Populismo/Gressani

Gilles Gressani, Giorgia Serughetti – L’Europa e la sua ombra. Un continente di fronte alla responsabilita’ del futuro – Bompiani (2023)

Sebbene “sovranismo”, sia spesso usato come sinonimo di nazionalismo, in realtà la distanza tra i due -ismi e’ notevole.
In entrambi i casi si ha una glorificazione del popolo-nazione. Pero’ il nazionalismo si e’ storicamente manifestato, e ancora si manifesta, in due forme: come ideologia di liberazione delle nazioni oppresse – quale quello che oggi alimenta la resistenza ucraina –, e come dottrina che predica la supremazia di una nazione sulle altre, attraverso una politica di potenza.
Il sovranismo populista si distingue da entrambe queste varianti perche’ e’ fondamentalmente un’istanza difensiva: di difesa delle frontiere contro la minaccia dei flussi globali di persone e idee, e di difesa delle prerogative degli stati nazionali contro la cessione di sovranita’ nei processi di integrazione europea […]
Nasce, come ideologia, piuttosto dal declino che dal trionfo della sovranita’ statuale, dalla cessione di parte dell’autonomia dello stato a beneficio degli organismi sovranazionali, e dalla subordinazione di fatto del potere politico ad altri poteri, come quello economico.
Inoltre, perche’ volge la propria aggressivita’ non contro altre potenze, ma verso i gruppi piu’ vulnerabili in casa propria – i migranti, sans-papiers, non-nativi – in nome di slogan come “Padroni a casa nostra” o “Prima gli italiani”, o i francesi, o gli olandesi.

Geen New Deal/ Padoa-Schioppa

Padoa-Schioppa E. – Antropocene – il Mulino (2021)

Un aspetto economico e sociale che caratterizza l’Antropocene e’ quello della globalizzazione economica.
Oggi le economie del mondo sono collegate in una rete intricata e complessiva di relazioni e catene, per cui ogni singolo prodotto che acquistiamo deriva probabilmente dal lavoro di persone sparpagliate negli angoli piu’ diversi del mondo.
In termini economici la globalizzazione ha contribuito all’aumento medio e complessivo del benessere mondiale, ma andando a vedere piu’ in dettaglio, questo aumento non e’ stato distribuito ugualmente.
In alcuni paesi in via di sviluppo la catena della globalizzazione ha permesso un significativo miglioramento delle condizioni di vita della classe media, mentre nei paesi piu’ sviluppati la classe media e’ stata addirittura impoverita, il che contribuisce a spiegare come mai oggi vi sia una opposizione cosi’ forte negli Stati Uniti e in Europa alla globalizzazione […]
Ultimo aspetto da considerare, per quanto riguarda l’Antropocene, sono i rimescolamenti geopolitici che inneschera’. Secondo diversi analisti della Nato le minacce piu’ difficili da affrontare per l’alleanza […] nordatlantica saranno proprio quelle innescate dalla crisi climatica.
In particolare due sono le direttrici che cambieranno la geopolitica globale: la diversa fruibilita’ di zone del mondo rispetto ad oggi e l’obsolescenza di alcune risorse geominerarie unita alla richiesta crescente di nuove risorse.
Sul primo punto e’ emerso con chiarezza che i cambiamenti legati al riscaldamento globale modificheranno la facilita’ di insediamento delle societa’ umane in diverse aree del mondo.
Alcune zone costiere subiranno il lento e costante innalzamento del livello marino […]
Altre aree diventeranno inospitali perche’ troppo calde o troppo aride […] Nelle alte latitudini, soprattutto nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci marini, per ora limitato alla stagione estiva ma con concreta possibilita’ che divenga permanente, sta aprendo nuove vie commerciali […] e costringera’ a ripensare a ruolo e missioni delle alleanze militari.
Il secondo punto riguarda il fatto che, se la societa’ umana affrontera’ una fase di uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili, il peso geopolitico dei paesi che ora esportano questi combustibili cambiera’ molto.

Info:
https://disf.org/bibliografie-tematiche/9788815291820
https://www.letture.org/antropocene-una-nuova-epoca-per-la-terra-una-sfida-per-l-umanita-emilio-padoa-schioppa
https://pikaia.eu/storia-ecologica-europa-padoa-schioppa/

Economia di mercato/Fraser

Nancy Fraser – Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi – Meltemi (2019)

Distinguere tra l’uso dei mercati per la distribuzione e quello per l’allocazione. Mentre i mercati che funzionano in modo distributivo forniscono beni tangibili e divisibili per il consumo personale, quelli che funzionano in modo allocativo dirigono l’uso delle risorse sociali generali in progetti che sono intrinsecamente transindividuali o collettivi, come la produzione, l’eccedenza di accumulazione, ricerca e sviluppo e/o gli investimenti in infrastrutture.
Sulla base di questa distinzione, possiamo distinguere il socialismo di mercato dalla societa’ capitalista. Il socialismo di mercato userebbe i mercati in maniera distributiva, per fornire i beni di consumo, mentre utilizzerebbe i meccanismi non di mercato (come la pianificazione democratica) a fini allocativi, come il credito concesso, i beni strumentali, le “materie prime” e il surplus sociale.
Anche il capitalismo usa i mercati in modo distributivo, come abbiamo detto. Ma cio’ in cui risulta davvero distintivo e’ nell’utilizzare i mercati in modo allocativo – a uso diretto della societa’ della sua ricchezza accumulata e delle sue energie collettive […]
Due diverse funzioni “allocative” di mercato specifiche del capitalismo: l’allocazione delle materie produttive e l’allocazione delle eccedenze.

Info:
https://kriticaeconomica.com/letture-kritiche/finalmente-siamo-tornati-a-parlare-di-capitalismo-nancy-fraser/
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/fazio-jaeggi-manifesto-capitalismo-fraser.pdf
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/fazi-manifesto-capitalismo-fraser.pdf
http://www.linterferenza.info/contributi/nancy-fraser-capitalismo-conversazione-rahel-jaeggi/
https://jacobinitalia.it/il-capitalismo-si-infiltra-nelle-nostre-vite-quotidiane/

Geoeconomia/Armao

Fabio Armao – Capitalismo di sangue. A chi conviene la guerra – Laterza (2024)

Non possiamo nasconderci il fatto che da decenni la guerra genera un’intera filiera globale ad alta redditivita’ dotata di una propria autonomia, capace di coinvolgere tutte le sfere del capitalismo: da quella industriale della produzione degli armamenti, a quella commerciale del traffico e della vendita (lecita e illecita) delle armi stesse, fino alla sfera finanziaria delle quotazioni in borsa di societa’ che, grazie al gioco delle fusioni e delle compartecipazioni azionarie, possono arrivare a concentrare risorse e competenze belliche superiori a quelle di molti stati.
E poi c’e’ il variegato universo del «capitale umano», fatto di rappresentanti delle libere professioni coinvolti (imprenditori, avvocati, commercialisti, intermediari e trafficanti); come pure di manodopera, dai dipendenti del comparto delle industrie belliche a – come si e’ visto – «soldati» della piu’ varia natura.
In un contesto simile, in primo luogo, non ha neppure piu’ molto senso parlare di guerre per il petrolio (o per il gas): le variabili esogene di volta in volta coinvolte possono essere le piu’ diverse, ma basta la guerra in se’ a movimentare merci e denaro, a produrre redditi e a garantire profitti speculativi.
Se poi dovessero entrare in gioco anche diamanti, greggio o coltan, tanto di guadagnato.
In secondo luogo, bisogna avere l’onesta’ di ammettere che anche le democrazie rientrano tra i principali azionisti di questo mercato della guerra, cui attingono a piene mani per garantirsi il proprio tenore di vita e i propri tassi di crescita. Tutte distraggono lo sguardo per non vedere il sangue, le distruzioni, lo sfruttamento generati dalla loro domanda inesauribile di beni e risorse; salvo poi indignarsi e gridare all’invasione se, anche soltanto, una minima percentuale delle popolazioni in fuga da quelle terre devastate dalla violenza finisce per ammassarsi alle loro frontiere.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/IL_FATTO_QUOTIDIANO_27012024.pdf
https://www.micromega.net/author/fabio-armao/
https://www.globalist.it/culture/2024/03/25/capitalismo-di-sangue-analisi-su-conflitti-globali-e-crisi-economica/

Capitalismo/Chomsky

Noam Chomsky – Poteri illegittimi. Clima, guerra, nucleare: affronta le sfide del nostro tempo – Ponte alle grazie (2023)

Il neoliberismo e’ una variante del capitalismo in cui le politiche economiche propendono pesantemente a favore dei privilegi delle grandi aziende, di Wall Street e dei ricchi.
Il neoliberismo s’impose a livello mondiale intorno al 1980, a partire dall’elezione di Margaret Thatcher nel Regno Unito e di Ronald Reagan negli Stati Uniti.
Tra le massime priorita’ del neoliberismo, cosi’ come attuato in tutto il mondo, troviamo: tagliare le tasse ai ricchi e allo stesso tempo la spesa pubblica per i non ricchi; indebolire le tutele per i lavoratori da un lato e per l’ambiente dall’altro, cosi’ come qualsiasi minima misura a favore di un’occupazione piena e dignitosa; dare mano libera alla speculazione finanziaria e allo stesso tempo garantire salvataggi agli speculatori ogniqualvolta i mercati entrano, inevitabilmente, in crisi.
Il neoliberismo ha rappresentato una controrivoluzione ai danni del capitalismo socialdemocratico/del New Deal/dello Stato sviluppista nelle sue diverse varianti, affermatosi in gran parte grazie alle vittoriose lotte politiche dei partiti progressisti, dei sindacati e dei movimenti sociali tra loro alleati, a partire dalla Grande depressione degli anni Trenta fino ai primi anni Settanta.

Info:
https://sbilanciamoci.info/la-missione-suicida-del-capitalismo-e-la-scelta-delleuropa-sulla-guerra/https://ilmanifesto.it/la-missione-suicida-del-capitalismo-e-la-scelta-delleuropa-sulla-guerra
https://www.larivistadeilibri.it/noam-chomsky/
https://www.estetica-mente.com/recensioni-libri/poteri-illegittimi-clima-guerra-nucleare-affrontare-le-sfide-del-nostro-tempo-noam-chomsky/94026/

Finanziarizzazione/Marcon

Giulio Marcon – Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezze in Italia – People (2023)

I super-ricchi vivono ormai in modo crescente in un territorio senza Stato.
Vivono a Londra e New York. Hanno il conto bancario a Ginevra. Fanno shopping a Milano e a Parigi. E mettono i loro asset nelle compagnie offshore delle Isole Vergini.
I manager di HSBC potrebbero vedere in cio’ i segni di una nuova epoca di diseguaglianza, ma non se ne accorgono. Un rapporto di HSBC ha evidenziato che lo Stato si sta ritirando dal welfare.
I ricchi “senza Stato” evitano di pagare le tasse nel loro paese, verso il quale provano ben poca fedelta’. Per cui trovano molto piu’ sensato fare le loro operazioni nei paradisi fiscali e nelle banche svizzere» […]
I super-ricchi stateless (‘senza stato’): ormai sono degli apolidi cosmopoliti. Non e’ lo spirito di solidarieta’ che faceva dire piu’ di un secolo fa ai proletari “la nostra patria e’ il mondo intero”, ma sono l’egoismo e il privilegio a far muovere i ricchi per il pianeta alla ricerca del posto migliore dove depositare i loro patrimoni esentasse: la loro patria sono i loro soldi.
La ricchezza apolide non e’ caduta dal cielo: e’ il risultato delle politiche neoliberiste di questi anni. E in particolare della circolazione incontrollata e senza regole dei capitali, della finanziarizzazione (speculativa) dell’economia, della distruzione dello Stato nazionale e della perdita di potere delle istituzioni economiche e finanziarie internazionali, della concorrenza fiscale tra gli Stati, del trattamento di favore verso la ricchezza e i grandi patrimoni.

Info:
https://altreconomia.it/se-la-classe-inferiore-sapesse-chi-sono-i-ricchi-e-perche-continuano-a-essere-ammirati/
https://www.lafionda.org/2024/01/09/se-la-classe-inferiore-sapesse/
https://www.ossigeno.net/post/se-la-classe-inferiore-sapesse
https://altreconomia.it/perche-sappiamo-cosi-poco-dei-ricchi/

Stato/Mattei

Clara E. Mattei – L’economia è politica – Fuoriscena (2023)

Se chiedete agli esperti una definizione di austerita’ vi verra’ detto che si tratta di quelle politiche economiche di taglio della spesa pubblica e aumento delle tasse.
Ecco il primo trabocchetto: la lente degli economisti e’ quella dell’aggregato, cioe’ del «tutto». Si parla di economia italiana, francese, spagnola come se fossero ognuna un’unita’ compatta. Ma, a ben guardare, questi concetti non sono che astrazioni.
Prendiamo il nostro Paese come esempio: se guardiamo alla spesa «aggregata» dello Stato italiano, non vedremo alcuna traccia di austerita’. Infatti lo Stato sta spendendo moltissimo in ambito militare e nel sostegno delle imprese (le banche per esempio) che mettono cosi’ in sicurezza i propri profitti. I numeri della spesa pubblica non calano.
Ma la questione rilevante e’ un’altra.
Non si tratta semplicemente di vedere se lo Stato spende, quanto piuttosto dove lo Stato spende o, meglio, per chi lo Stato spende. L’austerita’ non e’ una generica azione sulla spesa pubblica intesa come un tutto, e’ invece un’azione politica che agisce sulla capacita’ di spesa delle persone e quindi interviene sulla qualita’ della vita della maggioranza della popolazione, lasciando sostanzialmente protetta e intoccata quell’elite che non vive del salario e dunque principalmente del proprio lavoro ma gode di rendite (immobiliari, finanziarie ecc.) e profitti […]
Se lo Stato italiano, come la maggior parte degli Stati del mondo, aumenta la spesa militare o quella per salvare e sostenere banche e imprese in difficolta’ e al contempo taglia la spesa sociale (sanita’, scuola, trasporti, edilizia pubblica, sussidi di disoccupazione e via dicendo), sta trasferendo strutturalmente le risorse dai molti cittadini che dipendono dai salari che guadagnano ai pochissimi che vivono dei redditi da capitale generati dalla ricchezza posseduta.
In altre parole, non si tratta per gli Stati di non spendere, ma di «spendere» nella maniera «corretta», ovvero a favore dell’elite economico-finanziaria e a discapito della maggioranza della popolazione. Mentre ci curiamo in ospedali fatiscenti, studiamo in classi pollaio e facciamo file chilometriche per rinnovare la carta d’identita’, i forzieri di Leonardo, produttore di armi, e Autostrade per l’Italia (i cui azionisti sono per meta’ asset manager stranieri come Blackstone e Macquarie) traboccano di soldi delle nostre tasse.
Per la classe dei capitalisti la retorica del «non ci sono i soldi» non esiste.
Queste manovre economiche non sono solo decisioni tecniche, sono scelte profondamente politiche. Meno risorse sociali abbiamo, meno diritti abbiamo in quanto cittadini e piu’ siamo costretti a comprare tali diritti con il denaro. Cosi’ la nostra dipendenza dal mercato aumenta. Se vogliamo garantire una buona istruzione ai nostri figli, assicurarci cure mediche adeguate, una casa dignitosa, il diritto al trasporto, siamo sempre piu’ vincolati alla necessita’ di avere soldi a sufficienza, che ci possiamo procurare in un solo modo, vendendo la nostra capacita’ di lavorare in cambio di un salario.
Non per nulla i politici al governo combattono il concetto stesso di reddito di cittadinanza che, in se’, e’ potenzialmente sovversivo: rischierebbe di illuderci che soddisfare i nostri bisogni primari sia un diritto invece che l’esito intermediato dal lavoro sfruttato.

Info:
https://www.pde.it/un-libro-al-giorno/leconomia-e-politica-clara-mattei-fuoriscena/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/15/davvero-le-scelte-economiche-sono-neutrali-e-inevitabili-no-e-un-luogo-comune-il-libro-di-clara-mattei-spiega-che-in-realta-e-tutta-politica/7354313/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/11/13/leconomia-e-politica-parole-antiche-per-conflitti-del-futuro/7351420/

Lavoro/Aloisi

Antonio Aloisi, Valerio De Stefano – Il tuo capo e’ un algoritmo. Contro il lavoro disumano – Laterza (2020)

I programmi contro la poverta’ o quelli di attivazione al lavoro finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro di chi e’ disoccupato o inattivo devono essere finalmente affrancati dal retropensiero, radicatissimo, che esser poveri o senza lavoro sia una colpa.
Va preso atto, in primo luogo, che il lavoro oggi non e’ piu’, per troppe persone, un modo di uscire dalla poverta’.
Il Bureau of Labour Statistics, l’unita’ statistica del ministero del lavoro statunitense, riporta che nel 2017 quasi 7 milioni di persone negli USA erano working poors, vale a dire persone che, pur avendo lavorato o cercato attivamente lavoro per piu’ di sei mesi durante l’anno, si collocavano al di sotto della soglia di poverta’. Quasi il 3% di chi aveva lavorato full-time e oltre il 10% di chi aveva lavorato part-time negli USA era da considerarsi working poor nel 2017.
Uno studio preparato per la Commissione europea rivela che in Italia il tasso di persone a rischio di in-work poverty era, nello stesso anno, il 12,3%, contro una media europea del 9,6%. Non e’ una sorpresa che i lavoratori non-standard registrino rischi molto piu’ elevati dei lavoratori standard.
Sono numeri sottovalutati nel dibattito sugli andamenti del mercato del lavoro. Troppo spesso, come detto, si bada alle sole cifre che riportano il dato degli occupati. Non ci si chiede, invece, se chi ha un lavoro riesce a garantirsi uno stile di vita indipendente e dignitoso.
Uno degli articoli piu’ pregnanti della nostra Costituzione, il 36, sancisce che il lavoratore abbia diritto a una «retribuzione proporzionata alla quantita’ e qualita’ del suo lavoro» e «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»

Info:
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%202.pdf
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%203.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-8.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-tuo-capo-e-un-algoritmo-di-antonio-aloisi-e-valerio-de-stefano/

Economia di mercato/Chomsky

Noam Chomsky – Ottimismo (malgrado tutto). Capitalismo, impero e cambiamento sociale – Ponte alle Grazie (2018)

Se per «globalizzazione» intendiamo l’integrazione internazionale, essa precede di molto il capitalismo.
La via della seta risalente all’epoca precristiana era a tutti gli effetti una forma di globalizzazione.
La nascita del capitalismo industriale di Stato ha modificato la portata e il carattere della globalizzazione, e via via sono intervenuti altri mutamenti perche’ l’economia globale e’ stata riconfigurata da quelli che Adam Smith chiamava i «padroni dell’umanita’», ossia i seguaci della «vile massima»: «Tutto per noi e niente per gli altri».
Le cose sono cambiate in modo sostanziale nel periodo della globalizzazione neoliberista, dalla fine degli anni Settanta, le cui icone sono state Reagan e la Thatcher, per quanto la linea politica vari solo di poco con le diverse amministrazioni.
Il motore di tutto questo sono le multinazionali, e il loro potere politico modella le politiche statali in base ai propri interessi. In questi anni le multinazionali, aiutate dalle politiche degli Stati da loro di fatto dominati, hanno costruito catene produttive globali (global value chains, GVC) in cui la «societa’madre» delocalizza la produzione mediante complesse reti globali da lei create e controllate […]
Si stima che circa l’80% del commercio mondiale avvenga all’interno delle catene produttive globali create e gestite dalle multinazionali, cui fa capo circa il 20% dei posti di lavoro in tutto il mondo […]
La misurazione tradizionale della ricchezza nazionale in termini di PIL e’ fuorviante nell’era della globalizzazione neoliberista. Con catene di distribuzione cosi’ complesse e integrate – i subcontraenti e gli altri meccanismi esistenti –, la proprieta’ corporativa della ricchezza mondiale diventa un metro di misura piu’ realistico del potere globale, poiche’ il mondo si allontana sempre piu’ dal modello delle economie politiche differenziate su base nazionale.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/19738-sandro-moiso-pandemia-economia-e-crimini-della-guerra-sociale.html
https://pinobertelli.it/ottimismo-malgrado-tutto-capitalismo-impero-e-cambiamento-sociale/
https://www.ilroma.net/opinione/restare-ottimisti-nonostante-tutto

Societa’/Armao

Fabio Armao – Capitalismo di sangue – Laterza (2024)

Il Novecento sembrava aver dimostrato che in guerra intervengono in ultima istanza due fattori: quello materiale degli apparati bellici, che rinvia al rapporto tra pubblico e privato, ovvero tra stato e imprese; e quello immateriale delle motivazioni dei combattenti, che evoca il ruolo delle ideologie, delle relazioni tra il sistema politico e la societa’ civile.
La prima dimensione caratterizza maggiormente quelle che, non a caso, definiamo «grandi potenze»: per il patrimonio di conoscenze, capitali e industrie che determinano la loro superiorita’ nei confronti del resto del mondo – e per la volonta’ di servirsene a fini di conquista. Non e’ casuale che ancora oggi, in tempi di globalizzazione, la produzione e lo smercio di armamenti sia prerogativa di un pugno di paesi […]
La seconda dimensione, quella ideologica, si e’ rivelata piu’ volte l’arma vincente persino in condizioni di straordinaria inferiorita’ strategica. La motivazione dei combattenti, cio’ che determina la loro volonta’ di sacrificare la vita in battaglia, dipende innanzitutto dalla giustizia o meno della propria causa; ma non per come viene propagandata da politici e intellettuali, bensi’ per come e’ percepita e vissuta dai soldati stessi e dalla popolazione che li circonda, il cui sostegno risulta essenziale.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/IL_FATTO_QUOTIDIANO_27012024.pdf
https://www.micromega.net/author/fabio-armao/