto-for-future-del-26-marzo-2024/

Lavoro/Scheidler

La fine della megamacchina. Sulle tracce di una civiltà al collasso – Scheidler Fabian – Castelvecchi (2024)


La produzione industriale, alimentata dai combustibili fossili e dalla logica della moltiplicazione del denaro, necessitava non solo di un mercato per il suo output, ma anche di un mercato per i suoi input: le materie prime, le macchine, il denaro e soprattutto il lavoro umano.
Cio’ che oggi sembra cosi’ ovvio all’inizio dell’industrializzazione era ancora qualcosa di mostruoso: che ci fosse un mercato per il lavoro umano non significava altro che l’essere umano stesso dovesse diventare merce. Doveva essere sempre disponibile in quanto input come una balla di cotone o un vagone pieno di carbone […]
E come merce da scambiare liberamente sul mercato, l’essere umano doveva essere totalmente disponibile, e non poteva mantenere alcun legame con luoghi, persone o culture che limitassero la sua disponibilita’.
Affinche’ i grandi investimenti in macchinari fossero redditizi, questi dovevano funzionare costantemente e per questo la fornitura di forza lavoro non poteva essere interrotta. Fino a quando le persone potevano scegliere se lavorare nelle fabbriche e nelle miniere oppure nutrirsi con i frutti della propria terra, questa fornitura non poteva essere garantita […]
Per avviare e mantenere la produzione industriale le persone dovevano, quindi, essere private di questa scelta, dovevano essere costrette in un modo o nell’altro a essere disponibili per il mercato.
C’erano e ci sono due metodi per farlo: la violenza fisica diretta, come quella che imperava nella schiavitu’ e nel lavoro forzato, e la violenza strutturale del “libero mercato del lavoro”.
Un mercato del lavoro non e’, come spesso si presume, un’istituzione “naturale”. I mercati del lavoro non si formano da soli, ma vengono creati.

Info:
https://www.goethe.de/ins/it/it/sta/rom/ver.cfm?event_id=26236804
https://www.rivoluzioneanarchica.it/fine-della-megamacchina-un-libro-di-fabian-scheidler/

https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/cosi-la-megamacchina-neoliberista-sta-distruggendo-il-nostro-mondo-da-il-fatto/
https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/fatto-for-future-del-26-marzo-2024/

Economia di mercato/Wolf

La crisi del capitalismo democratico – Martin Wolf – Einaudi (2024)

Al pari di tutte le attivita’ imprenditoriali, le imprese sono incentivate a ignorare le esternalita’, per esempio i danni ambientali e sociali.
Se un’azienda scarica sostanze inquinanti, o scarica i suoi dipendenti, a pagarne le conseguenze sono altri, cioe’ le famiglie, le comunita’, lo Stato.
Esiste poi un problema intrinseco alla creazione di grandi imprese: il potere monopolistico. La societa’ di capitali e’ nata proprio per soddisfare il bisogno di creare imprese molto grandi. E le dimensioni conferiscono potere di mercato, accrescendo la probabilita’ che le imprese cerchino di incrementare il valore per gli azionisti sfruttando gli altri […]
Certe politiche, poi, hanno lo scopo specifico di accrescere il potere di mercato. Una delle piu’ importanti e’ la tutela dei diritti di proprieta’ intellettuale (soprattutto con il diritto d’autore e i brevetti). Se esistono diverse buone ragioni per offrirla, e’ innegabile che questo tipo di protezione e’ collegata alla creazione di monopoli.
Tra l’altro, le imprese sono istituzioni potenti, in grado di influenzare le leggi in materia di proprieta’ intellettuale, per esempio facendo pressioni perche’ il diritto d’autore sia esteso a tempo indeterminato […]
Altri problemi derivano dal fatto che le imprese hanno un forte interesse a internalizzare i guadagni ed esternalizzare i costi scaricandoli sul resto della societa’, e possono farlo ricorrendo a tutta una serie di strategie. L’esempio piu’ palese e preoccupante e’ l’inquinamento, a livello locale e su larga scala.
Ma neppure il comportamento delle imprese nel mercato del lavoro va sottovalutato: per esempio, le pratiche discriminatorie nei confronti dei dipendenti determinano costi sociali, esattamente come trasferire tutti i rischi legati alla gestione dell’incertezza sui lavoratori […]
Una trasformazione piu’ recente dell’economia di mercato, favorita in parte dalle innovazioni digitali, e’ la comparsa dei mercati winner-take-all [chi vince prende tutto]. Caratterizzato com’e’ da costi marginali pari a zero, economia delle piattaforme e big data, di fatto il mondo digitale permette alle imprese di maggior successo di dominare i mercati mondiali.
Tra le opportunita’ a loro disposizione, c’e’ quella di vendere agli inserzionisti i dati raccolti dai clienti […]
Qual e’ il risultato e’ presto detto: le imprese vincenti si accaparrano rendite monopolistiche che superano per diversi ordini di grandezza il costo opportunita’ dei fattori di produzione impiegati (terreni, capitale e capacita’ umane).
All’inizio del 2022, tra le dodici societa’ di maggior valore a livello mondiale si annoveravano ben otto imprese tecnologiche, vale a dire Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Meta Platforms, Nvidia, Taiwan Semiconductor Manufacturing e Tencent Holdings, di cui sei americane, una cinese e una taiwanese. Sono tutte monopoli, o quasi.

Info:
https://www.ilfoglio.it/cultura/2024/08/05/news/il-mondo-di-oggi-si-e-rotto-a-margine-del-libro-di-martin-wolf-6818502/
https://www.ilmonocolo.com/post/la-crisi-del-capitalismo-democratico

https://www.editorialedomani.it/economia/libro-martin-wolf-bh9jht73

Capitalismo/Giannuli

La grande tempesta in arrivo – Aldo Giannulli, Andrea Muratore – Piemme (2022)


Uno dei luoghi comuni che ha avuto piu’ successo e’ quello che recita “Non e’ dallo stato che avremo il vaccino, ma dall’impresa privata”.
Una solenne stupidaggine creduta vera perche’ ripetuta all’infinito e che si basa sul pregiudizio per il quale il pubblico deve necessariamente essere sempre inefficiente e il privato efficiente.
Il sottinteso e’ che il vaccino ce lo dia il capitalismo, che resterebbe il modo migliore per gestire le risorse e garantire l’innovazione. In realta’ il vaccino non lo produce il capitalismo ma il capitale.
C’e’ una differenza notevole: il capitalismo e’ un sistema sociale determinato, ma la risorsa base che consente di pagare la ricerca e la produzione e’ il capitale, capitale che puo’ essere nella disponibilita’ di privati (come e’ del sistema capitalistico), dello stato (come e’ nei sistemi appunto statalisti) o avere forme di proprieta’ sociale (come e’ stato nei sistemi basati sull’autogestione, oggi eclissati, in forme di tipo cooperativo o altro). E, ovviamente, possono esserci anche sistemi misti o ibridi.

Info:
https://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/9762-la-grande-tempesta-in-arrivo
https://www.ilgiornale.it/news/cultura/grande-tempesta-arrivo-che-pu-travolgere-lordine-mondiale-2011539.html

Lavoro/Gorgz

l filo rosso dell’ecologia – André Gorz – Mimesis (2017)

Di fatto, la crisi dei sistemi di protezione sociale non ha nulla a che vedere con la mancanza di risorse finanziarie.
E’ piuttosto il risultato diretto di un’altra crisi, ha a che fare con la centralita’ del lavoro salariato. Durante il periodo fordista, la protezione sociale era finanziata con i contributi obbligatori, e cioe’ gli oneri previdenziali pagati dai salariati e dai datori di lavoro. Questi contributi facevano parte del costo del lavoro.
Oggi il lavoro salariato diminuisce e una delle ragioni maggiori di questo regresso sta nella volonta’ del padronato di ridurre tutti gli elementi del costo del lavoro.
Per il padronato, i contributi hanno un’importanza particolare perche’ sanno che queste risorse possono essere gestite tramite fondi pensione. I fondi pensione sono un caso straordinario di sciacallaggio dell’economia mondiale. Partecipano e talvolta prendono il controllo di imprese molto redditizie, esigendo poi un rendimento senza precedenti.
Dal 12% di dieci anni fa, questa esigenza e’ salita al 15% e, oggi, arriva al 20% e perfino al 25%.
Ma, inoltre, sotto la pressione dei fondi pensione, le imprese riducono i salari e il personale, investono sempre meno sul lungo periodo e cercano ovunque di ottenere i mezzi di esenzione d’imposta. E cosi’ il rendimento del capitale non smette di accrescersi, mentre la remunerazione del lavoro, la protezione sociale e gli investimenti in opere pubbliche non fanno che diminuire.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ecologia-politica-di-andre-gorz/
https://it.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9_Gorz